ARGENTINA: IL TERRORISMO DEGLI ANNI ’70. IL CASO DI JUAN CARLOS SEVERINO AGENTE DELL POLIZIA FEDERALE

Di Gerardo Severino* 

BUENOS AIRES. Recentemente, nell’ambito di un saggio pubblicato su Report Difesa e dedicato al quarantennale della guerra delle Falkland/Malvinas (https://www.reportdifesa.it/malvinas-40-anni-fa-la-guerra-contro-la-gran-bretagna-una-breve-storia-di-un-insediamento-che-da-secoli-appartiene-allargentina/)  ho fatto cenno anche al contesto storico (la primavera del 1982) nel quale era maturata, in Argentina ovviamente, l’idea di “riprendersi il maltolto”.

Soldati argentini nella guerra per Malvinas/Falkland.

Una scelta operata dalla Giunta Militare di Buenos Aires nel tentativo – poi risultato vano – di ricompattare l’unità nazionale e riottenere così il consenso popolare.

Ebbene, come molti ricorderanno, la dittatura militare che in Argentina aveva rovesciato la Repubblica era intervenuta a seguito del colpo di Stato che, quasi in maniera indolore, fu consumato a Buenos Aires la notte del 24 marzo del 1976.

Ciò avveniva, purtroppo, al culmine di una difficilissima situazione venutasi a creare nel Paese subito dopo la morte del Generale Juan Domingo Perón (1° luglio 1974), il quale, tornato in Argentina dopo un lungo esilio, era nuovamente assurto alla “Casa Rosada” appena l’anno prima.

Juan Domingo Peron

La situazione delicata, che certamente contribuì maggiormente rispetto alle altre (crisi economica in primis) fu quella del terrorismo, ripreso con grande fulgore anche a causa dei dissidi interni sorti nell’ambito dello stesso Partito Peronista.

Affido, quindi, al presente saggio il tentativo di fornire, anche attraverso la triste storia dell’Agente di Polizia, Severino, qualche dettaglio in più sia riguardo al momento storico che al suo epilogo.

L’Argentina sotto la minaccia terroristica (1974 – 1976).

Gran parte degli storici argentini sono concordi nell’affermare come il quadro politico dell’Argentina di quegli anni, caratterizzato da un’estrema instabilità da parte della Presidenza di Isabel Martínez de Perón, subentrata “de jure ” al Generalissimo, sia degenerato allorquando la stessa nominò come Segretario di Stato José López Rega, appartenente all’ala conservatrice del partito e per questo inviso alla sinistra peronista, la quale, attraverso il suo braccio clandestino armato, i noti  “Montoneros[1], riprese una durissima campagna di guerriglia armata proprio contro il Governo federale.

Isabel Martínez de Perón

Si trattò di una vera e propria guerra caratterizzata da un elevato numero di attentati e di omicidi, molti dei quali ebbero come vittime appartenenti alla stessa Pubblica Amministrazione, all’economia nazionale e all’imprenditoria, alle Forze Armate e, non per ultime, alle Forze di Polizia.

In realtà tale forma di lotta non fu a senso unico, in quanto parallelamente riprese vigore nel Paese la lotta portata avanti sia dal cosiddetto “Ejército Revolucionario del Pueblo  (ERP)” [2], che dall’estrema destra, quest’ultima rappresentata dalla cosiddetta “Alianza Anticomunista Argentina (AAA)” [3].

La situazione dell’ordine pubblico in Argentina si deteriorò al punto tale che le violenze dei gruppi estremisti, sia di destra che sinistra, costrinsero il Paese a vivere in un vero e proprio clima di terrore, un clima tale da costringere il Governo a decretare, già nel novembre del 1974, lo “stato d’assedio”, cui avrebbero fatto seguito, nel luglio del 1975,  le dimissioni dello stesso Rega dalla carica di Segretario di Stato, essendo palese il suo coinvolgimento personale nelle azioni della “Alianza Anticomunista Argentina”.

