Artico: tra rivendicazioni territoriali e interessi geopolitici

Di Danilo Talento 

Washington. Una tematica oggi molto discussa nel diritto del mare e tra i membri della Comunità Internazionale è la sovranità negli spazi marini dell’Artico e dell’Antartide.

Trattasi di una questione che è stata posta al centro del dibattito geopolitico mondiale nel periodo a cavallo tra la fine della Guerra Fredda e l’avvento del nuovo millennio, in cui la questione della sovranità nelle regioni polari ha assunto una certa rilevanza e su cui sono tuttora concentrati gli interessi di molti Stati, essendo l’area in questione ricca di risorse naturali e dagli elevati benefici economici.

Come specificato in una ricerca scientifica condotta dall’U.S. Geological Survey, il “patrimonio” dell’Artico si aggirerebbe sui 100 miliardi di barili di petrolio e altrettanti milioni di metri cubi di gas naturale.

Come se non bastasse lo scioglimento dei ghiacciai, pur rappresentando una minaccia concreta per il pianeta e l’ecosistema, ha agevolato gli Stati nella navigazione lungo la rotta artica, riducendo la distanza tra il Continente europeo e asiatico e permettendo loro di incrementare gli scambi commerciali, motivo per cui oggi persiste un’attenzione senza precedenti nei confronti dell’Artide. (Marco di Liddo and Francesca Manenti, 2017)

Gli Stati che per primi hanno avanzato delle pretese sulle acque dell’Artico sono stati il Canada e l’ex Unione Sovietica i quali hanno modellato le proprie rivendicazioni nella regione sulla teoria dei settori [1].

Tale pratica di appropriazione delle acque dell’Artico è stata successivamente adottata anche da alcuni Stati del nord Europa e prossimi alla regione polare come la Norvegia [2]. (Danilo Giordano, 2016)

Le prime forme concrete di appropriazione risalgono al 2007 quando la Russia inviò due mini-sommergibili sui fondali del Mar Artico ad una profondità di circa 4.300 metri.

La missione aveva come obiettivo la rivendicazione di un’ampia fascia di mare, quella compresa tra la penisola nord-orientale e occidentale della Russia e il Polo Nord.

Il Governo di Putin faceva derivare tale pretesa dal fatto che su tale tratta ci fossero delle piattaforme sottomarine [3] che di fatto collegavano il Polo Nord alla regione della Siberia. (Danilo Giordano, 2016)

Il Presidente russo. Vladimir Putin.

La Russia non era la sola a rivendicare una sovranità nel Mar Artico in quanto anche la Danimarca riteneva che la piattaforma continentale della Groenlandia, di sua proprietà, fosse il punto di unione tra la dorsale di Lomonosov e il Polo Nord e su cui vantare, pertanto, una giurisdizione.

Lo scenario che si è venuto a delineare a partire dai primi anni del nuovo millennio è quello di un contenzioso, seppur pacifico, tra Stati che di fatto facevano la corsa per assicurarsi un controllo pieno e sostanziale in una delle aree nevralgiche del Mar Glaciale Artico.

Un’altra ampia porzione di mare su cui sono state avanzate negli anni delle rivendicazioni di sovranità è quella del Mar di Barents, al centro di una disputa tra la Norvegia e la Russia e dai forti risvolti economici data la presenza di cospicui giacimenti di petrolio e di gas naturali presenti sui suoi fondali. (Danilo Giordano, 2016)

Molte le rivendicazioni di sovranità sul Mar di Barents

 

Il contenzioso ancora oggi perdura in quanto i governi russo e norvegese non sono pervenuti ad un accordo che fosse in grado di delimitare, in ottemperanza alle norme della UNCLOS, gli spazi marini del Mar di Barents.

L’assenza di un compromesso scaturisce dal fatto che gli Stati hanno deciso di prolungare a proprio piacimento i confini delle rispettive zone economiche esclusive al punto da provocarne l’urto.

