Stati Uniti: Le mosse del Presidente Donald Trump e il futuro delle Forze Armate americane

Di Giuseppe Gagliano 

WASHINGTON D.C. L’epurazione è avvenuta in un silenzio assordante, quasi fosse un’operazione di routine, uno dei tanti aggiustamenti di poltrone che accompagnano ogni cambio di amministrazione a Washington.

Ma questa volta, dietro il congedo anticipato di Charles C.Q. Brown e Lisa Franchetti, si cela qualcosa di più profondo, una scelta che potrebbe ridefinire il rapporto tra politica e forze armate negli Stati Uniti e, con esso, la postura strategica di Washington nei confronti del mondo.

Il Generale Charles C.Q. Brown, l capo dello Stato Maggiore congiunto (Di Benjamin D. Applebaum, U.S. Department of Defense)

 

Trump ha deciso di tagliare corto e sostituire due figure chiave: il capo dello Stato Maggiore congiunto e la Comandante della Marina.

L’Ammiraglio Lisa Franchetti, ex capo della Marina degli Stato Uniti

 

Due nomi che non sono solo nomi. Brown rappresentava il continuum istituzionale, il legame con l’apparato di sicurezza nazionale plasmato dalle amministrazioni precedenti, inclusa quella di Joe Biden.

Franchetti, prima donna a capo della Marina, incarnava la spinta verso una modernizzazione tecnologica e organizzativa della US Navy, in particolare nella corsa per il dominio dell’Indo-Pacifico. Due figure che, agli occhi del nuovo inquilino della Casa Bianca, rappresentavano il passato da smantellare.

Il controllo della macchina bellica

Non è un segreto che Trump voglia un Esercito più allineato alla sua visione: meno incline a guerre interminabili, meno permeabile ai principi di inclusività e diversità che negli ultimi anni hanno influenzato le politiche di reclutamento e gestione del personale.

Il Generale John D. Caine, successore di Brown, è un uomo che condivide questa visione.

Il Generale John D. Caine, successore di Brown

 

Ex sottosegretario alla Difesa sotto la prima Amministrazione Trump, è un sostenitore del concetto di “pace attraverso la forza”, una formula che richiama la dottrina reaganiana ma con una declinazione più brutale, più disinvolta nell’uso della deterrenza militare. Il messaggio è chiaro: via gli uomini del compromesso, dentro quelli della fermezza.

Nel caso di Franchetti, il licenziamento è stato ancor più repentino.

Il suo sostegno a programmi di rinnovamento della flotta, come il Progetto 33, mirava a dotare la Marina di nuove capacità per affrontare un’eventuale crisi con la Cina.

Ma agli occhi della nuova Amministrazione, Franchetti rappresentava anche un problema ideologico.

La sua adesione alle politiche di diversità e inclusione, viste come strumenti di indebolimento dell’efficacia militare, l’ha resa una delle prime vittime dello spoil system trumpiano.

Il rischio della politicizzazione delle Forze Armate

Il cambiamento ai vertici militari non è solo una questione di nomi e strategie.

Tocca un nervo scoperto della democrazia americana: il rischio di una politicizzazione eccessiva dell’apparato di Difesa.

Tradizionalmente, i vertici delle Forze Armate godono di un’autonomia che permette loro di operare con continuità, indipendentemente dalle oscillazioni politiche di Washington.

Intervenire con tanta decisione su questi equilibri potrebbe creare una spirale pericolosa.

La sostituzione di Brown e Franchetti lascia aperti diversi interrogativi.

Si tratta solo dell’inizio di una riorganizzazione più ampia? E quale sarà l’impatto sulla capacità degli Stati Uniti di gestire le crisi globali?

La dottrina trumpiana, almeno a parole, punta a ridurre il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in conflitti all’estero, ma al tempo stesso a garantire una deterrenza muscolare.

Tuttavia, ridurre l’influenza degli alti comandi tradizionali potrebbe portare a scelte più impulsive e meno bilanciate.

Nel breve termine, la decisione di Trump potrebbe rafforzare la sua presa sul Pentagono e consolidare la sua autorità.

Ma nel lungo periodo, una catena di comando troppo dipendente dalla volontà politica rischia di compromettere la capacità di risposta strategica degli Stati Uniti.

La Storia ha già mostrato più volte come la militarizzazione della politica e la politicizzazione dell’esercito siano due facce della stessa medaglia: una miscela instabile che, se maneggiata con troppa disinvoltura, può avere conseguenze imprevedibili. E questa volta, il banco di prova potrebbe essere l’Indo-Pacifico, con la Cina che osserva da vicino ogni mossa di Washington, pronta a trarne le proprie conclusioni.

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