Di Giuseppe Gagliano
OUAGADOUGOU (Burkina Faso). Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato la creazione di un contingente militare congiunto di 5 mila uomini, destinato a contrastare l’avanzata dei gruppi jihadisti nel Sahel.

Soldati nigerini
La regione, secondo dati ONU, registra oltre 6 mila vittime nel 2023 a causa di Al Qaeda e ISIS.
Il Generale nigerino Salifou Mody, ministro della Difesa, ha definito l’iniziativa “un passo originale e rassicurante”, sottolineando l’impiego coordinato di risorse aeree, terrestri e d’intelligence.

Il Generale nigerino Salifou Mody,
Sovranità e distacco dall’Occidente
La mossa non è solo una risposta alla sicurezza, ma un tassello di un disegno geopolitico più ampio.
I tre Paesi, uniti nell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) dal 2023, condividono un recente passato di golpe (Mali 2021, Burkina Faso 2022, Niger 2023) che ha portato al potere giunte militari decise a rompere con l’ex potenza coloniale, la Francia.
Il ritiro delle truppe francesi e il rifiuto di basi straniere segnano una svolta epocale, culminata nelle parole del Presidente nigerino Abdourahamane: “È il culmine della nostra volontà di rivendicare la sovranità”.

Il Presidente nigerino, Generale di Brigata Abdourahamane Tiani
Il pivot verso Mosca e le tensioni regionali
L’emancipazione da Parigi ha spinto i Paesi dell’AES verso nuovi alleati.
Il ricorso ai mercenari russi del Gruppo Wagner, ora ribattezzati Africa Corps, riflette una strategia di sicurezza alternativa, mentre l’accusa al Mali contro l’Ucraina (per presunto sostegno a gruppi secessionisti) sottolinea il riallineamento verso Mosca.
Un avvicinamento che non è solo militare: l’ECOWAS, l’organizzazione regionale dell’Africa occidentale, vede erodersi la propria influenza, con l’AES che minaccia di diventare un contrappeso autonomo.

Una riunione di ECOWAS
Tra economia e utopia politica
Oltre alla Difesa, l’AES punta a un’integrazione economica, con progetti di banche d’investimento per infrastrutture, agricoltura e digitalizzazione.
L’ambizione più audace, però, rimane la creazione di un unico Stato nazionale, sogno complesso in un continente dove i confini coloniali hanno spesso diviso etnie e risorse.
Tuttavia, il contesto globale favorisce nazionalismi e regionalismi: il Sahel, crocevia di traffici e instabilità, potrebbe diventare un laboratorio di nuove sovranità postcoloniali.

La zona del Sahel
Un’Africa che cambia (e che fa rumore)
Il caso dell’AES è sintomatico di un’Africa in fermento, dove il rifiuto dell’egemonia occidentale si intreccia con la ricerca di autonomia strategica.
Se da un lato la collaborazione con la Russia solleva interrogativi sui modelli di governance, dall’altro segna una rottura con decenni di dipendenza.
La sfida, ora, è trasformare l’orgoglio sovranista in progetti sostenibili, in una regione dove jihadismo, povertà e crisi climatiche rischiano di offuscare persino le migliori intenzioni.
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