La Norvegia riteneva che le spettasse una piattaforma continentale più ampia rispetto a quella dichiarata dalla Russia e che comprendesse anche le Isole Svalbard, rivendicazione tuttavia priva di fondamenti giuridici in quanto la Convenzione di Montego Bay attribuisce una piattaforma continentale agli Stati e non alle isole.

La soluzione tarderà ad arrivare in quanto gli interessi nell’area sono notevoli nonostante sia in vigore dal 1978 un accordo ad interim tra il governo norvegese e russo che ha istituito una “confort zone” nel quale beneficiare, in attesa di una soluzione, del diritto alla pesca e allo sfruttamento delle risorse naturali ivi presenti.

Un altro teatro di scontro è l’Isola di Hans, situata tra l’Isola canadese di Ellesmere e la Groenlandia, su cui sono state avanzate non poche pretese in quanto le dimensioni dell’isola, pari a 1.300km2, assicurerebbero ad uno dei due Stati una piattaforma continentale dalle notevoli proporzioni.

Un altro scontro politico è sull’Isola di Hans

Le differenti vedute sulla questione si sono tramutate, tuttavia, in un vero e proprio contenzioso in seguito all’iniziativa nel 2005 del Governo canadese di militarizzare l’area per rispondere ai tentativi di occupazione da parte della Danimarca.

Infine, l’ultima disputa nell’Artico concerne il Mare di Beaufort, conteso tra gli Stati Uniti e il Canada. (Daniele Verga, 2012)

Un’altra disputa nell’Artico riguarda il Mare di Beaufort

I primi ritengono che sia giusto procedere per una spartizione dell’area secondo il più equo dei principi internazionali regolanti il diritto del mare, ovvero quello dell’equidistanza dalle coste di uno Stato.

Il Governo di Ottawa invece spinge per far combaciare il confine marittimo del Mare di Beaufort con quello terrestre lungo il 141° parallelo di longitudine. Anche in questo caso non si è pervenuti ad un accordo che, comunque, non potrebbe che propendere per uno uso comune del mare e per lo sfruttamento delle risorse in esso presenti. (Danilo Giordano, 2016)

 

Il regime giuridico dell’Artico secondo il diritto internazionale del mare

L’Artico è una immensa regione che circonda il Polo Nord e formata in prevalenza da acqua e massi di ghiaccio, su cui affacciano Stati rivieraschi come la Russia, l’Alaska [4], la Groenlandia [5] e Stati frontisti come la Svezia, la Finlandia e l’Islanda, i quali rivendicano, una giurisdizione in base alla “teoria dei settori” precedentemente menzionata.

Moltissimi gli interessi sull’Artico

Analizzando il diritto internazionale, quale unico strumento in grado di chiarire la legittimità delle pretese, emerge una chiara infondatezza circa la loro effettiva applicazione.

Ciò che disciplina l’esercizio di una sovranità è l’effettività con il quale uno Stato controlla effettivamente un territorio, in modo continuativo e non momentaneo, e la comunità ivi stanziata.

Nel caso del Mar Artico e dell’Antartide, molti Stati hanno avuto la presunzione di pensare che bastasse la semplice scoperta o la conduzione di esplorazioni scientifiche per esercitare su tali territori una sovranità giuridica a tutti gli effetti. (Ida Caracciolo and Umberto Leanza, 2010)

Il regime giuridico dell’Artico è disciplinato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 la quale, pur non essendo specifica per la regione, applica le consuete norme internazionali sul diritto del mare essendo la regione polare circondata dal mare.

Stabilisce, altresì, norme chiare sul corretto utilizzo dei mari e degli oceani e sullo sfruttamento delle risorse naturali, chiarendo anche le incertezze legate alla spartizione del Mar Artico e al funzionamento dell’intera area.

