Somalia: 25 anni dalla “Battaglia del Pastificio”. Il ricordo del Tenente Colonnello Gianfranco Paglia.

di Francesca Cannataro

Roma. Era il 2 luglio del 1993. Somalia. Mogadiscio. Check point Pasta. Sono trascorsi 25 anni da quel terribile e tragico giorno in cui per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, le forze armate italiane del contingente Onu in Somalia si ritrovarono in battaglia, quella che poi fu tristemente ribattezzata, passando agli onori della cronaca, come battaglia del Pastificio. A Mogadiscio vi era una missione militare sotto guida dell’Onu, la Somalia veniva da anni di guerra civile. In quella missione internazionale l’Italia era impegnata per la stabilizzazione del Paese. Alle 5 del mattino di quel 2 luglio partì una grande operazione di rastrellamento da parte dei militari italiani. Nel quartiere Haliwaa, costruito nei pressi di un vecchio pastificio abbandonato, la situazione degenerò. I somali attaccarono, la popolazione fu utilizzata come scudo umano. Donne e bambini davanti e uomini armati che sparavano da dietro. Sui tetti i cecchini. Poiché la popolazione civile era in strada i nostri militari italiani non furono autorizzati all’uso dei cannoni. L’Italia perse tre uomini: il sottotenente Andrea Millevoi, comandante di un plotone di blindo Centauro, colpito da un cecchino mentre si sporgeva dal suo mezzo per dirigere il fuoco della mitragliera, il sergente maggiore incursore Stefano Paolicchi e il caporale di leva Pasquale Baccaro. Numerosi i feriti, tra questi l’allora sottotenente dei paracadutisti Gianfranco Paglia che, colpito oltre che al polmone anche al midollo, perse l’uso delle gambe. Oggi tenente colonnello, di quella battaglia porta su di se i segni tangibili, costretto, da allora, su una sedia a rotelle.

Il Tenente Colonnello Gianfranco Paglia

Alle volte bastano poche parole per aprire interi mondi. Per comprendere e comprendersi. A noi è bastato davvero poco per percepire appieno quel tumulto di emozioni, frutto di un vissuto che parla il linguaggio dell’italianità, dell’orgoglio di servire la Patria e di rappresentarla. Il Tenente Colonnello Gianfranco Paglia, Medaglia d’Oro al Valor Militare, lo raggiungiamo telefonicamente. Con la sua solita cordialità risponde alle nostre domande. Lucidità e fierezza nel ricordare i militari caduti. In un attimo si torna indietro di 25 anni. La voce è un misto di emozioni e di energia. «La cosa più bella è che a distanza di 25 anni il ricordo non si affievolisce – ci dice soddisfatto – tante sono state in questi giorni le iniziative per ricordare i caduti di quella battaglia e anche il clamore mediatico non ha spento i riflettori, nonostante sia passato ormai tanto tempo. È bello sapere che il sacrificio dei nostri soldati non sia stato vano. Il ricordo di tutti i nostri caduti è il più grande dei doveri che abbiamo».  La voce sicura si amalgama con l’umiltà dell’uomo che ha fatto una scelta di vita, quella di servire la Patria. «Ricordo tutto di quei concitati momenti – ci dice ancora – sono sempre rimasto lucido, ma non abbiamo fatto nulla di speciale, se non il nostro dovere». La voce per un attimo si spezza. Ma ricomincia subito nel suo racconto. Gianfranco Paglia non ha mai dimenticato i suoi uomini. «Da comandante come è naturale che sia – continua a raccontarci – l’unico rammarico che ho e l’unico peso che porto è quello di non essere tornati a casa tutti insieme». Imparare poi dal passato. Il Tenente Colonnello Paglia lo sottolinea con forza a conclusione della nostra chiacchierata telefonica. «La missione in Somalia, secondo me – ci dice ancora – ci insegna che le missioni quando iniziano devono essere portate a compimento. Bisogna crederci fino in fondo, il fatto che oggi dopo 20 anni siamo ancora lì ci deve servire da esempio». Ci saluta il Tenente Colonnello Paglia, vorremmo continuare a parlare con lui e chiedergli tante cose, ma le parole a volte non bastato. La frase con la quale ci saluta commuove anche noi, che di questo mestiere di giornalisti viviamo il carico di essere in grado di raccontare anche quando il coinvolgimento è tale da rendere vane finanche le singole parole. «Noi siamo qui vivi a raccontare quanto avvenuto quel 2 luglio per non dimenticare mai i nostri caduti, eroi della nostra Patria e la nostra storia». Emozionare, emozionandoci. Nella speranza di esserci riusciti.

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