Guardia di Finanza: scoperto un traffico di sostanze stupefacenti all’interno del carcere di Foggia. Eseguiti 16 arresti

Di Michele Toschi

BARI. Sono 16 le misure cautelari personali (delle quali 8 in carcere e le restanti 8 agli arresti domiciliari), in corso dall’alba di oggi al termine d’una complessa operazione condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Bari.

Militari della GDF in attività tecniche

Le suddette misure, disposte dal GIP del Tribunale di Foggia, raggiungono altrettanti soggetti ritenuti – a vario titolo e in concorso tra loro – responsabili di traffico di sostanze stupefacenti e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, e rappresentano il culmine d’una complessa indagine delegata agli specialisti del Nucleo Polizia Economico Finanziaria (PEF) di Bari, grazie ai quali è stato possibile scoprire l’esistenza d’una ben organizzata rete di approvvigionamento e smercio di sostanze illecite che avveniva all’interno del carcere foggiano.

Il Palazzo di Giustizia di Foggia

Le attività d’indagine in parola hanno infatti permesso di delineare un quadro indiziario di particolare gravità, nel quale compaiono tutti i soggetti colpiti oggi dalle sopracitate misure restrittive.

I meticolosi riscontri eseguiti dagli investigatori della GDF barese hanno peraltro consentito di evidenziare all’Autorità Giudiziaria inquirente il fondamentale ruolo assunto nella vicenda da un’infermiera (già tratta in arresto ad aprile scorso in flagranza di reato) la quale, sfruttando la propria posizione lavorativa presso l’istituto penitenziario del capoluogo dauno, avrebbe reso possibile una sistematica introduzione di droga destinata allo “spaccio”.

Nello specifico sarebbe emerso come alcuni detenuti, appartenenti a gruppi criminali radicati in diverse province pugliesi, avrebbero dapprima individuato la citata operatrice sanitaria quale referente per la conduzione del citato traffico e poi consegnato alla stessa, oltre che al marito, la droga ed anche un cellulare da introdurre nel carcere, anche con la collaborazione fornitagli da altri soggetti (per lo più reclutati tra parenti e amici dei reclusi).

Agli stessi coniugi venivano inoltre consegnate somme di denaro – variabili tra le 100 e le 500 euro – quale compenso per la disponibilità offerta in ogni singolo “incarico”.

Una coppia di insospettabili, dunque, ma che era addirittura in grado di curare ritiri di stupefacente presso centri commerciali o presso i domicili di soggetti in stato di libertà, che fungevano da veri e propri anelli di congiunzione con i detenuti.

Ad inchiodare ancor di più l’infermiera alle sue responsabilità sono state inoltre le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza, che hanno mostrato la stessa dipendente pubblica infedele mente cedeva dosi di droga ai detenuti durante l’orario di servizio, in barba alle rigide prescrizioni del sistema e della normativa carcerari.

A corollario della vicenda resta opportuno sottolineare come il procedimento penale disposto nei confronti degli indagati si trovi ancora nella fase delle indagini preliminari, pertanto gli stessi sono da considerarsi presunti innocenti sino a pronuncia d’una eventuale sentenza di condanna definitiva.

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