Di Fabrizio Scarinci
KIEV. Come noto, le attività militari in Ucraina proseguono senza sosta.
Al momento, sul fronte terrestre si registrano attacchi da parte dei russi soprattutto nella zona centrale del Donbass, dove, nei giorni scorsi, gli ucraini sono stati costretti ad abbandonare una parte consistente della località di Chasiv Jar, collocata più o meno a metà strada tra le città di Bakhmut e Kramators’k.
Particolarmente attive risultano essere anche le forze aeree e missilistiche del Cremlino, che, anche nel corso delle ultime ore, hanno condotto attacchi su diverse aree del territorio ucraino utilizzando droni, aerei e missili.
Tra le altre cose, in mattinata è anche stato rilevato anche il decollo di un velivolo da combattimento MiG-31K, notoriamente in grado di utilizzare il missile aria-superficie ipersonico Kinzhal.
Al momento, il bilancio di queste ultime azioni, che, stando a quanto si è avuto modo di apprendere, avrebbero anche comportato la quasi totale distruzione di un ospedale pediatrico di Kiev, è di circa venti morti.
Sul fronte diplomatico, intanto, a tenere banco è soprattutto il summit annuale dell’Alleanza Atlantica, che si terrà a Washington a partire da domani.
Durante la sua conferenza stampa pre-vertice, il Segretario Generale Stoltenberg ha ribadito l’intenzione dell’Occidente di supportare Kiev sul piano militare e di favorire, almeno in prospettiva, il suo ingresso nell’Alleanza. Una linea che, a ben guardare, nessuna delle recenti tornate elettorali avutesi in Europa sembrerebbe aver messo più di tanto in discussione.
Sullo sfondo vi è, però, la possibile vittoria di Donald Trump negli USA, che, secondo diversi osservatori, potrebbe cambiare in modo significativo l’approccio di Washington alla crisi.
Negli scorsi anni, infatti, l’ex Presidente, già sostenitore, durante il suo mandato, di una politica più morbida nei confronti di Mosca, ha più volte specificato che, qualora fosse tornato alla Casa Bianca, avrebbe cercato di raggiungere, quanto prima, un accordo di pace.
Quale potrebbe essere la sua linea d’azione non è ancora del tutto chiaro, anche se, stando a quanto riportato, non è da escludersi che essa possa prevedere la cessione a Mosca dei territori ucraini occupati dai russi e uno stop all’ingresso di Kiev all’interno della NATO.
Se così fosse si tratterebbe, certamente, di un’importante “concessione”; del resto, i russi chiedono più o meno questo fin da quando hanno preso atto dell’impossibilità di attuare un “regime change” in Ucraina.
In ogni caso, però, al di la delle possibili cessioni territoriali (elemento senz’altro dolorosissimo ma che, forse, sarebbe comunque inevitabile), prima di ogni eventuale considerazione in merito occorrerebbe sicuramente cercare di comprendere meglio in cosa esattamente dovrebbe consisistere questo stop all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
Non è ancora del tutto chiaro, infatti, se esso andrebbe a configurarsi come uno stop definitivo, che, di fatto, concederebbe a Mosca una parziale vittoria strategica, o solo come un forte rallentamento del processo di avvicinamento attualmente in atto.
Allo stesso modo, non è ancora del tutto chiaro quale dovrebbe essere lo status internazionale dell’Ucraina nel caso in cui non entrasse nella NATO: sarebbe un Paese completamente neutrale, come verosimilmente desidera Mosca, oppure si configurerebbe come l’armatissimo partner esterno dell’Alleanza di cui si era, in effetti, già parlato durante lo scorso anno al summit di Vilnius?
Naturalmente, dalla risposta a questi cruciali interrogativi si potrà capire moltissimo anche riguardo al futuro assetto dell’Alleanza sul suo cosiddetto fianco orientale.
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