SPECIALE: L’Unità d’Italia si compì sulle rive del fiume Volturno. Storia di una battaglia e del celebre incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele

Di Alberto Zaza d’Aulisio *

Caserta. L’Unità d’Italia si compì sulle rive del Volturno.

Un momento della battaglia del Volturno

Prodromica dello storico evento, sancito con la legge 4871 del 17 marzo 1861, fu la battaglia che l’1° ed il 2 ottobre diede impulso all’unificazione che, decretata con la proclamazione del Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II di Sardegna, suo primo Re, ha dovuto attendere la Terza Guerra d’Indipendenza e la quarta, ossia la Prima Guerra mondiale, per la riconfigurazione dei confini naturali del “bel Paese dove il sì suona”.

Emblematica la coincidenza tra il 150° dell’Unità d’Italia ed il 750° della morte di Dante Alighieri, che ne fu il precursore attraverso l’unità della Lingua.

I primi reparti dell’Esercito Meridionale, al comando di Giuseppe Garibaldi, braccio armato di Camillo Benso di Cavour, risalenti dalla Calabria dopo l’impresa di Sicilia, stabilito il Quartier Generale il 6 settembre 1860 nella Reggia di Caserta, ebbero un primo contatto con l’Esercito borbonico il 19 e 20 settembre a Caiazzo dove i garibaldini subirono una solenne disfatta.

Giuseppe Garibaldi

Capua divenne la fortezza di concentramento e di accrescimento delle truppe di Francesco II di Borbone mentre “non poche furono le astute mene dei Cavouriani” – si legge nelle memorie di Garibaldi – “che lavoravano a tutt’uomo per screditarci. Tutto ciò demoralizzò alquanto la parte nostra, rialzò il morale borbonico e fu per loro, fortunato preludio, della gran battaglia meditata, che ebbe luogo poco dopo“.

Superata la diversione dell’Esercito meridionale per sedare alcuni moti ad Avellino e ad Ariano suscitati dai fautori della dinastia legittimamente regnante al Sud, i garibaldini della Divisione Stefano Turr occuparono Caserta e Santa Maria Capua Vetere, quelli della Divisione Nino Bixio presidiarono Maddaloni coprendo la strada principale verso Campobasso e l’Abruzzo, la Divisione Giacomo Medici prese posizione sul monte di Sant’Angelo in Formis che domina Capua ed il Volturno.

Una Brigata della Divisione Medici comandata da Gaetano Sacchi occupò il pendio settentrionale del monte Tifata verso il Volturno.

Le riserve, agli ordini del Capo di Stato Maggiore Giuseppe Sirtori stazionarono in Caserta.

Giuseppe Sirtori

La Battaglia del Volturno

Fu una battaglia fratricida. Con accorata espressione così la definì Garibaldi nelle sue memorie.

Dall’una e dall’altra parte non si risparmiarono azioni coraggiose. S

intesi di quell’immane scontro – il cui epilogo fu la resa di Capua del 3 novembre con il conseguente ripiegamento strategico borbonico nella fortezza di Gaeta per l’ultima resistenza fino alla capitolazione del 17 febbraio 1861 – è descritta nell’Albo Storico curato dai Partiti Popolari di Terra di Lavoro nel cinquantenario della Battaglia (Tipografia Melfi & Joele/Palazzo Maddaloni a Toledo/1911).

Garibaldini nella battaglia del Volturno

Pregio particolare della pubblicazione è la rappresentazione dei luoghi fotografati dal celebre Cini con l’assistenza di Raffaele Orsini.

L’ingresso di Capua dalla via proveniente da San Tammaro, i Quattordici Ponti e la Colonna Fardella alla periferia di Santa Maria Capua Vetere, la Cappella della Morte, la casina Longano il cimitero garibaldino e la casina dei pontieri del genio a Sant’Angelo in Formis, la Porta dell’Antica Capua (oggi Santa Maria) nei pressi dell’anfiteatro romano, il Mulino del Ponte a Valle di Maddaloni, la Villa Gualtieri ( poi villa Quarto) sul Monte San Michele tra Maddaloni e Caserta, quartier generale di Bixio, l’Ossario garibaldino ai Ponti della Valle di Maddaloni.

E così di seguito il lungo itinerario dove, da ambo le parti, rifulsero eroismo e martirio, tra alterni momenti culminati nella vittoria dei volontari misuratisi con i soldati di un esercito regolare che, dopo Caiazzo, seppero aver ragione degli avversari anche a Caserta nei pressi della seicentesca chiesetta dei Santi Carlo ed Eugenio (detta di Montevergine), a Castel Morrone sulle cui balze si immolò il prode Pilade Bronzetti, giovane ufficiale di Mantova che disertò l’Esercito sardo per unirsi ai volontari.

Decisivo per la vittoria garibaldina fu lo scontro di Casertavecchia.

Le sorti furono decisa dalle riserve giunte sul campo di battaglia alle 3 pomeridiane.

