Turchia, per il suo ingresso in Europa ancora troppe questioni da risolvere: dalle riforme per la piena democrazia alla questione di Cipro. Intanto Ankara acquista dalla Russia il sistema missilistico S-400

Di Annalisa Triggiano* 

Ankara. In questi giorni la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che si avvia al voto delle elezioni amministrative del 31 marzo prossimo con molte incognite economiche e non solo, è al centro delle cronache politiche internazionali soprattutto dopo la decisione – che molti analisti già davano per certa da tempo – di acquistare dalla Russia il sistema missilistico S-400, quello più moderno e tecnologicamente avanzato.

I missili S-400 russi stanno per arrivare in Turchia

Ed  esponendo così, di fatto, a rischio tutta l’Alleanza Atlantica, della quale la Turchia fa parte.

Il sistema missilistico russo e gli acquisti di velivoli F-35 di progettazione statunitense non possono coesistere ed infatti il Congresso americano ha posto il veto all’affare. Come se non bastasse, la stampa dà notizia del fatto che Ankara sta trattando anche la produzione congiunta con Mosca del sistema missilistico S-500, allontanandosi, nei fatti, ancora di più dagli USA (fonte: http://www.tass.com). Una Turchia, insomma, mai così lontana dall’Occidente.

Il sistema missilistico russo S-500

Il quadro generale degli ultimissimi anni: breve sintesi

Ma qual è la situazione diplomatica attuale tra UE e Turchia? Nella plenaria di marzo, in corso di svolgimento da oggi, il Parlamento Europeo sarà chiamato (1) a votare una mozione di Risoluzione sul Country Report della Turchia per il 2018 (2).

Sia il Report della Commissione che quello del Comitato Affari Esteri registrano un peggioramento pericoloso di alcuni aspetti chiave della politica turca. Qui è opportuno ricordare brevemente che la Turchia, da lungo corso, è Stato partner dell’attuale Unione Europea e dopo l’Accordo di Associazione del 1964 e quello della Customary Union del 1995, il Consiglio Europeo l’ha insignita dello status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione nel 1999 e i negoziati per l’ingresso si sono aperti nel 2005.

Da quel momento, ben 16 capitoli di negoziazione sono stati aperti e soltanto uno è stato chiuso (3). Peraltro, nel mezzo della grande crisi migratoria del 2015-2016, l’Unione Europea e la Turchia hanno concluso un importante accordo (18 marzo 2016) per contenere i flussi di immigrazione irregolare dalla Turchia all’UE, per migliorare le condizioni dei rifugiati in Turchia e per garantire un canale di transito regolare e controllato dei rifugiati siriani.

I dati ufficiali del 2018 parlano di risultati tangibili e di una riduzione notevole degli arrivi irregolari in Turchia (4), avvalorando l’idea che tale strumento possa essere citato come modello di approccio integrato dell’UE al problema immigrazione irregolare.

L’Unione Europea ha sostenuto la Turchia nella gestione dei rifugiati siriani attraverso un importante canale di finanziamento (Fondo Facility for Refugees in Turkey), ammontante a 3 miliardi  di euro per il 2016 per il 2017. il periodo 2016-2019 ha raggiunto il valore complessivo di 6 miliardi di euro (così ripartiti: 3 miliardi per il biennio 2016-2017 ed altrettanti per il biennio 2018-2019).

Tale cifra proviene dal bilancio UE e da contributi degli Stati membri.

I vari Paesi contributori (fonte grafica: Euroactiv)

Mi sembra interessante sottolineare un dato forse poco noto: l’Italia, come si può osservare, è una delle Nazioni maggiormente coinvolte dal punto di vista finanziario in questa iniziativa, sicuramente la più impegnata tra quelle dell’Area Euro Mediterranea, sebbene segua a debita distanza i principali contributors, Germania, Inghilterra e Francia.

L’impegno profuso dall’Italia ben permetterebbe di porsi come Paese leader dell’area indicata e interlocutore privilegiato della Turchia. Se, naturalmente, vi fosse volontà di sostenere il disperato tentativo di dialogare con Erdogan.

Questi risultati potrebbero anche apparire in sé incoraggianti ma – dal punto di vista dell’UE – risultano molto parziali e comunque non sufficienti a ribaltare un quadro politico, come quello turco, nel quale sul rispetto dei diritti umani non vi sono stati significativi progressi in questi anni. Di qui, le conclusioni – e mi riferisco al dicembre 2016 (5) – per cui secondo la Presidenza non era opportuno comunque aprire nuovi capitoli di negoziato con il Paese.

Il Rapporto del 2018 della Commissione Europea e la posizione del Parlamento

Nell’ultimo Rapporto (6) della Commissione Europea sulla Turchia, si ribadisce una ferma condanna del colpo di Stato militare del 2016 e si reitera il pieno sostegno e incoraggiamento a potenziare le istituzioni democratiche del Paese.

Nondimeno, la situazione di emergenza ha comportato una consistente compressione delle garanzie tipiche dello Stato di diritto e della protezione dei diritti umani.

La riforma costituzionale del 2017 – si legge ancora – ha seriamente messo a rischio l’indipendenza del sistema giudiziario e la libertà di espressione. La Commissione, tuttavia, dà atto al Paese di aver fatto diversi progressi nella lotta alla criminalità e di aver cooperato efficacemente con l’UE nella gestione degli oltre 3,5 milioni di rifugiati accolti.

La Commissione ha poi ribadito – nel documento – la forte centralità del rispetto dello Stato di Diritto anche ai fini della concessione di Fondi: tale aspetto pone certamente la Turchia ai margini degli standards europei.

