Di Pierpaolo Piras
Pechino. Il vertice tra Shinzo Abe, primo ministro giapponese e Li Keqiang, presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, al secondo posto nella gerarchia politica cinese dopo il segretario generale Xi Jinping, tenutosi in questi giorni nella capitale cinese, è avvenuto dopo che per sette anni i due Paesi non avevano fatto incontrare nessuno dei propri rappresentanti.

Shinzo Abe e Li Keqiang
Sono stati anni di relazioni gelide, accentuate dall’acrimonia e dal risentimento, mai sopiti, nati dalle crudeltà avvenute durante l’occupazione giapponese del territorio cinese nel corso della II Guerra mondiale. Le relazioni tra i due Stati hanno raggiunto il minimo storico nel 2012 a seguito della disputa sulla sovranità delle isole disabitate Senkaku nel Mar Cinese orientale, amministrate dal Giappone sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma rivendicate sia dalla Repubblica Popolare cinese che da Taiwan.

Un aereo militare giapponese sorvola le isole Senkaku nel Mar Cinese orientale
Il summit di questi giorni ha rimosso l’antica conflittualità. Il Governo di Pechino ha accolto Shizo Abe al suono di una banda musicale, ampi sorrisi e rivista della Guardia d’Onore. Successivamente, i due si sono recati nella sontuosa “Grande Sala del Popolo” per le prime dichiarazioni di circostanza.
Il radicale cambiamento dei rapporti tra Cina e Giappone è stato chiarito fin dall’inizio.
Shinzo Abe si è recato a Pechino con una delegazione commerciale di circa 500 persone in rappresentanza di quasi 600 aziende, dichiarando il proprio obiettivo di stringere legami più stretti con Pechino, passando dalla “competizione alla cooperazione”.

Il premier giapponese, Shinzo Abe
“Oggi – ha aggiunto Abe – il Giappone e la Cina svolgono un ruolo essenziale nella crescita economica non solo in Asia ma nel mondo”.
La Cina costituisce il principale partner commerciale del Giappone con saldi legami, palesi e non, mantenutisi intatti malgrado la conflittualità reciproca degli ultimi sette anni.
Li Keqiang non è stato da meno. Ha esaltato il Trattato di pace e di amicizia sino-giapponese , firmato a Pechino il 12 agosto 1978 (https://www.mofa.go.jp/region/asia-paci/china/treaty78.html) con l’intento di rispettare la sovranità di entrambi, risolvere ogni controversia con i metodi pacifici della diplomazia, impedire l’azione egemonica di chiunque nella loro area geografica e di non ingerenza negli affari interni.
Questo summit cino-giapponese, tra la seconda e la terza economia del mondo, è stato osservato con attenzione da Donald Trump, Presidente USA, la cui iniziativa “America first” ha suscitato timori tra gli alleati asiatici, specie a Tokyo, per il pericolo che gli Stati uniti possano ridurre la loro influenza politico-economica in quell’area geografica.
Il Giappone ha il terzo più grande surplus commerciale con gli Stati Uniti dopo la Cina ed il Messico e si sta delineando l’applicazione di un dazio del 25% sulle importazioni di veicoli e parti di automobili giapponesi. La recente “guerra delle tariffe” con la Cina ha spinto gli americani a superare l’isolamento stringendo legami più saldi con il Paese del Sol Levante.
D’altra parte cosa accadrebbe se migliorassero, magari a breve, i rapporti economici tra Cina ed USA ? Le problematiche di politica internazionale nell’area del Mar cinese sono, come si vede, piuttosto complesse e di difficile quanto stabile definizione e previsione.
Non sembra, invece, ritrarsi la strategia cinese che passa sotto il nome di “Belt and Road Iniziative” , definibile come una sorta di globalizzazione dei sistemi di trasporto delle merci, su strada ed, ancor più, su treno, per collegare l’Asia (con terminali sulla costa cinese) con alcune mega stazioni europee, passando anche per l’Africa.
La Cina ha già dichiarato che i suoi investimenti in questo Continente è di 60 miliardi di dollari tra prestiti (contestati da alcuni che vedrebbero in essi uno strumento di controllo politico sugli Stati indebitati) ed infrastrutture, specie grandi porti per meganavi portacontainer .
Rivivrebbe una nuova “Via della seta” per il momento ancora utopica a causa della lunghezza dei percorsi, peraltro in territori e nazioni decisamente conflittuali.
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