Nel ricordo di quella Vittoria la città di Caserta denominò l’antica strada della ferrovia diventata via Cesare Battisti nel 1916 in onore del martire dell’Italia irredenta.

L’INCONTRO DI VAIRANO PATENORA (CASERTA)

Preludio della proclamazione del Regno d’Italia fu l’incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele avvenuto il 26 ottobre 1860 a Taverna Catena sulla strada tra Vairano Patenora e Marzanello. “A Taverna della Catena, S.M. il Re, che col suo quartier generale marcia con le truppe del IV Corpo, è incontrato dal Generale Garibaldi. Così dal Diario storico del Comando in Capo.

La celeberrima stretta di mano tra Garibaldi ed il Re

Fiumi di inchiostro sono stati consumati nella diatriba post risorgimentale tra Teano e Vairano sulla individuazione del punto esatto dello storico incontro nel quale il Condottiero salutò il Re.

Nel cinquantenario dell’Unità nazionale, il Comune di Vairano pose a Taverna Catena la seguente lapide che riproduce lo stralcio dal Diario della spedizione dei Mille del 1860: “6 ott. Garibaldi e il Re s’incontrano/tra Marzanello e Vairano/Marciano per sei miglia insieme/ Francesco Crispi”.

Si diressero verso Teano dove, per la medesima ricorrenza, il Comune affisse analoga lapide all’ingresso della Piazza del Duomo.

Questo l’esordio dell’epigrafe rimodulata successivamente “Qui convennero il Re e Garibaldi dopo l’incontro“.

A lungo sui manuali scolastici di storia  l’evento è stato riportato come “l’incontro presso Teano“.

All’epoca il centro attrattivo era appunto Teano mentre il nome di Vairano Patenora non aveva ancora acquistata l’evidenza assunta in seguito.

E’ notorio che si usa far riferimento alla località principale per orientare l’identificazione di quelle minori.

Giuseppe Cesare Abba, arruolato tra i volontari, descrive anche i particolari del luogo , che hanno resistito alle ingiurie del tempo: “Una casa bianca a un gran bivio, dei cavalieri rossi e dei neri mescolati insieme, il Dittatore a piedi, delle pioppe già pallide che lasciavano venir giù le foglie morte, sopra i reggimenti regolari che marciavano verso Teano. Ad un tratto, non da lontano, un rullio di tamburri, poi la fanfara reale del Piemonte, e tutti a cavallo! In quel momento un contadino, mezzo vestito di pelli, si volse ai monti di Venafro, e con la mano alle sopracciglia fissò l’occhio forse a legger l’ora in qualche ombra di rupi lontane. Ed ecco un rimescolio nel polverone che si alzava laggiù, poi un galoppo, dei comandi, e poi: “Viva! Viva! il Re! il Re!. Mi venne quasi buio per un istante; ma potei vedere Garibaldi e Vittorio darsi la mano, e udire il saluto immortale Salute al Re d’Italia“.

Chiara la descrizione fotografica del luogo riprodotta da Pasquale Geremia in “Da Quarto a Taverna Catena” pubblicato nel 1932 (Arti Tipografiche Beneduce e Papa – Caserta).

L’incontro chiuse l’epopea delle Camicie Rosse e dischiuse i destini unitari della Patria vagheggiati da pensatori e poeti.

Da Padre Dante ad Alessandro Manzoni, che cinquant’anni prima, con l’ode “Marzo 1821”, nel contesto storico ancora prematuro ma orientato alla unificazione, auspicava “non fia loco ove sorgan barriere/tra l’Italia e l’Italia, mai più!” vagheggiando “una gente risorta“, “una d’arme, di lingua, di altare/, di memorie, di sangue e di cor“.

IL PECCATO ORIGINALE DELL’UNITA’

Giuseppe Garibaldi, chiosando le sue memorie, osserva criticamente: “In altri tempi si sarebbe potuto riunire una costituente – in quest’epoca era impossibile – ed altro non si sarebbe ottenuto che perdita di tempo ed uno svolgimento ridicolo della questione – Allora eran di moda le annessioni con plebisciti – I popoli ingannati dalle consorterie – tutto speravano dal governo riparatore“.

Il “peccato originale” dell’Unità nazionale è “in re ipsa“.

Garibaldi lo evidenzia.

La proclamazione formalizzata il 17 marzo 1861 in Palazzo Carignano dal Parlamento riunito a Camere congiunte diede origine al Regno d’Italia con la ottava legislatura del Regno di Sardegna mentre il Re del nuovo Stato non divenne il “Primo” d’Italia ma conservò il numerale “II” in assenza del predecessore sul nuovo trono.

Quando Ferdinando IV di Borbone nel 1816 unificò i regni di Napoli e di Sicilia dopo la Restaurazione si titolò “Primo”.

E gli effetti giuridico-istituzionali della “conquista del Sud”, come la definì Carlo Alianello, proseguirono con la produzione legislativa successiva che impose i Codici sardi all’intero Paese.

*Presidente della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro

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