Quanto alla posizione del Parlamento Europeo, innanzitutto la Relazione della Commissione per gli Affari Esteri chiede il rilascio immediato e incondizionato di alcuni esponenti politici di spicco di opposizione al regime e soprattutto esprime preoccupazione in merito alla sistematica e grave violazione dei diritti umani perpetrata nel Sud Est della Turchia, nonché in merito al diritto dei cittadini a nominare liberamente i loro sindaci a livello locale.

Una riunione del Parlamento europeo

La Relazione, infine – e questo mi sembra il punto più delicato della questione – invita la Commissione e gli Stati membri a sospendere formalmente i negoziati con la Turchia, pur ribadendo l’impegno a favore del dialogo democratico.

Chiede, inoltre, alla Commissione di utilizzare i fondi dello strumento di assistenza preadesione (IPA) (7) II e IPA III al fine di sostenere la società civile turca. Si raccomanda, ancora, di lasciare la porta aperta alla modernizzazione e all’aggiornamento dell’unione doganale del 1995, qualora si registrassero miglioramenti in termini di riforme in senso democratico.

Inoltre, si ricorda il ruolo svolto dalla Turchia nella risposta alla crisi migratoria e si invita l’UE e i suoi Paesi membri a mantenere le promesse fatte in materia di reinsediamento e ad assistere i rifugiati siriani in Turchia.

A poche settimane dalle elezioni europee è – a mio avviso – molto improbabile che il Parlamento uscente si assuma una responsabilità così grande e grave come quella di chiudere definitivamente la porta alla Turchia.

Non è improbabile che si tratti di una manovra tesa ad ottenere consensi elettorali, specie in quei Paesi da sempre scettici e ostili all’annessione della Turchia. Sin dal 2016, ad esempio, l’Austria si è fermamente opposta alle negoziazioni con la Turchia. Durante la campagna per il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, l’eventuale ingresso della Turchia era posto come una delle ragioni principali per lasciare l’Unione. In Danimarca, il Partito Liberale, al Governo, ha sempre ribadito con fermezza la propria contrarietà all’annessione.

Tuttavia, le complesse negoziazioni con la Turchia non hanno mai subito battute d’arresto, pur nella diversità delle opzioni disponibili: alcuni ritengono opportuno un accordo di tipo meramente economico, come alternativa all’entrata nell’Unione.

Altri guardano ai risultati delle negoziazioni con il Regno Unito come a un possibile modello (replicabile) di relazioni tra Unione e Turchia. Ma è chiaro che si tratti di realtà economiche e sociali non comparabili, a mio avviso. L’ingresso della Turchia in UE, per quanto difficilissimo da realizzarsi, resterebbe tuttavia la sola opzione possibile per evitare al Paese una completa de-occidentalizzazione (peraltro già abbastanza avviata grazie alle ambizioni da neo-Sultano di Erdogan). Non mancano, inoltre, analisti che ritengono molto più efficace la sanzione della sospensione della Turchia dalla Nato.

Anche a voler immaginare, comunque, che la Turchia sia in grado nel prossimo futuro – se ben incentivata in tal senso, specie dal punto di vista economico, dall’Unione – di compiere riforme democratiche eccezionali, risolvendo, al contempo, le questioni relative all’occupazione di Cipro, il Consiglio e il Parlamento (quelli futuri, naturalmente) dovranno entrambi approvare l’ingresso del Paese.

La divisione di Cipro

Ed. a sua volta, il Trattato necessiterebbe della approvazione dei Paesi membri con possibili esiti referendari interni, come in Austria e in Francia. I tempi non sono, insomma, brevi. E l’instabilità della Turchia è una minaccia potenzialmente grave per tutta l’Area Euro.

Infine, una notazione statistica: l’UE non ha mai interrotto i colloqui di accessione con un Paese candidato. Questa sarebbe la prima volta.

E, nei casi pur noti della Norvegia e dell’Islanda, sono stati i Paesi in questione a comunicare formalmente la volontà di non proseguire l’annessione. E se l’Unione si determinasse a interrompere o sospendere le negoziazioni con la Turchia, dopo l’approvazione parlamentare della mozione bisognerebbe seguire i passi formali da compiere descritti nell’Accordo Quadro di Negoziazione con la Turchia del 2005, i quali prevedono un coinvolgimento della Commissione e del Consiglio, previa, naturalmente, l’audizione della Turchia. Il segnale da dare, insomma, alla Turchia è, nelle intenzioni della attuale Commissione, molto forte. Resta da vedere la lettura che ne darà il Parlamento nella imminente seduta plenaria (la discussione è prevista in particolare per il 13 marzo) (8).

 

1 https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2018/2150(INI)&l=en

2 Il documento integrale è reperibile qui: https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/sites/near/files/20180417-turkey-report.pdf

3 https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/countries/detailed-country-information/turkey_en

4https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20180314_eu-turkey-two-years-on_en.pdf

5 https://www.consilium.europa.eu/media/21524/st15536en16.pdf

6 https://ec.europa.eu/neighbourhood-enlargement/sites/near/files/20180417-turkey-report.pdf

7 Per maggiori chiarimenti, si veda https://ec.europa.eu/regional_policy/it/funding/ipa/

8 http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2019-0091_IT.html?redirect#title1 (qui la proposta di Risoluzione da sottoporre al Parlamento)

*Docente a contratto Università degli Studi Roma Tre, ex Ricercatrice CEMISS

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