Il quadro giuridico che ne deriva è comunque ben saldo e permette di risolvere le ambiguità legate alle rivendicazioni degli Stati costieri che nella regione vantano non pochi diritti di sovranità.

La UNCLOS ((United Nations Convention on the Law of the Sea) si caratterizza per l’aver introdotto l’istituto giuridico della “zona economica esclusiva”, una fascia di mare di ampiezza massima 200 miglia dalle linee di base del mare territoriale in cui gli Stati costieri godono di diritti sovrani nello sfruttamento, nell’esplorazione e nella gestione delle risorse naturali nonché in termini di ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino.

Gli Stati terzi, invece, godono della libertà di navigazione, di pesca, di sorvolo e di posa di cavi e condotte sottomarine.

La UNCLOS ha ridefinito il concetto di piattaforma continentale [6] intesa come la fascia di mare che comprende il fondale marino e il sottosuolo oltre il mare territoriale che si può estendere fino alle 200 miglia dal quale viene misurata l’ampiezza delle acque territoriali (United Nations Convention on the Law of the Sea, 1982)

La Convenzione di Montego Bay ha introdotto anche l’Area del patrimonio comune dell’umanità in cui viene concessa agli Stati la possibilità di beneficiare liberamente delle risorse in essa presenti purché sia destinata per scopi pacifici e i benefici siano condivisi con tutti gli Stati della Comunità Internazionale. (Ida Caracciolo and Umberto Leanza, 2010)

 

La Dichiarazione di Ilulissat del 2008

Un altro tassello per il funzionamento giuridico del Mar Artico è rappresentato dalla Dichiarazione di Ilulissat del 2008.

Trattasi di un Trattato internazionale frutto di un accordo scritto a cui si è giunti in seguito alla convocazione della prima grande Conferenza sull’Artico, tenutasi a Ilulissat in Groenlandia tra il 27 e il 29 maggio del 2008.

Vi presero parte i 5 Paesi membri del Consiglio Artico [7], ovvero Canada, Russia, Stati Uniti, Norvegia e Danimarca.

Dal vertice emerse la volontà degli Stati firmatari di ribadire l’impegno al rispetto degli obblighi già enunciati nella Convenzione di Montego Bay al fine di preservare il buon uso e sfruttamento del Mar Artico.

Venne altresì precisato che in qualsiasi momento gli Stati firmatari avrebbero potuto porre in essere tutte le azioni necessarie per evitare o ridurre al minimo il rischio dell’inquinamento causato dal passaggio delle navi, previa l’osservanza delle norme del diritto internazionale del mare e del diritto nazionale degli Stati firmatari. (Ilulissat Declaration, 2008)

Altri strumenti giuridici a tutela dell’Artico

Tra gli interventi normativi diretti a garantire una corretta gestione delle acque della regione polare artica e delle sue risorse vi è la Convenzione di Londra sulla prevenzione dell’inquinamento marino provocato dall’immersione di rifiuti.

Adottato il 13 novembre del 1972 ed entrato in vigore il 30 agosto del 1975, il Trattato si premuniva di risolvere una delle principali cause dell’inquinamento dei mari, quale lo scarico di rifiuti pericolosi nei fondali da parte delle navi o da qualsiasi altro mezzo o piattaforma.

In particolare la Convenzione stabiliva norme precise sulla prevenzione e il controllo dell’inquinamento marino prevedendo, ad esempio, il divieto di scarico di materiali pericolosi e un’autorizzazione preventiva per l’immersione di altri materiali identificati e per specifiche tipologie di rifiuti e sostanze inquinanti.

Le Parti firmatarie convennero anche nell’istituire un’Autorità in grado di occuparsi delle questioni prettamente amministrative e di monitoraggio delle condizioni ambientali del mare.

Il corpus normativo della Convenzione è stato poi arricchito nel 1996 con l’adozione di un Protocollo aggiuntivo che ha introdotto il principio di precauzione e del “chi inquina paga”. Trattasi di piccole ma significative modiche al testo convenzionale che si inseriscono nell’ottica sempre più stringente di una revisione di quanto previsto originariamente nel 1972.

