Di Giuseppe Gagliano
ANKARA. La base aerea T4 – o Tiyas – non è una novità nella guerra siriana.

È uno di quegli snodi che da anni appare sulle mappe degli analisti: bombardata da Israele, usata da Iran e Russia, osservata da Stati Uniti e monitorata da chiunque abbia un satellite attivo sulla regione. Ma ora è Ankara a metterci piede. E lo fa con decisione.
Il significato militare
T4 è un punto vitale nella dorsale centrale della Siria: si trova a metà strada tra Homs e Deir ez-Zor, in una posizione che consente di controllare i corridoi logistici tra Iran e Libano, ma anche quelli che collegano il Nord e il Sud del Paese.

Chi controlla T4 ha il potere di influenzare sia il campo di battaglia che la geopolitica. È una base a raggio lungo, utile per il lancio di droni, il pattugliamento radar e l’intercettazione.
Le forze turche, secondo fonti d’intelligence, stanno già integrando i droni armati Bayraktar TB2 e i più pesanti Akinci, capaci di operare a lungo raggio.
Ma la chiave è la difesa aerea: l’arrivo del sistema Hisar-O (medio raggio) e l’ipotesi del dispiegamento degli S-400 potrebbe cambiare radicalmente le regole del gioco, specialmente per Israele. Tel Aviv ha sempre considerato T4 una minaccia in potenza, e con motivazioni: da lì partivano i voli iraniani diretti in Libano, lì transitavano i missili verso Hezbollah.

Ora che ci sono i turchi, la minaccia è diversa ma ugualmente problematica.
Il vuoto di potere e il “momento Erdogan”
Dopo la caduta di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, la Siria è diventata un terreno a geometria variabile. La Russia si è ritirata, occupata su altri fronti.
L’Iran ha perso pedine e capacità. Gli Stati Uniti stanno valutando la chiusura della base di Al-Tanf. Il vuoto si riempie da sé: Ankara avanza.
Mohamed Al-Jolani, ex leader di Hayat Tahrir al-Sham, oggi uomo forte a Damasco con il sostegno turco, ha bisogno di protezione.
Non ha un’aviazione, non ha sistemi radar. La Turchia lo sa e offre copertura in cambio di fedeltà. Una mossa da Impero ottomano riveduto e aggiornato, dove l’ombrello militare si paga con l’obbedienza politica.
L’effetto domino regionale
Gli equilibri si spostano anche oltre la Siria.
Con T4, la Turchia avanza la sua dottrina della “profondità strategica” ben dentro il Levante. È un segnale a Israele – occhio ai raid – ma anche agli Stati Uniti. Ankara vuole rientrare nel programma F-35, e lo fa da posizione di forza: se Washington vuole una Siria “pacificata” senza mettere più stivali a terra, allora deve accettare che sia Erdogan a decidere il colore delle bandiere.
Infine, la carta ISIS.
Le cellule dello Stato Islamico non sono sparite, si sono solo adattate. Il deserto siriano, in particolare l’area tra Homs e Deir ez-Zor, è ancora un campo di battaglia invisibile.
La Turchia si propone come cane da guardia, con i suoi droni e le sue forze speciali. Washington, pur diffidente, prende nota.
Conclusione operativa
La base T4, in sé, è cemento, hangar e radar.
Ma con la bandiera turca sopra, diventa un simbolo di una nuova architettura regionale.
La mappa si ridisegna: meno Teheran, meno Mosca, più Ankara. I radar turchi scrutano, i droni decollano, e i generali pianificano.
Ma la Siria è terra infida: qui, ogni vantaggio può diventare trappola. La partita, come direbbe Olimpio, è appena cominciata.
E il cielo siriano è sempre più affollato.
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