A tale drastica decisione subentrò il varo di alcune speciali disposizioni normative, dette “Antiterrorismo”, volute dalla stessa Presidentessa  Isabelita de Perón, in virtù delle quali si sarebbe ricorso all’impiego diretto delle Forze Armate nella lotta contro la “sovversione”, sia essa riconducibile ai “Montoneros” che al Movimento Marxista.

Non solo, ma la stessa Isabelita affidò espressamente alle truppe militari (con decreto n. 281 del 5 febbraio 1975) il compito di “annientare la guerriglia” con qualunque mezzo e senza preoccupazioni di tipo normativo e, quindi, legale.

Fu così che già nel febbraio del 1975, l’Esercito argentino, in quel contesto agli ordini del Generale Acdel Vilas, diede inizio al cosiddetto “Operativo Indipendencia”, la prima massiccia operazione di repressione contro la guerriglia dell’E.R.P. [4].

Nonostante ciò, verso la fine dello stesso 1975 la situazione dell’ordine pubblico in Argentina sembrò aver raggiunto il classico punto del non ritorno, essendo oramai degenerata irreversibilmente in direzione del caos e di una imminente guerra civile, le cui vittime aumentavano di giorno in giorno [5].

Si pensi che solo da parte della “Alianza Anticomunista Argentina” il clima di terrore innescato nel Paese aveva determinato l’omicidio (secondo i dati raccolti dopo la fine della dittatura da parte della “Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas “CONADEP”)”, di oltre 400 persone tra il 1973 ed il 1975.

Il sacrificio dell’Agente della Polizia Federale, Juan Carlos Severino

Tra i 170 poliziotti assassinati in Argentina tra il 1973 e il 1976 ho scelto – certamente non a caso, tenendo presente il cognome italiano della vittima – la storia di un giovanissimo Agente della Polizia Federale, Juan Carlos Severino,  appartenente al 43° Commissariato di Polizia di Bahia Blanca, il quale fu barbaramente assassinato il 17 gennaio 1975 (verso le ore 7.50), in località Floresta, nei pressi della Stazione del Ferrocarril “Sarmiento”.

L’Agente della Polizia Federale, Juan Carlos Severino,

Le cronache del tempo ci ricordano che quel giorno l’Agente Severino aveva visto una donna distribuire per strada opuscoli di un’organizzazione terroristica.

Si avvicinò insieme a un compagno, il Primo Capo José Antonio Villagra, per fermarla e identificarla, ma la donna si nascose rapidamente dietro un albero, nel tentativo di sviare le proprie tracce.

 

A quel punto da una Fiat 128, qualcuno sparò ai poliziotti, uccidendo sul colpo il giovane Agente Severino e ferendo il suo superiore Villagra.

La terrorista in gonnella, salita sulla macchina dei complici fuggì immediatamente, prendendo la strada Avellaneda.

Villagra fu subito ricoverato in terapia intensiva presso l’Ospedale “Bartolomé Churruca” per le gravi ferite riportate, ma per fortuna ebbe salva la vita.

All’ennesimo atto terrorista contro la Polizia seguirono i soliti rastrellamenti e le inevitabili indagini, capeggiate dallo stesso capo della Polizia Federale, il Commissario Generale Luis Margaride.

Entrambi le attività non portarono, tuttavia, ad alcun risultato tangibile.

Composta nella camera ardente allestita nella piazza d’armi della Caserma del 5° Reggimento Fanteria (che a quel tempo ospitava anche un reparto del “Cuerpo Guardia de Infanteria” della stessa Polizia Federale di Bahia Blanca [6]), la salma dell’Agente Juan Carlos Severino fu vegliata dai familiari, i genitori e l’amata sorella, dai suoi stessi colleghi e omaggiata dalla cittadinanza.

La Caserma di Fanteria ove fu allestita la camera ardente in onore dell’Agente Severino

I funerali dell’ennesima vittima di quel clima di odio e di terrore si svolsero il giorno seguente, celebrati dal Cappellano della Polizia, Don Carlos Gardella, e culminarono con la sepoltura del feretro all’intero della Cappella riservata alla Polizia Federale, nell’ambito del Cimitero Monumentale della Chacarita, a Buenos Aires [7].

