Di Sara Palermo*
Washington. Ci sono diverse spiegazioni psicologiche dietro al perché decidiamo chi votare per un candidato o un partito.
Vi siete mai chiesti perché qualcuno avrebbe mai dovuto votare per Donald Trump? O per Joe Biden? o qualsiasi altro politico?
A prima vista, un’elezione sembra un processo abbastanza semplice. I politici fanno proposte su come intendono governare il Paese e, in risposta, gli elettori scelgono il loro politico preferito (o partito politico).
Tuttavia, le scienze politiche ci dicono che non è proprio tutto così lineare e che la psicologia degli elettori gioca un ruolo molto significativo nel comportamento di voto.
Gli elettori non possono fare affidamento sulla piena comprensione di normative vigenti ed indirizzi politici dei partiti e quindi si affidano ad alcune informazioni di base e parole chiave. Per chiarirlo meglio, è un compito estremamente complesso valutare nel dettaglio differenti programmi in relazione all’intera gamma delle possibili politiche pubbliche.
Questo compito è ulteriormente complicato da quanto poco plausibili appaiono sovente i programmi stessi, che vengono redatti sulla base di uno storico (il prima e l’ora), di proiezioni economiche ed in assenza di dati certi su come cambieranno in futuro le priorità del grande pubblico (la pandemia in tal senso ha scoperchiato il vaso di Pandora).
A ciò si aggiunge il fatto che la maggior parte degli elettori riconoscono una minima utilità diretta al loro singolo voto, pur riconoscendo il dovere morale di votare. Non sorprende quindi che gli elettori cerchino delle “scorciatoie cognitive” per semplificare l’importante decisione di chi dovrebbe governare il Paese.
Una di queste scorciatoie cognitive è, ad esempio, la nozione di “sinistra” e “destra”. Possiamo osservare come le persone in tutto il mondo tendano a gravitare verso determinate combinazioni di posizioni politiche (le cosiddette coordinate politiche).
Quelli che propendono per maggiori livelli di ridistribuzione della ricchezza tendono anche ad auspicare maggiori libertà in relazione al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’aborto, oltre a supportare azioni in relazione al cambiamento climatico, per citare solo alcune tematiche politiche. Questa combinazione può essere considerata semplicemente di “sinistra”.
Al contrario, quelli a destra tendono a propendere per posizioni diametralmente opposte, auspicando il mantenimento dello status quo rispetto alle stesse tematiche politiche.
Seppure con dicotomie differenti – come quelle tra ali liberali-conservatrici o autoritarie-libertarie a seconda del contesto – la domanda chiave è perché queste posizioni politiche altrimenti non correlate tendono ad aggregarsi.
Qui entra in gioco la psicologia. Una spiegazione psicologica di queste tendenze attiene infatti allo studio della personalità.
La teoria dei Big Five, tra le diverse teorie sulla personalità, è considerata tra quelle maggiormente in grado di spiegare la variabilità individuale.
Secondo questa teoria, la personalità può essere divisa in cinque tratti indipendenti:
- Estroversione. Il polo positivo di questo fattore è rappresentato dall’emozionalità positiva e dalla socialità, laddove quello negativo è rappresentato dall’introversione, ossia dalla tendenza ad “esser coinvolti” più dal proprio mondo interno che da quello esterno.
- Amicalità. Il polo positivo di questo fattore è rappresentato da cortesia, altruismo e attitudine alla cooperazione; il polo negativo da ostilità, insensibilità ed indifferenza.
- Coscienziosità. Questo fattore contiene nel suo polo positivo gli aggettivi che fanno riferimento alla scrupolosità, alla perseveranza, alla affidabilità ed alla autodisciplina e, nel suo polo negativo, gli aggettivi opposti;
- Nevroticismo. Il polo positivo di questo fattore è rappresentato da vulnerabilità, insicurezza ed instabilità emotiva. Il polo opposto è rappresentato dalla stabilità emotiva, dalla dominanza e dalla sicurezza.
