Vaticano, il ruolo della scorta di Papa Francesco e il caso della turista che lo strattonato

Di Daniela Lombardi

Roma. “Ma chi credi di essere, il Papa?”. Il linguaggio e i suoi modi di dire non nascono mai dal nulla ma da una presa d’atto e di coscienza dell’esistenza di alcune realtà.

Papa Francesco

Rivolgersi a qualcuno, per dirgli che si sta dando troppa importanza paragonandosi al Pontefice, cristallizza un dato di fatto: il Papa è una persona che riveste un ruolo importante, è un capo di Stato ed è il rappresentante di una religione che, mai come in questo momento storico, è sotto attacco.

Questo determina una conseguenza immediata e di facile intuizione: per questo suo ruolo, e la storia ce lo ha dimostrato, il Papa può essere vittima di attentati e, per questo, è una figura che viene seguita, nelle sue attività, da un’apposita scorta.

L’episodio, accaduto la sera del 31 dicembre a Roma, di Papa Francesco che per divincolarsi dall’energica presa di una fedele è costretto a tirarle “schiaffetti” sulla mano pone un problema di difesa e sicurezza abbastanza lampante.

Un momento dell’episodio che è stato ripreso dai media di tutto il mondo

E’ vero che Papa Francesco ha scelto come sua impostazione di accorciare le distanze dai fedeli, rendendo più difficile il lavoro della Gendarmeria che lo assiste.

E’ parimenti vero che il lodevole lavoro di chi difende leader politici, religiosi, personaggi in vista che per loro natura possono attirare la benevolenza ma anche l’odio, consiste nell’evitare che tali personalità possano subire danni gravi o meno gravi dall’azione di un qualsiasi soggetto esterno.

Nel caso specifico, alla scena del Papa che per liberarsi dalla signora compie un gesto che in questi giorni è finito sui giornali di tutto il mondo, non si doveva proprio arrivare.

La scorta avrebbe infatti dovuto agire nel momento stesso in cui il Pontefice veniva “afferrato” dalla donna e poi trattenuto per diversi minuti.

Quei diversi minuti, al di là delle parodie avrebbero potuto avere ben diverse conseguenze. Nessuno oggi si pone alcune domande.

Se la signora fosse stata un’esaltata che per vari motivi avesse voluto uccidere Papa Francesco? Se, con il suo trattenerlo a lungo, avesse agevolato l’azione di un terrorista che voleva accoltellare il Pontefice?

Se, ancora e più banalmente, tirandolo in quel modo ne avesse determinato la caduta con le conseguenze che questa poteva avere su una persona ormai in là con gli anni?

Non porsi queste domande vuol dire essere in malafede. Nell’episodio che ha ormai fatto il giro del mondo bisogna rilevare che un deficit di attenzione c’è stato, da parte degli addetti alla sicurezza.

Le scorte, da sempre, sono quelle che garantiscono non solo l’incolumità di chi ricopre cariche che hanno una ricaduta sull’intera collettività ma anche di tutti i semplici cittadini che in quel momento sono sulla scena dei fatti.

Non di rado, in effetti, l’uccisione di alcuni leader mondiali ha determinato la morte anche di coloro che in quel momento transitavano per i motivi più disparati in quella zona.

Tutte le altre considerazioni, se la signora sia stata maleducata, se il Papa avesse un’espressione nervosa che i detrattori non hanno mancato di attribuire a chissà quale oscura disposizione d’animo dello stesso, se lo stesso Pontefice volesse porre fine a quel momento di idolatria della donna, sono di fronte a questo secondarie.

Un fatto così “eclatante” può essere invece di spunto per una riflessione che, in questo caso, esce dai confini vaticani.

Fino ad oggi tanti eventi negativi sono stati evitati grazie al lavoro delle Forze dell’Ordine. Queste ultime svolgono un lavoro prezioso che non può contemplare momenti di distrazione e dunque gli addestramenti, i mezzi, il personale a disposizione per questo servizio non possono essere arbitrariamente tagliati o ridotti a lavorare in condizioni sempre più precarie.

La sicurezza di tutti, a partire dal Papa, deve essere garantita. Ed è giusto che i leader accorcino le distanze con la gente, senza per questo rischiare di essere eliminati o, nel migliore dei casi come quello in questione, derisi per essere stati messi nelle condizioni di “liberarsi” da soli.

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