Viene ribadito l’obbligo di vietare lo scarico e l’immersione nelle acque di materiale inquinante, l’impegno ad adottare misure per il rilascio di autorizzazioni per lo scarico in mare di materiali particolari, quale materiale inorganico o quello derivante dalla depurazione dei fanghi e da attività industriali.

Infine il Protocollo introduce il divieto per le attività di incenerimento in mare e le esportazioni di materiali pericolosi non rientranti in tale tipologia di attività.

A completare il quadro giuridico del regime dei mari e degli oceani vi sono la Convenzione SOLAS del 1974 per la sicurezza della vita in mare e la Convenzione MARPOL sulla prevenzione dell’inquinamento da navi.

Il quadro normativo dell’Antartide: cosa la differisce dall’Artide?

L’Antartide è un continente che circonda il Polo Sud, situato in una posizione opposta al Polo Nord e all’Artico, anch’esso composto in prevalenza da massi di ghiaccio.

Una mappa del’Artide

È sottoposta ad un regime giuridico di internazionalizzazione e di libertà, diverso dunque da quanto previsto per l’Artico.

Eppure anche l’Antartide è stato teatro delle stesse rivendicazioni di sovranità che gli Stati hanno portato avanti nella regione polare artica sulla base della teoria dei settori.

Rimarcando quanto detto in precedenza, il diritto internazionale non attribuisce ad uno Stato che conduce attività di esplorazione nelle acque dell’Antartico la facoltà di esercitare un controllo pieno e senza limiti nell’ area.

Ciò che legittima uno Stato ad esercitare una sovranità piena è l’effettiva e continuativa occupazione su un dato territorio, e il conseguente controllo sulla popolazione ivi stanziata.

Appellandosi a tale criterio giuridico e per eliminare le tensioni e le incertezze in seno alla Comunità internazionale, gli Stati prossimi e maggiormente interessati alla regione antartica hanno avviato alla fine degli anni ’50 del secolo scorso i negoziati per l’istituzione di un regime giuridico valido che fosse in grado di risolvere le ambiguità di cui sopra.

A tal fine, nel 1959, 14 Stati firmarono a Washington il Trattato sull’Antartide, entrato poi in vigore nel 1961, che ha gettato le premesse per un corretto uso e funzionamento dell’intera regione.

Tra i principi enunciati nel Trattato quello che ha suscitato un maggior interesse nei firmatari concerne il divieto di condurre attività militari al fine di preservare le risorse naturali ivi presenti. Ne consegue, dunque, che l’area in esame può essere utilizzata per scopi prettamente pacifici, quali ad esempio lo svolgimento delle attività di ricerca scientifica. (Ida Caracciolo and Umberto Leanza, 2010)

Trattasi di un principio che ha assunto nel corso degli anni un’inderogabilità ai sensi del diritto internazionale in linea con quanto già disposto dalla Convezione di Montego Bay del 1982 che, nell’istituire l’Area del patrimonio comune dell’umanità e della zona economica esclusiva, richiama i principi dell’uso pacifico del mare e della libertà della ricerca scientifica.

Il testo normativo del Trattato di Washington è stato arricchito nel 1988 dalla Convenzione di Wellington la quale, pur non essendo mai entrata in vigore, colmava un’ambiguità del Trattato in quanto introduceva una disciplina ad hoc sullo sfruttamento delle risorse minerarie situate nella regione antartica.

Per ovviare alla mancata ratifica della Convenzione di Wellington, venne adottato nel 1991 il Protocollo di Madrid che introduceva una disciplina giuridica sullo sfruttamento delle risorse minerarie nell’Antartico prevedendo, allo stesso tempo, il loro divieto per un periodo di 50 anni e sottoponendo ogni attività ad una valutazione di impatto ambientale che avrebbe dovuto esplicarsi mediante operazioni di cooperazione e di indagine tra gli Stati parte.