Juan Carlos Severino aveva solo 24 anni ed era, come è facile intuire di origini italiane.

Era entrato in Polizia appena due  anni prima, arruolandosi nel Corpo il 9 settembre del 1973.

È ovvio come l’assassinio fosse maturato negli ambienti estremisti, che, a quel punto, avrebbero potuto far capo sia al citato “Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), che ai noti “Montoneros”.

Purtroppo, come era naturale che accadesse in quel frangente storico, nessuno rivendicò mai il delitto, tant’è vero che ancora oggi i familiari dell’Agente Severino attendono giustizia.

Epilogo.

Alla fine di quello stesso infausto anno che aveva visto morire per le strade argentine anche uno dei tanti figli di immigrati italiani, che aveva visto nel servizio in Polizia o nelle Forze Armate quel riscatto sociale magari inseguito per anni, esattamente nel periodo di Natale 1975, il nuovo Comandante in capo dell’Esercito argentino, Generale Jorge Rafael Videla, indirizzò un minaccioso messaggio, quasi intimidatorio, alla Presidentessa Isabelita de Perón.

Il Comandante in capo dell’Esercito argentino, Generale Jorge Rafael Videla

Egli affermò che era ormai necessario che ognuno si “assumesse le proprie responsabilità”  e che era indispensabile che fossero attuate le “soluzioni profonde e patriottiche che la situazione esige”.

Non solo, ma Videla sottolineò  “la gravità dell’ora che la Patria vive”, affermando, infine, che “l’ora del risveglio del popolo argentino” era giunta.

Dalle parole ai fatti, con la deposizione della stessa Isabelita, il 24 marzo del 1976, e la formazione di una dittatura militare, con l’assunzione della Presidenza da parte dello stesso Generale Videla.

Ma, come sono solito terminare i miei saggi… “Questa è un’altra storia!”.

NOTE

[1] Il movimento peronista, nel perdere la propria coesione interna, aveva visto nelle componenti di sinistra più radicali lo svilupparsi del movimento guerrigliero “Montoneros”, il quale, a partire dal 1970, avrebbe svolto una crescente attività di lotta armata contro le strutture politico-militari dello stesso Stato, sia durante il precedente regime militari che nel periodo di governo di Isabelita.

[2] Si trattava di un gruppo di ispirazione Trotskista che, dalla fine degli anni ’60 si era già distinto in azioni di guerriglia urbana principalmente nella provincia di Buenos Aires e di Córdoba, sia ai danni delle Forze Armate che della Polizia Federale allo scopo di contrastare la precedente Giunta militare che operò in Argentina dal 1966 fino al ritorno di Perón, nel 1973.

[3] Era, questa, una formazione paramilitare organizzata e diretta dallo stesso José López Rega, purtroppo con il sostegno occulto anche delle Forze Armate, la quale, dal canto suo, si sarebbe macchiata di non pochi omicidi ai danni di militanti di sinistra, sindacalisti e persino peronisti di sinistra.

[4] Essa fu portata a termine nella provincia di Tucumán e vide purtroppo agire i  militari con azioni molto brutali, con arresti di massa, esecuzioni sommarie, ma soprattutto con il ricorso sistematico alla tortura e persino con l’impiego dell’aviazione per bombardare i villaggi rurali occupati dai guerriglieri.

[5] Secondo le statistiche più accreditate il numero delle vittime ammontò a 62 in dicembre 1975, 89 a gennaio 1976 e 105 a febbraio 1976, mentre dal ritorno al potere di Juan Domingo Perón (25 maggio 1973) al 23 marzo 1976 i soli omicidi classificati “politici” furono ben 1.358, tra cui 66 militari, 170 poliziotti, 6 gendarmi, 677 civili e 445 tra i c.d. “sovversivi”.

[6] Ancora oggi sono delle unità speciale anti-sommossa e anti-terrorismo della Polizia Federale Argentina.

[7] Cfr. corrispondenza dal titolo “Extremistas mataron a un policía a Floresta, in <<La Nacion>>, 18 gennaio 1975, p. 3.

*Colonnello  (Aus) della Guardia di Finanza – Storico Militare

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