Di Valeria Fraquelli
Ankara. Dopo il fallito golpe del 15 luglio dello scorso anno tante cose sono cambiate in Turchia, a cominciare da una feroce repressione nei confronti dei responsabili o presunti tali, e anche l’atteggiamento del Governo turco riguardo alla questione siriana ha subito delle variazioni.

Un’immagine del golpe in Turchia nel luglio 2016
La minoranza etnica curda, che già prima del golpe era sottoposta a tutta una serie di limitazioni e divieti, dopo il fallito colpo di Stato si è trovata stretta in una morsa senza precedenti di crudeltà ed arresti sommari che ha coinvolto anche l’impegno delle milizie curde che combattono il sedicente Stato islamico nella vicina Siria. L’aviazione turca, infatti, con la scusa di bombardare i covi dei terroristi ha effettuato molti raid anche sulle postazioni curde, infliggendo alle milizie tantissimi danni e moltissime vittime.
L’obiettivo primario del Governo di Ankara è impedire ad ogni costo la creazione di una entità statuale curda autonoma che potrebbe coinvolgere non solo la Turchia, ma anche la Siria e l’Iraq, altri Paesi in cui ci sono zone con una forte presenza curda. Se dopo la guerra la Siria venisse smembrata e divisa il rischio che i curdi possano riuscire a creare un loro Stato sarebbe troppo alto ed inaccettabile per Ankara ed ecco spiegato il rinnovato interesse di Erdogan per la lotta al terrorismo in territorio siriano.
I curdi rappresentano un ostacolo alla realizzazione del sogno del capo del Governo di riportare il Paese alla grandezza dell’impero Ottomano. I turchi, da sempre, hanno una grande voglia di indipendenza, hanno usi e costumi molto diversi da quelli turchi e una loro lingua che serve per tramandare dai genitori ai figli tradizioni vecchie di secoli.
Il popolo curdo non ha mai voluto essere assimilato a nessuno degli Stati in cui occupa piccole porzioni di territorio, cioè Siria, Iraq e Turchia, ma ha sempre lottato per una riunificazione sotto un’unica bandiera.
Pur di impedire l’autodeterminazione della minoranza curda, Erdogan non ha mai esitato a bombardare pesantemente anche quelle zone della Siria a maggioranza curda che hanno resistito fino allo stremo all’avanzata del sedicente Stato islamico e che ora ospitano le basi da cui le milizie dell’Ypg partono per sferrare i loro attacchi agli jihadisti. Solo due giorni fa i militari turchi sono entrati nella provincia curda del Rojava, fino a pochi passi dalla città di Kobane, per effettuare operazioni contro i terroristi. Se per i Paesi occidentali i curdi sono coraggiosi guerriglieri che resistono all’ISIS, per la Turchia le milizie dell’Ypg sono solo una branca del PKK e quindi anch’essi terroristi e destabilizzatori dello Stato turco. Come tali vanno combattuti ed eliminati.

Milizie YPG
Fondamentale per Erdogan è anche fare sì che i curdi non siano i primi a liberare la città considerata la capitale del Califfato, Raqqa: un successo così grande potrebbe facilmente dare al popolo curdo il giusti pretesto per rivendicare la tanto agognata indipendenza e questo ad Ankara non possono permetterselo. I curdi, infatti, sono la testa di ponte della coalizione occidentale nella lotta al sedicente Califfato ma questo viene percepito da Ankara come un affronto e come una ingerenza indebita dell’Occidente negli affari interni turchi.
I generali curdi Peshmerga hanno bollato le azioni turche come inutili provocazioni e hanno fatto sapere che risponderanno prontamente in caso di attacco diretto dei militari turchi; il clima sul terreno intanto sta diventando sempre più teso e aggiunge pericolosa instabilità in una zona già duramente colpita dalla guerra.
L’odio tra turchi e curdi rischia di vanificare tutti gli sforzi di pacificazione che sono stati fatti fino ad adesso per portare un minimo di normalità in Medio Oriente perché aggiunge altro sangue al tanto già sparso sul terreno di conflitto.
L’accanimento dei turchi nei confronti delle milizie curde ha provocato il progressivo allontanamento della Turchia dalla coalizione internazionale a guida statunitense e anche dalla NATO ed ha fatto propendere Erdogan per un allineamento alle posizioni di Mosca.
Fino ad oggi i due Paesi collaborano nella lotta al terrorismo in alcune aree della Siria in modo autonomo, senza legami con gli altri Paesi impegnati nella caccia agli uomini in nero del Califfato. Nonostante l’abbattimento di un aereo militare russo da parte della Turchia nel novembre del 2015 i rapporti tra il Presidente turco e il Cremlino rimangono buoni perché molto spesso gli interessi dei due Paesi coincidono.
Perdere influenza in Siria vorrebbe dire perdere quel ruolo di potenza regionale in rapido sviluppo che per Erdogan è fondamentale: il desiderio del Presidente di far tornare la Turchia ai fasti dell’Impero Ottomano passa anche attraverso una rinnovata leadership turca in Medio Oriente e in particolare proprio sulla Siria, con cui i turchi hanno avuto quasi sempre buoni rapporti e scambi commerciali.