Ucraina, Medio Oriente e dintorni: la pericolosa dinamica innescatasi tra USA e Russia nell’attesa dell’insediamento di Trump

Di Fabrizio Scarinci

ROMA. Come si è avuto modo di osservare, la recente vittoria elettorale di Donald Trump ha avuto un effetto piuttosto significativo sui conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente.

La principale ragione di ciò è, senz’altro, costituita dalla sua intenzione di raggiungere un compromesso tra Mosca e Kiev che possa congelare il confronto militare attualmente in atto.

Il Presidente eletto Donald Trump

In particolare, stando a quanto più volte dichiarato, la soluzione su cui egli e il suo staff sembrebbero volersi orientare dovrebbe basarsi, da un lato, sul non ingresso di Kiev all’interno dell’Alleanza Atlantica (che verrebbe, ovviamente, compensato con altre forme di sostegno) e, dall’altro, sull’effettiva situazione generatasi sul campo, di cui si terrebbe conto soprattutto al fine di definire i nuovi confini tra Ucraina e Federazione Russa.

Chiaramente, tale prospettiva ha fatto in modo che sia il Cremlino che l’ormai uscente Amministrazione Biden intensificassero i propri sforzi allo scopo di arrivare al tavolo delle trattative nelle migliori condizioni possibili.

Nello specifico, se, da un lato, i russi avrebbero iniziato a spingere come non mai col duplice scopo di guadagnare quanto più terreno possibile nel Donbass e di far “sloggiare” gli ucraini dalla regione di Kursk (dove i territori conquistati da Kiev in estate potrebbero essere utilizzati come “merce di scambio”), dall’altro, l’Amministrazione Biden avrebbe concesso a Zelensky di utilizzare i sistemi ATACMS anche allo scopo di colpire al di là dei confini originari del Pese.

Il lancio di un missile statunitense di tipo ATACMS

Al via libera statunitense, che pone fine ad una querelle durata diversi mesi, si sarebbero, poi, aggiunti anche quelli di Francia e Regno Unito, grazie ai quali Kiev avrebbe potuto iniziare a colpire più in profondità anche con i missili da crociera aviolanciati “Storm Shadow”/SCALP.

Come noto, però, al fine di raggiungere i propri bersagli con precisione, sia gli ATACMS che gli Storm Shadow in mani ucraine necessitano del supporto dei sensori occidentali; un qualcosa che i vertici russi hanno sempre dichiarato di considerare come una una vera e propria partecipazione diretta al conflitto.

Il superamento di tale “linea rossa” ha quindi provocato, nelle ultime settimane, una reazione a dir poco furente, con massicci attacchi di missili e droni russi contro il territorio ucraino e una significativa reintensificazione della retorica nucleare da parte del Cremlino, condita, il 21 novembre scorso, dal lancio di un missile sperimentale derivato dall’ICBM RS-26 Rubezh sulla città di Dnipro.

Per Mosca, però i problemi non sarebbero certo esauriti lì.

In Siria, infatti, poco dopo l’inizio della traballante tregua tra Israele ed Hezbollah, il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham avrebbe lanciato un’insurrezione tale da mettere a rischio il regime.

 

Un MiG-21 delle forze aeree siriane che secondo alcune fonti sarebbe stato abbandonato nel corso dell’insurrezione

 

Dietro tale mossa sembrerebbero esserci soprattutto Turchia, referente principale del gruppo, e, per l’appunto, gli Stati Uniti, che, avrebbero deciso di colpire approfittando della difficile situazione in cui versano i maggiori protettori di Assad, ossia Russia, Iran ed Hezbollah.

Di fronte alla prospettiva di un “regime change” in Siria, se il regime iraniano, pur dichiarandosi disposto ad inviare aiuti, ha finora scelto una linea maggiormente improntata al dialogo, la Russia (intenzionata a conservare la base navale di Tartous, cruciale al fine di mantenere una presenza nel Mediterraneo e di supportare la propria strategia nella regione del Sahel) avrebbe usato toni maggiormente aggressivi, compiendo esercitazioni su vasta scala nel Mar di Levante, durante le quali sarebbero anche stati lanciati missili ipersonici di tipo Zircon e missili da crociera di tipo Onyx e kalibr.

A tale situazione si aggiungono, poi, i confusi avvenimenti georgiani, dove filo-russi e filo europei stanno dando luogo ad una vera e propria crisi istituzionale.

Quanto la dinamica strategica attualmente in corso possa portare ad un confronto militare diretto e generalizzato tra russi e occidentali non è ancora del tutto chiaro.

Di certo, dal punto di vista occidentale si scommette sul fatto che, nell’attesa di trattare con Donald Trump l’ottenimento di una di limitata vittoria tattica in Ucraina, i russi siano, in qualche modo, disposti a subire qualsiasi cosa, dai missili occidentali sul proprio territorio alla perdita dell’alleato siriano.

Quanto tale scommessa possa rivelarsi “azzeccata” lo si scoprirà nelle prossime settimane.

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