Di Daniela Lombardi
Dubai. Un incontro a cinque che, nelle intenzioni degli organizzatori, doveva passare inosservato perché getta una luce inquietante sul futuro dell’Afghanistan.
Futuro che, in realtà, potrebbe tingersi di passato e, in particolare, del passato peggiore vissuto dal Paese.
Il fatto che, in Qatar, siano in corso gli accordi Usa-talebani e anche il dialogo intra-afghano, entrambi al momento piuttosto infruttuosi, è ormai cosa nota.
Meno noto è che vi siano incontri “a latere” a Dubai, tra gli Usa e gli ex signori della guerra, che potrebbero avere come unico scopo quello di “fare fuori” il più grande ostacolo ai patti, cioè il nocciolo duro del Governo (spaccato al suo interno sulla questione) che ha al suo vertice l’attuale Presidente Ashraf Ghani.
Il negoziatore degli Usa, l’afghano Zalmay Khalilzad, ha infatti incontrato quattro protagonisti della storia recente dell’Afghanistan, i cui nomi ricordano la guerra civile e l’altissimo prezzo che le popolazioni hanno dovuto pagare a causa della stessa.
Al tavolo era presente Gulbuddin Hekmatyar, meglio noto come “il boia di Kabul”, visto che durante la guerra civile, per ottenere i suoi scopi – ossia la fondazione di una Repubblica islamica in cui chiunque non la pensasse come lui poteva essere ucciso liberamente – non esitò a bombardare Kabul, in particolare i quartieri più popolosi, ritenendo di dover punire gli abitanti che considerava tutti, o quasi, “collaborazionisti” degli URSS durante l’invasione sovietica.
Per inciso, Hekmatyar, dopo il suo lungo esilio in Pakistan a seguito proprio delle violenze scatenate durante la guerra civile, è stato fatto rientrare in Afghanistan proprio dal Presidente Ghani, che aveva intenzione di porre fine agli attacchi che gli uomini di Hezb-e-Islami (gruppo fondato da Hekmatyar stesso) continuavano a sferrare ai danni dell’Afghanistan. Hekmatyar, in quella occasione, giurò di difendere la Costituzione da ogni possibile minaccia e, dati i suoi rapporti di scambi reciproci coi talebani, fu incaricato proprio di riportare alla ragione e alla pace questi ultimi.
Cosa ne sia stato poi di questi buoni propositi non è dato sapere, ma di certo tra lui e Ghani ha ricominciato a non scorrere buon sangue.
Assieme a Hekmatyar erano presenti tre uomini di Jamaat-e-islami che, a loro volta, hanno fatto parlare di sé.
Salahuddin Rabbani, ministro degli Esteri fino allo scorso anno, ha rassegnato le sue dimissioni dal governo Ghani per la divergenza di opinioni sul ruolo del Pakistan nelle trattative coi talebani.
L’accoglienza calorosa a Islamabad di una delegazione di talebani è stata ritenuta da Rabbani un positivo sviluppo negli scambi per la pace, mentre al Presidente afghano l’incontro è sembrato troppo cordiale.
Altro partecipante all’incontro è Atta Muhammad Noor, mujahedeen contro i sovietici, sempre per Jamat-i-islami, nominato governatore della provincia di Balkh dal Presidente Karzai.
Sebbene a Noor sia riconosciuto un ruolo di contrasto ai talebani anche dopo l’epoca dei mujaheddin, i metodi violenti di repressione di ogni forma di opposizione alla sua leadership non lo rendono particolarmente amato sul territorio.
Ribellioni nella provincia da lui amministrata non sono mai mancate, ma sono sempre state soffocate con la violenza.
Le accuse di Asef Mohmand, membro del consiglio provinciale di Balkh, che dopo aver manifestato alcune rimostranze fu portato a casa di Noor, percosso e privato di un orecchio (morso e staccato dal figlio di Noor su ordine del padre) sono rimaste come macchie nella storia del governatore, assieme alle numerose denunce per violenze, anche sessuali, ai danni degli oppositori da parte dei suoi uomini.
Per queste fumose vicende ma anche per accuse di corruzione, Ghani lo aveva rimosso nel 2018 ma Noor, facendo orecchie da mercante e con la forza del sostegno Usa, non se ne è mai andato.
Yunus Qanuni, politico di spicco nell’Afghanistan moderno, vicepresidente sotto Karzai e anche lui ex mujahedden al seguito di Massoud, è la figura con una storia meno controversa e più lineare ma ha anche lui in comune qualcosa con gli altri membri del tavolo: essersi allontanato di recente dal Presidente Ghani per vedute differenti sui colloqui di pace.
C’è da chiarire che le persone citate erano tutte già comprese nell’elenco dei designati a partecipare al dialogo di pace coi talebani, anzi come membri dell’alto consiglio per la riconciliazione erano stati nominati proprio da Ghani e, come si ricorderà, a capo dello stesso c’è il principale rivale dell’attuale Presidente, Abdullah Abdullah.
Quello che non torna è questo incontro ristretto solo a quattro personalità che sono in completa collisione con Ghani su questioni diverse da quella dell’accordo e anche su come concludere i patti.
La riconciliazione nazionale, affidata inizialmente a numerose figure che hanno fatto la storia dell’Afghanistan nel bene o nel male, sembra star diventando sempre di più una materia per pochi.
Il significato effettivo di questo incontro si conoscerà forse a breve, visto che i cinque partecipanti si recheranno nella sede ufficiale dei colloqui, a Doha, per comunicare quanto si sono detti. Il dialogo, comunque, non sembra andare nel verso della pacificazione interna, perché qualcuno rimarrà scottato.
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