DI Cristina Di Silvio*
WASHINGTON D.C. (nostro servizio particolare). La Sicurezza nazionale americana alla prova.
Ci sono nuovi paradigmi tra controllo mediatico e Architettura Istituzionale.
Negli ultimi mesi, l’assetto della sicurezza nazionale statunitense si è trovato al centro di una triplice pressione: erosione della libertà di stampa, fragilità delle infrastrutture critiche e dipendenza da catene del valore esogene.
In un contesto geopolitico segnato dalla competizione sistemica con la Cina e dal riemergere di posture neo-sovraniste, le direttive del Segretario alla Difesa Pete Hegseth hanno inaugurato un ciclo di ristrutturazione delle prassi comunicative e operative del Pentagono, rompendo con l’eredità post-Patriot Act di trasparenza sorvegliata.

L’accesso alle informazioni istituzionali è stato progressivamente ristretto: nei primi cento giorni del secondo mandato Trump, il Dipartimento della Difesa ha convocato una sola conferenza stampa formale, mentre numerose testate storiche – da The New York Times a NPR – sono state escluse da eventi ufficiali.
Al loro posto, hanno ottenuto accesso privilegiato media più allineati ideologicamente, consolidando un ecosistema comunicativo polarizzato.
Un episodio rivelatore è stato il tentativo di escludere la giornalista CNN Haley Britzky da una missione internazionale.
La minaccia di boicottaggio da parte della stampa accreditata ha costretto il Dipartimento a fare marcia indietro, ma l’incidente ha lasciato intravedere un nuovo approccio strategico: l’informazione come leva operativa, anziché come diritto costituzionale (Primo Emendamento).
Questo shift richiama storicamente le restrizioni dell’Espionage Act del 1917 e solleva interrogativi sulla compatibilità tra sicurezza nazionale e pluralismo mediatico in epoca digitale.
Infrastrutture sotto stress: Il tallone d’Achille energetico della West Coast
Un secondo fronte di criticità emerge nell’ambito della sicurezza energetica.
Gli Stati di Oregon e Washington, spesso citati come avanguardie nella transizione ecologica, soffrono oggi di un’acuta discrepanza tra produzione e capacità distributiva.
L’Agenzia federale Bonneville Power Administration – storicamente centrale nello sviluppo infrastrutturale del Pacifico Nord-Ovest – ha realizzato migliaia di miglia di linee elettriche durante la Guerra Fredda, ma ne ha aggiunte solo una nell’ultimo quinquennio.

Questo rallentamento strutturale è dovuto a una combinazione di vincoli normativi, opposizioni locali (NIMBY effect) e investimenti frammentati.
Il risultato è una rete energetica vulnerabile, esposta a blackout sistemici e incapace di garantire continuità operativa nei nodi urbani a più alta densità.
Tali condizioni rappresentano un rischio diretto per la sicurezza interna e ricordano per certi versi le debolezze evidenziate dal blackout del Nord-Est del 2003, che mise a nudo le interdipendenze tra rete elettrica, telecomunicazioni e servizi di emergenza.
In chiave comparativa, modelli più aggressivi in termini di sicurezza energetica, come quelli adottati in Texas (ERCOT) o in Kansas, sottolineano le disuguaglianze interne agli Stati Uniti nella gestione delle infrastrutture critiche, con potenziali riflessi su mobilità, resilienza civile e sicurezza cyber-fisica.
Sovranità tecnologica compromessa: la dipendenza occidentale dalla manifattura asiatica
La terza dimensione della vulnerabilità sistemica è rappresentata dalla crescente esposizione dell’industria americana alle dinamiche produttive cinesi.
La richiesta presidenziale di rilocalizzare la produzione degli iPhone in territorio nazionale si scontra con vincoli materiali e culturali: la concentrazione di know-how, rapidità produttiva e adattabilità nella regione del Delta del Fiume delle Perle rappresenta un vantaggio competitivo difficilmente replicabile a breve termine.
Secondo il National Counterintelligence and Security Center, la filiera statunitense risulta vulnerabile a operazioni di spionaggio industriale, sabotaggi cyber e pressioni diplomatico-commerciali. Le forniture di semiconduttori, terre rare e componenti elettronici avanzati – tutti elementi critici per la difesa e la sicurezza – restano fortemente dipendenti da un contesto geopoliticamente instabile.
Nonostante gli incentivi previsti dal CHIPS and Science Act del 2022, il reshoring su larga scala richiede tempi, capitali e capitale umano che non sono compatibili con l’urgenza strategica del momento.
Questa dipendenza richiama storicamente il dibattito sulla autarchia tecnologica, centrale durante la Guerra Fredda e oggi riattualizzato in chiave digitale, con il rischio di nuove forme di “colonialismo tecnologico inverso”.
La matrice del rischio: verso una nuova Dottrina di sicurezza nazionale
Questi tre scenari – soppressione informativa, fragilità infrastrutturale e vulnerabilità industriale – non sono episodi isolati, ma sintomi convergenti di una crisi sistemica.
In assenza di una governance federale coordinata, capace di integrare competenze civili e militari, intelligence economica e sicurezza energetica, gli Stati Uniti rischiano di veder compromessa la propria capacità di deterrenza, resilienza e proiezione globale.
Serve un nuovo quadro strategico multilivello che integri: National Security Council per la coerenza interagenzia; Dipartimento dell’Energia per la pianificazione infrastrutturale; NCSC per il controspionaggio industriale; Dipartimento della Difesa per l’adeguamento dottrinario.

La dottrina della sicurezza non può più limitarsi alla dimensione militare, ma deve abbracciare i concetti di sicurezza cognitiva, sostenibilità operativa e autonomia tecnologica, in linea con gli standard di difesa ibrida promossi dalla NATO e dal Consiglio Europeo post-Strategic Compass 2022.
Una Superpotenza a rischio entropico
L’apparente frammentazione dei fronti critici cela una verità più profonda: il sistema americano sta sperimentando un’accelerazione della propria entropia strategica.
La gestione centralizzata dell’informazione, le carenze infrastrutturali e la dipendenza tecnologica convergono nel minare la resilienza del modello democratico statunitense.
L’urgenza non è solo operativa, ma esistenziale: senza un salto qualitativo nella pianificazione sistemica, la superpotenza americana rischia di entrare in una nuova fase di vulnerabilità strutturale.
*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)
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