SULLE TRACCE DEGLI SNIPER: ECCO COME SI DIVENTA TIRATORE SCELTO

Dimenticate film come “Shooter” o “American Sniper”. La realtà in cui opera il tiratore scelto è molto diversa. Ce ne accorgiamo subito, varcando la soglia della Scuola di Fanteria di Cesano, l’Ente responsabile della preparazione di base di tutti i militari dell’Esercito e l’unico Istituto della Forza Armata volto alla formazione e all’aggiornamento dei tiratori scelti.

Qui i punti di riferimento vengono ricercati al di fuori della finzione cinematografica, tra coloro che incarnano gli aspetti più realistici e crudi, di questa professione. Si parla di figure come Carlos Hathcock, cecchino dei Marines degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam e Simo Häyhä, tiratore scelto finlandese, noto come “Morte Bianca”.

«Hathcock durante un’attività di stalking su un target reale poteva impiegare anche tre giorni per percorrere un chilometro e mezzo mentre Häyhä, durante la guerra d’inverno contro l’Armata Rossa, per coprire il vapore del respiro si metteva la neve in bocca». A parlare è il Tenente Manuel Moretti, istruttore del dipartimento “Armi e Tiro” del centro addestramento al combattimento che fa formazione avanzata per fanteria. Sarà lui a introdurci nel difficile e duro percorso che affrontano gli aspiranti sniper.

Tiratori scelti mimetizzati nella vegetazione. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

Un iter che inizia dalla selezione e che, per essere portato a termine, necessita di particolari abilità ma soprattutto di una forte motivazione. «I corsi più difficili vengono fatti su base volontaria per questo la motivazione è essenziale per coloro che passano alla fase di addestramento», afferma Moretti. I frequentatori del corso sono selezionati, in base a stretti parametri, tra i migliori componenti di tutte le Brigate delle Forze Operative Terrestri. Necessario è, ovviamente, un livello di tiro già alto che verrà, poi, perfezionato con il conseguimento del brevetto. «Anche se non è detto – precisa Moretti – che il più bravo nel tiro risulti, poi, anche il primo del corso perché vengono valutati vari fattori. Magari uno è bravissimo a sparare però nell’attività di stalking e mascheramento non eccelle. Le diverse capacità si bilanciano».

I prescelti frequentano otto settimane di intenso addestramento fatto di dure esercitazioni, lezioni teoriche, e valutazioni costanti. Le discipline in programma spaziano dalle tecniche di combattimento alle lezioni sulle armi in dotazione, dalla topografia al tiro, dalla balistica al movimento occulto sul terreno (stalking), dal mascheramento alla resistenza fisica. Una formazione a 360 gradi che è un requisito essenziale per chi intende conseguire questa specializzazione.

«Li addestriamo a sparare a un obiettivo in movimento e per farlo – spiega Moretti – devono essere in grado di stimare il vento e conoscere i fattori che possono far deviare il proiettile. Inoltre per colpire il target senza essere visti è necessario posizionarsi il più lontano possibile. Risulta, dunque, fondamentale l’apprendimento delle tecniche di stima della distanza. Potrebbe sembrare una cosa di poco conto ma in realtà è tutto».

Al centro dell’aula dove si tengono le lezioni teoriche, su due manichini, sono esposti diversi esempi di ghillie suit, la tuta mimetica utilizzata dai tiratori scelti per confondersi perfettamente con l’ambiente circostante. «Per realizzarla occorrono settimane di lavoro. Vengono utilizzati materiali semplici come la juta ricavata dai sacchi di patate e la tuta viene personalizzata a seconda delle esigenze del singolo tiratore scelto. È inoltre necessario modificarla a seconda del contesto in cui deve essere utilizzata. Lo scopo è confondere le forme, per questo la ghillie suit è dotata di numerosi elastici che permettono di aggiungere la diversa vegetazione» spiega Moretti.

LO STALKING

A bordo di un mezzo raggiungiamo l’area dove è in corso l’esercitazione. Attraversiamo gli ampi spazi della Scuola che nei suoi prati ospita anche 54 daini. Arrivati in cima a una collina veniamo invitati a guardare in basso, verso un’area pianeggiante, oltre un bosco. «Lì ci sono gli istruttori in osservazione, come vedete», indica Moretti. Il punto dove si trovano è l’obiettivo intorno al quale si svolge l’esercitazione, il target rispetto al quale devono posizionarsi gli aspiranti tiratori scelti. Dal momento in cui vengono lasciati nell’area hanno 4 ore per avvicinarsi all’obiettivo e trovare una postazione adatta dove nascondersi. L’ideale è un punto nel bosco che non abbia la visuale coperta dai rami ma permetta, comunque, di non essere scoperti.