- Apertura all’esperienza. Il polo positivo di questo fattore è rappresentato da creatività, anticonformismo ed originalità. Il polo opposto è, invece, identificato dalla chiusura all’esperienza, ossia dal conformismo e dalla mancanza di creatività ed originalità.
Ovviamente non mancano critiche a questo approccio, tra le quali la principale è che non tutti i popoli possono essere studiati attraverso le dimensioni proposte, soprattutto per quel che riguarda i paesi orientali.
Ciò nonostante, conoscere gli elementi che compongono queste dimensioni ci permette di avvicinarci alla comprensione della personalità dei due tratti in particolare sembrerebbero corrispondere al comportamento di voto: punteggi elevati di “apertura all’esperienza” portano il voto a sinistra; seppur in misura minore, punteggi elevati di “coscienziosità” portano il voto a destra.
Più recentemente, un terzo tratto, l’instabilità emotiva (nevroticismo, insicurezza e ansia), ha dimostrato di influenzare il sostegno ai movimenti populisti, tra cui l’ascesa di Trump e la Brexit.
È da analisi psicologiche come queste che nascono campagne come “Make America Great Again” e “Take Back Control”, che attingono alle ansie di queste persone offrendo impossibili sicurezze.
Pur essendo uno spunto certamente interessante, non bisogna ingigantire il ruolo che quest’ultimo aspetto ha avuto sulle elezioni americane.
Non solo perché si tratta di dati provenienti da valutazioni soggettive, ma anche perché qualora i dati fossero realmente accurati, troppo poche sarebbero le persone con alti punteggi di “nevroticismo” per aver fatto la differenza.
In effetti, i cosiddetti “Big Five” non sono in genere più efficaci di informazioni quali l’istruzione o il reddito per prevedere i comportamenti di voto.
La personalità degli elettori può essere considerata come un fertile “terreno di mezzo” tra caratteristiche demografiche e convinzioni politiche.
Sebbene infatti i “Big Five” siano influenzati da fattori ambientali come l’età e l’istruzione, a loro volta, modellano le risposte alle attuali questioni politiche.
Una spiegazione psicologica per certi versi più efficiente si basa sulla teoria dei fondamenti morali.
Le differenze nelle preoccupazioni morali delle persone possono essere descritte in termini di cinque fondamenti morali:
- Cura: amare e proteggere gli altri; l’opposto del danno
- Equità o proporzionalità: rendere giustizia secondo regole condivise; l’opposto di barare
- Lealtà o ingroup: stare con il proprio gruppo, famiglia, nazione; l’opposto del tradimento
- Autorità o rispetto: sottomissione alla tradizione e legittima autorità; l’opposto della sovversione
- Santità o purezza: orrore per cose, cibi, azioni disgustose; l’opposto del degrado
Questi cinque fondamenti morali sembrerebbero raggrupparsi in due ripartizioni di ordine superiore: il gruppo individualizzante (cura ed equità) e il gruppo vincolante (lealtà, autorità e santità).
Le differenze nel comportamento di voto possono essere meglio comprese nella misura in cui gli individui aderiscono a ciascuno dei cinque fondamenti morali.
Nella maggior parte, se non in tutti i Paesi, gli elettori di sinistra tendono a identificarsi nella cura per gli altri e l’applicazione dell’equità – che concernono la moralità a livello individuale.
Gli elettori di destra, al contempo, tendono a identificarsi nella fedeltà al proprio gruppo, la sottomissione all’autorità e l’avversione per i comportamenti impuri – che concernono la moralità a livello di gruppo.
La differenza fondamentale nel comportamento di voto sarebbe quindi la misura in cui l’elettore si identifica in uno dei due gruppi.
Sappiamo che la stragrande maggioranza degli elettori decide con largo anticipo quale candidato preferire.
Questo tipo di partigianeria si rafforza nel tempo grazie all’identificazione di partito, il processo per cui gli elettori sentono una vicinanza intima tra sé stessi ed un partito.
Questo paradigma si è rapidamente affermato come una chiave per interpretare gli atteggiamenti politici e il comportamento di voto soprattutto negli Stati Uniti.
