Turchia e Arabia Saudita: ambizioni militari e diplomazia tecnologica

di Chiara Cavalieri

ANKARA. Non è la prima volta che Ankara e Riyad si osservano oltre i confini del Golfo, cercando punti di contatto in un settore strategico come quello degli armamenti.

L’Autorità saudita per lo sviluppo della Difesa (GADD) e la turca Roketsan, azienda simbolo dell’industria bellica anatolica, potrebbero avere più di un motivo per avvicinarsi.

Missili della turca Roketsan

Ma tra dichiarazioni ufficiali, silenzi e accordi già in essere, la questione dei missili da crociera “intelligenti” resta, per ora, un capitolo aperto e nebuloso.

Un dialogo in ombra

Ad oggi, nessun documento o comunicato conferma negoziati attivi tra le due parti su questa specifica tecnologia.

Eppure, il terreno per una collaborazione esiste. Negli ultimi anni, Turchia e Arabia Saudita hanno alternato rivalità regionali a improvvisi disgeli, spesso accompagnati da accordi militari o di intelligence.

Quest’anno, ad esempio, Ankara ha mostrato al Regno saudita il caccia di quinta generazione “Kaan”, un progetto ambizioso che ha acceso l’interesse di diversi Paesi del Golfo.

il caccia di quinta generazione turco “Kaan”

Un segnale politico più che tecnico, ma significativo: Riyad cerca partner diversificati per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, mentre la Turchia punta a consolidare la sua industria della Difesa come strumento di soft power.

Precedenti e modelli

Roketsan non è nuova a collaborazioni internazionali.

Il missile da crociera SOM, sviluppato con Lockheed Martin per l’F-35, dimostra che l’azienda turca sa muoversi in contesti complessi, bilanciando trasferimento tecnologico e controllo operativo.

Un modello che Riyad potrebbe aver preso in considerazione, soprattutto dopo l’esperienza con i missili cinesi DF-21 e le pressioni americane per limitare l’accesso saudita ad armi avanzate.

Ma qui entrano in gioco differenze strutturali: la Turchia, a differenza di Pechino o Washington, non è un attore globale, e questo potrebbe spingere i sauditi a trattare con maggiore cautela.

Nodi irrisolti (e non dichiarati)

Se i colloqui ci sono, è probabile che ruotino attorno a tre aspetti.

Primo: la condivisione tecnologica. Ankara, orgogliosa del suo know-how missilistico, potrebbe essere riluttante a cedere elementi chiave, come i sistemi di guida autonoma o di elusione radar.

Secondo: la questione finanziaria. Riyad, abituata a contratti “chiavi in mano”, potrebbe pretendere un ruolo centrale nel finanziamento e nella commercializzazione, rischiando di scontrarsi con l’orgoglio industriale turco.

Terzo: l’integrazione con i sistemi esistenti.

L’Arabia Saudita utilizza principalmente armamenti americani ed europei: adattare un missile turco alla flotta di F-15SA o Eurofighter Typhoon richiederebbe un lavoro di ingegneria inversa non banale, con possibili frizioni sulle responsabilità.

Perché (forse) conviene

Nonostante gli ostacoli, i vantaggi politici sono evidenti.

Per Erdogan, un accordo con il Regno saudita significherebbe riconoscimento regionale della capacità tecnologica turca, oltre a un’apertura verso nuovi mercati.

Per Mohammed bin Salman, collaborare con Roketsan sarebbe un modo per testare la reazione di Washington, senza rompere del tutto il legame con gli USA. In gioco c’è anche la competizione con l’Iran: missili da crociera avanzati potrebbero riequilibrare i timori sauditi sulla capacità balistica di Teheran.

Mohamed Bin Salman, principe ereditario saudita

Conclusioni non scritte

Al momento, tutto rimane nel regno delle ipotesi.

Ma in un Medio Oriente sempre più multipolare, dove ogni Paese gioca la sua partita per l’autonomia strategica, anche un silenzio può essere rivelatore.

La collaborazione militare turco-saudita, se mai decollerà, sarà un termometro preciso degli equilibri (e delle diffidenze) nella regione.

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