L’obiettivo intorno al quale si svolge l’esercitazione con gli istruttori in osservazione. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

«Quel solco lì in mezzo ai rovi probabilmente l’ha fatto una coppia spostandosi. O stanno qui in questo boschetto o addirittura nel prossimo. L’obiettivo è da quella parte però fino al terzo boschetto sono in angolo» spiega Moretti. Mentre osserviamo la vegetazione circostante, sulle tracce degli aspiranti sniper, vediamo comparire la prima coppia. Strisciano a terra come bradipi, alzando lo sguardo ogni 20 o 30 metri per controllare la vegetazione intorno a loro e predisporsi ad attraversarla. Prima di attraversare una distesa di felci si fermano in un luogo coperto e, dopo averle tagliate lentamente a mazzi, iniziano ad attaccarle alla tuta mimetica. «È importante non tagliarle tutte nello stesso punto altrimenti si lascia un buco, una traccia del loro passaggio che noi chiamiamo “indicatore di bersaglio”» afferma Moretti. Una volta ricoperti di vegetazione li vediamo sparire lentamente nel prato di felci. Pochi minuti e la coppia diventa invisibile. Ma i terreni da attraversare spesso sono ben più ostili. «Se ci si trova a dover attraversare una zona piena di rovi – spiega Moretti – nel limite del possibile si cerca di evitarli. A me è capitato di dover percorrere anche 100 metri sotto ai rovi e, a parte il dolore, il problema è la difficoltà nell’avanzare con la tuta di juta che rimane impigliata da tutte le parti. Inoltre bisogna stare attenti a fare movimenti ancora più lenti del normale per non essere individuati a causa del movimento dei rovi. Io a fine corso non avevo più la pelle sulle ginocchia».

Un aspirante tiratore scelto durante l’attività di stalking. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

Alzarsi in piedi, anche se si è coperti, è severamente vietato. «Questo è già il terzo esercizio di stalking che gli facciamo fare e stanno iniziando a capire ma ancora fanno degli errori», afferma Moretti. Un esercizio molto faticoso, soprattutto d’estate quando strisciare a terra per 4 ore con la ghillie suit comporta una perdita di cinque o sei litri d’acqua. «Sulla schiena vengono fatte delle aperture con la rete ma a volte svengono. È un esercizio davvero molto duro» commenta Moretti.

Durante l’attività altri istruttori monitorano gli spostamenti. Sono i “walker” e il loro compito è seguire le diverse coppie in maniera tale da poterne osservare i movimenti senza svelarne la posizione agli istruttori che sono in osservazione. «Dove vedete i walker nel raggio di 100-150 metri c’è la coppia di tiratori scelti» afferma Moretti. Se la coppia viene vista dall’obiettivo, gli istruttori in osservazione fischiano. A quel punto tutti si congelano e il walker viene guidato sulla posizione. Se, invece, i tiratori scelti non vengono individuati, al termine dell’attività viene dato l’ordine, via radio, a ogni coppia di sparare un primo colpo salve. Per superare a pieni voti l’esercitazione la loro posizione non dovrebbe essere svelata neanche dopo il secondo colpo. «L’istruttore valuta, poi, se si sono mascherati bene, se il treppiedi è stabile, se hanno stimato bene la distanza, se la posizione scelta è giusta e se hanno una via di fuga facile che gli permetta di allontanarsi facilmente dall’obiettivo nel caso venissero scoperti» afferma Moretti.

Walker monitorano gli spostamenti degli allievi durante l’esercitazione. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

Una valutazione molto rigida, per non superare il corso bastano, infatti, pochi errori. Essere trovati prima di aver sparato il colpo comporta infatti un punteggio molto basso, un 6 su 20, difficile da recuperare.

IL FUCILE

«Qui siamo in esercitazione ma il fucile combat ready, con munizioni inserite, pesa circa 8 chili e immaginate che ci devono fare chilometri», afferma Moretti mostrandoci l’arma.

Il calibro del fucile in dotazione ai tiratori scelti è .338, cioè 8,6 millimetri. «Il colpo è stabile fino a che viaggia a velocità supersonica e quest’arma garantisce una stabilità fino ai 1300 metri massimo, ma dipende anche dalle condizioni ambientali. A seconda del proiettile possiamo raggiungere al massimo una gittata di 2 chilometri. Quando voi sentite, ad esempio, il cecchino canadese che ha preso un obiettivo a 3 chilometri e 4, o a 4 chilometri non è che non è possibile. Ma il problema è controllarlo un tiro del genere. È possibile ma ci vuole molta fortuna» spiega Moretti.

