Di Pierpaolo Piras
Washington. Non cessano, negli Stati Uniti, i numerosi scontri con la Polizia e le violenze.
A Washington, nonostante il coprifuoco, decretato direttamente da Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti (secondo la legge americana, infatti, la città è considerata di giurisdizione federale e non di Contea) i manifestanti sono scesi di nuovo in piazza.
Al momento sono circa 25 le grandi città coinvolte in questa dilagante ondata di proteste iniziate a Minneapolis, capitale dello stato di Minnesota, a seguito della morte di un cittadino afroamericano, George Floyd, avvenuta nel corso di un arresto da parte della locale Polizia.
Le rivolte razziali si sono verificate altre volte negli USA, senza mai dilagare in centri diversi dai primi luoghi di violenza.
Così è stato nei tumulti di Los Angeles del 1992, con ben 60 morti, o a Ferguson (Missouri) nel 2014 ed altri ancora.
La prima causa di questi avvenimenti è stata sicuramente il forte sentimento di indignazione suscitato nella popolazione afroamericana – ma anche in quella di tutte le persone civili, bianche o nere o gialle o rosse che siano -, per le operazioni di arresto di Floyd , considerate ai più violente e per le quali sono ancora in corso le indagini specifiche.
Questo però non basta a spiegare, ancora meno a giustificare, gli innumerevoli episodi di teppismo, la violenza fisica sulle persone ed il saccheggio sistematico dei negozi di lusso di Manhattan o Los Angeles, intere catene di supermercati come Target, Walmart, CVS, così come migliaia di rivendite di liquori e superalcoolici, cellulari, computer vari ed utensili da cucina, che con la lotta al razzismo non hanno proprio nulla a che vedere.
Contro questi atti ha tuonato il Presidente Trump, che nella campagna elettorale in corso per le elezioni presidenziali si è proposto come il “Presidente della Legge e dell’Ordine”.
Lo stesso Trump ha sollecitato fortemente i Governatori di ogni Stato nazionale ad essere più decisi e risolutivi verso gli atti delinquenziali.
In caso contrario sarà costretto ad utilizzare una antica legge dell’XIX secolo che autorizza il Presidente ad utilizzare le Forze Armate in casi analoghi e per ragioni di sicurezza nazionale.
Il suo principale avversario, il democratico Joe Biden, molto affermato presso la comunità di colore, solidarizza sulla legittima rabbia ma non sulla pratica della violenza.
Il quadro generale dell’ordine pubblico pone in evidenza che la maggior parte dei cittadini manifesta pacificamente.
Accanto ad essi i danni maggiori sono determinati da una minoranza di ben noti movimenti dell’estrema sinistra come gli “Antifa”, gruppi vari di anarchici e facinorosi di ogni tipo, di ogni colore cutaneo, che strumentalizzano i disordini.
Ad aggiungere legna al fuoco della rabbia ci si mette anche il mondo della comunicazione sui social con la messa in onda di autentici falsi come numerosi vecchi video (non solo americani) di violenze razziali ma spacciati come attuali.
Sono componenti che, in prossimità delle elezioni politiche generali USA, previste per la vicina data di novembre, fanno realisticamente sospettare che dietro una malcelata coordinazione a livello nazionale ci sia anche la mano di forze intese a squalificare l’immagine e inadeguatezza di “The Donald” al rinnovo della carica presidenziale” degli Stati Uniti.
Sullo sfondo di questa dolorosa vicenda ci sono due rilevanti fattori.
Uno. La mai risolta e patologica mentalità supremaziale che penalizza e discrimina, economicamente e socialmente, tutti coloro che non sono di etnia bianca. Ancor più negli Stati più meridionali degli USA.
In questi ultimi decenni, questa percezione è divenuta decisamente frustrante per i più giovani con meno di 40 anni, oggi ben istruiti e non analfabeti come i loro progenitori africani, che incontrano notevoli e costanti difficoltà a trovare lavoro al di là del merito, e per farla ancora più concreta, a trovare un chiaro riscontro a ciò che recita e promette la Dichiarazione di Indipendenza, negli USA molto declamata, ovvero lo stretto legame esistente in una democrazia tra la sicurezza dei diritti di ogni genere (come ad esempio quella di essere tutti uguali di fronte alla Legge) e dall’altro la sensazione concreta di sicurezza personale legata al coronamento della propria felicità.
Due. Dopo oltre 8 settimane di epidemia da COVID-19, soffrono più di 36 milioni di abitanti in stato di disoccupazione (23% della popolazione) che ricevono una sussistenza dallo Stato. Ovvero una terribile crisi economica iniziata in un periodo di massima espansione senza precedenti di Wall Street, la borsa azionaria di New York.
Praticamente, tutti i folgoranti successi della economia e occupazione americane sotto Trump sono stati persi in due mesi.
Per trovare un precedente analogo bisogna tornare alla grande depressione del 1929.
Ora il grande timore di tutte le autorità è quello di sopperire a questo livello di senza lavoro, insopportabile in un Paese con fragili protezioni sociali, se paragonate con i Paesi europei.
Aggiungiamo che a causa del Coronavirus negli USA circa centomila persone hanno perso la vita ed i contagiati sono oltre 1,3 milioni.
La domanda che tutti si pongono è: ora che cosa facciamo?
Intanto, abbiamo verificato storicamente che le rivoluzioni, tanto meno quelle violente come quelle comuniste e fasciste, non riescono in alcuna maniera a creare felicità e benessere, ma l’esatto contrario.
Il vero e comune obiettivo deve essere quello di costruire utilizzando il migliore strumento cioè quello della pace.
Anche nel loro bene, gli autori delle violenze devono assumere questa intenzione rinunciando alla violenza.
C’è uno strumento, il migliore sperimentato finora per affrontare e risolvere i bisogni sociali, la democrazia con il suo insuperabile potenziale per lo sviluppo delle persone e la capacità di incanalare le energie di tutti (anche delle proteste) verso il miglioramento delle Istituzioni.
Al contrario i violenti dovranno prendere atto cha il termine democrazia non è sempre sinonimo di calabraghismo.
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