Trattato INF: in caso di ritiro degli Stati Uniti avremo un’Europa meno sicura. Sul tavolo della politica internazionale la ripresa degli armamenti?

Di Pierpaolo Piras

Washington. Alcuni giorni fa, Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti, ha comunicato ufficialmente la fuoriuscita USA dal trattato “INF” (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) firmato a Washington l’8 dicembre 1987 dal predecessore Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, Presidente dell’Unione Sovietica di allora.

La firma del Trattato INF

Il trattato era finalizzato all’eliminazione dei missili nucleari a corto e medio raggio, con una gittata rispettivamente di 1.000 e 3.500-5.000 chilometri.

Per oltre 30 anni questo storico accordo è stato la pietra miliare che ha condizionato i rapporti internazionali tra la NATO ed il Patto di Varsavia per tutto il periodo della Guerra Fredda.

La cessazione dell’INF ha presto innescato la paura di una nuova corsa degli armamenti sia nel teatro europeo che per l’approssimarsi al rinnovo del trattato sui missili nucleari a lungo raggio (oltre i 5.500 chilometri) in scadenza nel febbraio 2021.

In realtà questo annuncio era da tempo nell’aria reso concreto dalle numerose posizioni dell’Amministrazione americana resesi opportune negli ultimi anni sulla necessità di superare il trattato INF, oltremodo superato dal progresso delle tecnologie militari, comprese quelle miniaturizzate.

Esso è poi condizionato dall’ingresso del gigante cinese come protagonista ineludibile sia della scena politica internazionale contemporanea che per il suo rinnovato ruolo geopolitico.

A questi elementi sono poi legate le esigenze cinesi di sicurezza e di presenza militare nell’area asiatica, gravante per la sua posizione geografica tra l’oceano Pacifico e Indiano.

L’accusa di Trump rivolta alla Federazione Russa è quella di aver violato sistematicamente gli articoli del trattato INF arrivando oltre tutto a spiare la vita privata dello stesso Presidente americano nel campo di golf di sua proprietà.

Il Presidente russo Vladimir Putin e quello americano Donald Trump

Entrambi i capi di Stato di USA e Russia sono consapevoli che la Cina, pur essendo diventata un grande protagonista, non è attualmente soggetta ad alcun accordo sugli armamenti strategici, ma che negli ultimi dieci anni ha investito grandemente in tutti settori della Difesa.

Washington vede la Cina come un importante rivale capace di condizionare le strategie sia economico-politiche che militari dell’intero pianeta.

L’intenzione dichiarata da Mike Pompeo, segretario del Dipartimento di Stato, è quella di portare al tavolo della trattativa sia la Cina che le altre nazioni politicamente e militarmente implicate in questo senso.

Il ministro degli Esteri Usa, Mike Pompeo

Il Ministero della Difesa USA stima in 290 il numero dei missili nucleari intercontinentali cinesi, un numero decisamente inferiore alle 1350 testate massimamente attribuite dal trattato INF agli USA e Russia.

Recentemente, lo stesso Pompeo, ha affermato che “da ora in poi, gli Stati Uniti esortano la Russia e la Cina a unirsi a noi in questa opportunità per offrire risultati di sicurezza reali ai nostri paesi e al mondo intero”.

La Cina mostra freddezza ma si affretta a specificare la sua scarsa volontà di porsi il problema della proliferazione nucleare, almeno sino a quando il suo arsenale rimarrà così sproporzionatamente inferiore rispetto agli altri due.

A questo punto la politica bilaterale di USA e Russia si complica divenendo multilaterale nella composizione e definizione degli assetti strategici.

Gli Stati Uniti ne approfitteranno per testare in nuovi e sofisticati armamenti balistici come il missile “Tomahawk” di nuova concezione, capace di una gittata aumentata, dotato di un armamento molto più potente e lanciabile anche da terra.

La Russia farà altrettanto con la definitiva sperimentazione del nuovissimo missile “Novator”, una sorta di superbomba viaggiante ad oltre 500 chilometri di distanza, che si aggiungerebbe all’elenco delle violazioni del patto IFN di Mosca verso Washington.

Lo stesso accordo prevede un semestre di trattativa prima che la sua disdetta diventi esecutiva.

Molto dovrà essere ridefinito come le nuove regole per l’ispezione delle strutture nucleari dell’avversario e la distensione sulle numerose controversie relative alle reciproche violazioni dei trattati stessi.

Questa è la seconda volta che Trump si disimpegna da un trattato sulle armi nucleari. Nel 2018 ha negato anche l’adesione USA all’accordo nucleare con l’Iran.

Sullo sfondo ancora una volta viene posto il problema della deterrenza iniziato negli anni successivi alla II Guerra mondiale.

“Nessuno vuole più una nuova Pearl Harbour”, disse Dwight D. Eisenhower, significando che l’unico sistema capace di imporre la pace è quello di poter direttamente sorvegliare gli armamenti e le azioni dell’avversario.

Dwight D. Eisenhower

L’obiettivo dichiarato fu e continua ad essere quello di evitare un attacco a sorpresa.

Il poter sorvolare i cieli avversari ha determinato un clima di serenità e fiducia, che oggi andrebbe rivisto alla luce dei progressi raggiunti dalla straordinaria capacità di ripresa fotografica dei satelliti commerciali e ancor più di quelli militari.

Tra non molto scadrà il rinnovo per la regolazione delle armi, stavolta convenzionali, tra USA e Russia, delle quali ancora non si parla, ma destinate anch’esse a creare non pochi contrasti tra gli attori di questa complicata trattativa internazionale.

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