Il fucile in dotazione ai tiratori scelti. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

Per consentire al tiratore scelto, in base alle sue esigenze, di aumentare o diminuire gli ingrandimenti, il fucile è dotato di un’ottica di precisione a ingrandimento variabile che permette di impostare da 3 a 12 diverse regolazioni. «L’ottica è una Schmidt & Bender, una delle migliori ottiche in circolazione in quanto permette la stima della distanza utilizzando il reticolo all’interno che è un Mil-Dot. Il problema delle ottiche è che devono avere necessariamente delle caratteristiche di robustezza e degli ingrandimenti idonei per essere utilizzate a determinate distanze «Il tiratore scelto, normalmente utilizza ingrandimenti tra i 6 e gli 8» afferma Moretti. «Ma per tirare – aggiunge – bisogna conoscere la distanza dell’obiettivo e il vento». Per far sì che i dati di tiro siano esatti l’ottica è fornita di due torrette per impostare i dati di tiro sia in elevazione che in deriva, e, inoltre, è notturnizzabile, cioè possono essere montati dei dispositivi per poter osservare e sparare di notte. «Il tiratore poi personalizza l’arma in base alle sue esigenze, viene ad esempio posto un materassino per posizionare la guancia in modo tale che l’occhio sia all’altezza giusta della lente oculare» spiega Moretti. La restante parte dell’arma invece è coperta. «Questo – ci mostra Moretti – è un normale calzino in dotazione dell’esercito che per la sua conformazione è ottimo per nascondere forme e colori, come il nero lucido dell’ottica che non va bene per nascondersi. La canna viene ricoperta di juta e di elastici per permettere di apporre la vegetazione nel momento in cui si è in final fire position. In questo caso il tiratore scelto, per sua comodità, ha legato insieme al fucile un treppiede di circostanza fatto di tre bastoni di legno legati a otto con un cordino». Il fucile viene, inoltre, ricoperto da una rete per spezzare l’effetto specchietto della lente che rischierebbe di rivelare la posizione del tiratore. Ma gli accorgimenti necessari non sono finiti.

«Per evitare che il freno di bocca faccia la polverata esistono dei soppressori, dispositivi che rompono il rumore e la fiammata rendendo il colpo meno visibile e udibile. In addestramento, tuttavia, non vengono forniti perché vogliamo mettere i ragazzi nelle peggiori condizioni» afferma Moretti.

VALUTAZIONE FINALE

Al termine delle diverse esercitazioni i frequentatori del corso, prima di procedere alla valutazione finale, devono affrontare la continuativa. «Vengono infiltrati il pomeriggio in un determinato punto e fanno il movimento tutta la notte. La mattina presto fanno l’attività di stalking con gli istruttori che li osservano. Poi vengono portati direttamente al poligono dove sparano dopo aver camminato tutta la notte», spiega Moretti. Al termine delle prove vengono valutati sull’attività di stalking, avvicinamento all’obiettivo, e anche sul tiro in condizioni di stress. La capacità di lavorare sotto stress è fondamentale perché lo stress a cui sono sottoposti è altissimo.

L’avvicinamento all’obiettivo durante l’esercitazione. (Photo credit: Francesco Bernardini)

 

Proprio per questo motivo, per diventare un tiratore scelto, bisogna, superare anche diversi test psicologici. «Tra le diverse capacità che vengono valutate c’è quella di lavorare isolati perché quando il tuo comandante dice “lì c’è un obiettivo, vai”, devi addentrarti in territorio nemico da solo, massimo in coppia. Di contro viene valutata anche la capacità di lavorare in gruppo perché le missioni vengono pianificate con l’ausilio di altri colleghi» spiega Moretti. E aggiunge «un altro aspetto molto importante è saper resistere a determinate situazioni. Vedere dentro un’ottica con un cannocchiale un obiettivo, un target colpito, significa vedere un uomo che va giù. Questo può provocare dei disagi a livello psicologico e i vari test lavorano anche su questo».

I migliori del corso, il primo terzo di coloro che lo hanno superato, possono accedere al corso di ulteriori due settimane per diventare istruttore. «Nel mio corso dai 28 iniziali siamo passati in 6 e in 2 abbiamo proseguito con l’approfondimento di alcune materie e l’apprendimento delle tecniche di insegnamento» afferma Moretti.

 

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