Thailandia: Anutin Charnvirakul sfida le reti Shinawatra tra diga del Mekong e potere economico

Di Giuseppe Gagliano*

Un premier di rottura in un Paese instabile

Il 7 settembre 2025 Anutin Charnvirakul, leader del partito Bhumjaithai ed ex magnate dell’edilizia, ha giurato come Primo ministro della Thailandia davanti al re Vajiralongkorn, diventando il terzo capo di governo in due anni, dopo la destituzione di Paetongtarn Shinawatra. La sua elezione da parte del Parlamento, avvenuta il 5 settembre con il sostegno del People’s Party e di altre formazioni minori, è arrivata in un contesto di forte tensione politica, con un Paese segnato dall’alternanza di governi e dall’influenza ancora viva del clan Shinawatra.

Anutin ha promesso stabilità, indipendenza dagli interessi privati, sicurezza dei confini e sviluppo sostenibile, dichiarando che il suo governo non sarà ostaggio delle lobby imprenditoriali. Tuttavia, la sua ascesa è stata interpretata come l’inizio di una “guerra aperta” all’interno delle élite economiche per ridimensionare il potere di
una famiglia che, negli ultimi vent’anni, ha dominato politica e affari.


Il potere economico degli Shinawatra e la sfida di Anutin

La dinastia Shinawatra – guidata da Thaksin, tornato dall’esilio nel 2023, e dalla figlia Paetongtarn – resta radicata nei settori strategici di telecomunicazioni, energia e infrastrutture. L’ex premier conserva rapporti stretti con due tra i più potenti tycoon del Paese: Sarath Ratanavadi, CEO di Gulf Energy Development e uomo più ricco della Thailandia, e Dhanin Chearavanont, ex presidente del colosso agroalimentare Charoen Pokphand Group.

Una foto del 22 agosto 2024, che li ritrae insieme, è stata interpretata come simbolo di un asse tra politica e grandi imprese. Anutin, ex presidente della Sino-Thai Engineering, rappresenta invece un diverso blocco di potere economico e ha promesso indagini trasparenti sui grandi appalti, come nel caso del crollo di una strada a Bangkok attribuito a vecchi contractor legati al passato.

La prima offensiva: l’idroelettrico in Laos

Il primo terreno di scontro riguarda i progetti idroelettrici in Laos, dove le aziende thailandesi stanno investendo miliardi per esportare energia verso Bangkok. Gulf Energy, di Ratanavadi, ha acquisito nel luglio 2025 il 60% del progetto Pak Lay Hydropower (770 MW sul Mekong) per 128 milioni di dollari, con un piano di investimenti fino a 10 miliardi di dollari in idroelettrico laotiano e GNL domestico.

Questi progetti sono contestati per i forti impatti ambientali transfrontalieri: dighe come Pak Beng, Sanakham e Xayaburi hanno già provocato proteste in Thailandia per la riduzione del flusso del Mekong, danni agli ecosistemi e alle comunità locali di pescatori e agricoltori. Il governo Anutin ha espresso preoccupazioni formali al
Laos per il progetto Sanakham e per altri cantieri, sostenendo la necessità di valutare meglio rischi idrici e costi sociali.

Dietro le ragioni ambientali si intravede anche una strategia di contenimento: colpire gli interessi di Gulf significa ridimensionare le reti Shinawatra-Ratanavadi. Non a caso il primo viaggio all’estero di Anutin, previsto il 15 ottobre 2025, sarà proprio a Vientiane, con all’ordine del giorno energia e questioni di confine.

Un conflitto di élite con effetti geopolitici

Quella che appare come una battaglia per l’ambiente è anche una disputa sul controllo delle rendite energetiche e delle grandi opere, capace di ridefinire l’influenza economica tra Bangkok e Vientiane. Alcuni analisti leggono in questa politica un tentativo di riportare sotto l’egida governativa settori strategici, altri vi vedono una resa dei conti mirata contro i rivali storici.

L’impatto geopolitico è evidente: il Mekong è arteria vitale per l’energia e l’agricoltura del Sud-Est asiatico. Rivedere unilateralmente concessioni e accordi potrebbe inasprire i rapporti con il Laos e irritare la Cina, grande finanziatrice delle infrastrutture fluviali. Per gli investitori giapponesi e cinesi, il segnale è di incertezza: il rischio è il rallentamento di progetti e la fuga di capitali, in un momento in cui la Thailandia deve affrontare un baht forte e crescita debole.

Il banco di prova di Bangkok

La partita aperta da Anutin sul Mekong deciderà se il suo governo sarà ricordato come riformatore del sistema o come protagonista di una guerra di fazione. Se riuscirà a riequilibrare i rapporti con il clan Shinawatra e a negoziare con Vientiane regole più trasparenti, Bangkok potrà consolidare il ruolo di hub energetico e logistico
dell’Indocina. Ma un’escalation interna tra oligarchie rischia di riportare la Thailandia in una spirale di instabilità politica e sfiducia internazionale, con conseguenze su investimenti, turismo e sicurezza regionale.

* Presidente Cestudec (Centro Studi Strategici)

 

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