Secondo alcuni studiosi, l’identificazione di partito sarebbe una forma di identità sociale – come accade con un gruppo religioso o etnico – che si sviluppa presto nella vita di una persona soprattutto attraverso la famiglia, influenze sociali e fattori ambientali.
In quanto tale, l’identificazione di partito sarebbe una dimensione stabile. Secondo un’altra prospettiva, l’identificazione di partito sarebbe una dimensione più flessibile ed una scelta consapevole derivante dalla valutazione continua del contesto politico, economico e sociale. indipendentemente dalla chiave di lettura, tale identificazione dura spesso per decenni.
Negli Stati Uniti, l’identificazione di partito viene rilevata attraverso una scala standardizzata a 7 punti.
Agli intervistati viene chiesto se, parlando in generale, si considerino democratici, repubblicani, indipendenti o qualcos’altro.
A chi si identifica con uno dei due maggiori partiti viene quindi chiesto se si definiscono un democratico/repubblicano forte o non forte.
In questo modo sono formate le quattro categorie estreme della scala (fortemente democratico – debolmente democratico; fortemente repubblicano – debolmente repubblicano).
Gli intervistati che dicono di essere indipendenti (o altro), ricevono una ulteriore domanda che chiede loro se tendono verso il Partito Repubblicano o il Partito Democratico.
Quelli che rispondono di propendere per uno dei due partiti formano le categorie degli indipendenti tendenti verso un partito, gli altri sono gli indipendenti puri.
La proporzione di americani che ammettono di avere un’identificazione di partito è oggi ai minimi storici.
Quando gli American Election National Studies iniziarono (1952), tre quarti delle persone interrogate si dichiararono democratici o repubblicani.
Brady & Parker (2018) hanno invece rilevato che solo il 60% degli americani lo ha fatto nel 2016.
Analogamente, sondaggi commerciali riportano che il 40% o più degli americani oggi affermano di essere indipendenti. Alcuni studiosi sostengono che la maggior parte degli indipendenti siano in realtà i sostenitori nascosti di un partito, altri ritengono che un’ampia fascia dell’elettorato americano trovi oggi poco interessanti le identità partitiche disponibili (Klar & Krupnikov, 2016).
Vi è però un altro interessante aspetto da considerare per capire cosa sta dietro il voto a Trump o Biden: la cosiddetta partigianeria affettiva.
Nel corso del tempo, non solo il partito democratico è diventato più omogeneamente progressista, quello repubblicano più omogeneamente conservatore, ma i due gruppi hanno assunto stili di vita differenti, credenze diverse e preferenze di media loro proprie.
Questo permette di valutare i posizionamenti dei singoli elettori secondo quello che la psicologia sociale definisce contrasto in-group out-group.
I membri di un gruppo valutano positivamente gli altri membri, difendono il gruppo in caso di minaccia e agiscono con parzialità a vantaggio dei suoi membri; il contrario vale per l’out-group.
Conseguentemente, il voto non sarebbe un voto “a favore di” ma un voto contro la fazione avversaria.
Proprio a partire dall’osservazione che coloro che si identificano come repubblicani o democratici valutano la parte opposta in modo più negativo rispetto a prima ma non valutano il proprio partito in modo più positivo,
Abramowitz & Webster (2016, 2018) sostengono che la contemporanea identificazione di partito sia più propriamente una identificazione negativa.
Detto altrimenti: il democratico medio non è d’accordo con il repubblicano medio su più questioni, più non si trovano d’accordo e tanto meno si piacciono.
Questo approccio permette di spiegare in qualche modo anche l’aumento degli indipendenti, persone che trovano più cose su cui non essere d’accordo con democratici e repubblicani.
Stando così le cose, gli alti livelli di ostilità partitica che accompagnano livelli molto inferiori di disaccordo politico riflettono un maggiore allineamento tra identità partitiche, ideologiche e sociali.
Ecco perché gli studi sulle elezioni americane rivelano spesso che le campagne elettorali hanno un effetto limitato, in gran parte basato su situazioni contingenti che, spesso, poco sembrano a che vedere con specifiche questioni politiche.
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