Stati Uniti-Venezuela: dalla distensione al duello. Petrolio, milizie e migrazione legale nella nuova Guerra Ibrida tra Washington e Caracas

Di Cristina Di Silvio*

WASHINGTON D.C. All’inizio di agosto, le relazioni tra Washington e Caracas sembravano avviarsi verso una sorprendente fase di distensione.

Sostenitori del Presidente venezuelano Nicolas Maduro a Caracas

 

La Casa Bianca aveva infatti concesso a Chevron una nuova licenza – emessa dal Dipartimento del Tesoro a fine luglio e formalizzata nelle prime settimane di agosto – che autorizzava l’azienda statunitense a riprendere le estrazioni petrolifere in Venezuela, in conformità con le leggi e le sanzioni vigenti.

Due petroliere, la Mediterranean Voyager e la Canopus Voyager, cariche di greggio pesante Hamaca e Boscan, sono salpate alla volta degli Stati Uniti, dirette verso raffinerie della costa occidentale e di Port Arthur, in Texas.

Il ritorno di Chevron ha avuto l’effetto di una boccata d’ossigeno per il settore energetico venezuelano, tale da consentire una ripresa produttiva che potrebbe contribuire fino al 29% delle esportazioni petrolifere del Paese, pari a circa 250.000 barili al giorno.

Questa riapertura è stata accompagnata da un gesto diplomatico altamente simbolico: lo scambio di prigionieri, in seguito al quale Caracas ha liberato dieci cittadini statunitensi, mentre gli Stati Uniti hanno rimpatriato oltre 250 venezuelani detenuti in El Salvador.

Sembrava il segnale concreto di un pragmatismo emergente e di una possibile distensione, dopo anni di aspre tensioni.

Tuttavia, nella prima settimana di agosto, la situazione è precipitata in un’escalation tanto rapida quanto violenta.

L’Amministrazione Trump ha annunciato il raddoppio della taglia sulla cattura di Nicolás Maduro – da 25 a 50 milioni di dollari – collegandola ad accuse di legami diretti con il Cartel de los Soles.

Il Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro in un comizio

Parallelamente, il Pentagono ha disposto il dispiegamento di tre cacciatorpediniere dotati del sistema Aegis – USS Gravely, USS Jason Dunham e USS Sampson – nelle acque del Mar dei Caraibi, attribuendo loro autorità d’interdizione attiva contro i traffici di droga e modificando le regole d’ingaggio tradizionali, prerogativa fino a quel momento riservata alla Guardia Costiera.

Cacciatorpediniere USA in navigazione verso il Mar dei Caraibi

Ufficialmente, l’operazione mira a contrastare i cartelli della droga; tuttavia, osservatori militari e analisti interpretano la mossa come un chiaro avvertimento geopolitico, rivolto non solo al Venezuela, ma anche a potenze come Russia e Cina. Caracas ha reagito con una dichiarazione plateale: la mobilitazione della Milizia Nazionale Bolivariana, composta – secondo fonti ufficiali – da circa 4,5 milioni di miliziani, equipaggiati con fucili e sistemi missilistici leggeri per la difesa territoriale popolare.

Una componente della Milizia venezuelana

 

Il Presidente venezuelano Nicolas Maduro ha definito le operazioni statunitensi “stravaganti e assurde”, ribadendo la retorica della sovranità nazionale minacciata da un imperialismo nordamericano.

Il ricorso alla Milizia – più fedele e ideologicamente allineata rispetto a un Esercito regolare logorato sul piano economico e politico – rappresenta, oltre a un segnale militare, una scelta tattica interna volta al consolidamento del potere.

In questo contesto, la risposta del Messico si distingue per il suo approccio divergente: la Presidente Claudia Sheinbaum ha espresso scetticismo circa l’assenza di prove concrete che colleghino Maduro ai cartelli della droga messicani, in particolare quello di Sinaloa.

Il suo atteggiamento segnala una volontà di autonomia strategica nei confronti di Washington e mette in discussione la legittimità delle accuse statunitensi.

Da un processo di mediazione fondato su interessi energetici a una crisi delineata da proiezione navale e retorica sovranista: in meno di due settimane, il fragile equilibrio diplomatico è imploso.

Sul piano tecnico-legale, il dispiegamento dei cacciatorpediniere comporta una ridefinizione del ruolo navale statunitense nell’emisfero occidentale, giustificata dalla designazione dei cartelli come organizzazioni terroristiche. Il quadro normativo si è dunque ampliato, includendo operazioni marittime attive, azioni di interdizione e ricompense multimilionarie.

Strategicamente, Washington impiega tali strumenti come leva per rimodellare le relazioni regionali, facendo del contrasto al narcotraffico un meccanismo di pressione multilivello.

In risposta, Caracas si propone come simbolo della resistenza nazionale – armando civili, evocando Simon Bolívar e Hugo Chávez, e costruendo la narrativa di un popolo pronto alla difesa della patria.

Una delle tante raffigurazioni del Generale Bolivar

Mentre la milizia si configura come contraente interno della fedeltà al regime, il Messico si delinea come potenziale perno regionale di equilibrio, adottando una linea autonoma rispetto alla geopolitica centrata sugli Stati Uniti.

In definitiva, ciò che sta prendendo forma non è una guerra ideologica, bensì una guerra ibrida in cui energia, proiezione navale, milizie popolari, accuse penali, cornici normative e alleanze regionali si intrecciano in una complessa partita per il controllo della legittimità, dell’influenza e, soprattutto, della percezione internazionale.

 

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna in alto