Le disposizioni si applicano nella regione geografica posta a sud del 60° parallelo, fatti salvi i diritti che gli Stati possono vantare nell’alto mare in cui viene garantita la libertà di navigazione, di posa di cavi e condotte sottomarini, di pesca, di ricerca scientifica e di sorvolo.

Com’è la situazione oggi nell’Artico?

Le problematiche dell’Artico relative allo scioglimento dei ghiacciai quale conseguenza del cambiamento climatico e alle pretese di sovranità da parte degli Stati per fini economici e geopolitici, hanno posto l’accento sulla necessità di ampliare le politiche governative al fine di garantire una maggiore sicurezza della regione polare.

Sono state adottate, pertanto, strategie internazionali di difesa che logicamente variano a seconda degli interessi dei singoli Stati.

Il Canada, ad esempio, ha previsto di concerto con gli Stati Uniti la costituzione del “Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America” un sistema di controllo effettivo in grado di prevenire eventuali attacchi sia via aerea che via mare con il potenziamento della flotta marina canadese al fine di monitorare la sicurezza della navigazione e dei confini marittimi della regione artica.

Anche la Danimarca ha previsto un potenziamento del monitoraggio sia aereo che marittimo dell’area interessata, come descritto dal nuovo piano della Difesa nel quinquennio 2018-2023.

Questa esigenza scaturisce dal presupposto di continuare ad esercitare una forte pressione nel Mar Glaciale Artico derivata dall’attuale controllo, a tratti indiretto, sulla Groenlandia, territorio nevralgico per gli equilibri geopolitici della regione.

La Russia, invece, in quanto potenza che per prima ha vantato rivendicazioni territoriali nell’Artico, persegue una politica estera del tutto espansionistica nella regione polare, come dimostra l’elaborazione della “Nuova Dottrina Navale della Federazione Russa”.

La strategia del governo di Putin mira a rafforzare la struttura militare del Paese con la creazione di un apparato militare e l’impiego della guardia costiera per vigilare sul confine russo in cui sono situati diversi rompighiaccio dotati di armamento. (Pietro Lucania, 2020)

Al riguardo, la Duma ha autorizzato nel 2018 l’adozione di una legge che attribuisce una sovranità piena alle proprie navi nel trasporto di petrolio e di risorse energetiche nella rotta del Mar del Nord.

In aggiunta, il Governo russo ha presentato il 9 aprile 2019 un piano operativo finalizzato alla costruzione di infrastrutture e all’aumento della flotta marina al fine di accelerare i traffici sulla via marittima del Nord (Rossana Miranda, 2019).

Alle pretese degli Stati frontisti si aggiungono le ambizioni di Stati terzi i quali, pur non affacciando direttamente nell’acque dell’Artico, intendono comunque beneficiare delle risorse economiche e non presenti nell’area.

Tra questi vi sono gli Stati Uniti che negli ultimi hanno incrementato le strategie di sicurezza e di difesa allo scopo di acquisire il controllo della Groenlandia e a di ridurre il gap con le altre potenze, in primis la Russia e la Cina.

L’amministrazione Trump ha infatti predisposto l’istituzione di una Task Force governativa che desse il via per l’utilizzo dei sottomarini per la creazione di laboratori artici in grado di sfruttare le risorse e le potenzialità presenti nella regione. (Pietro Lucania, 2020)

Il Presidente uscente americano Donald Trump

Anche la Cina persegue interessi di rilievo nell’Artico come dimostra il cospicuo piano di investimenti economici lanciato nel 2012 e l’avvio del piano di costruzione di una nave rompighiaccio per condurre attività esplorative nella regione polare.

Il piano cinese non si limita tuttavia alle attività di ricerca scientifica ma anche ad instaurare una forte cooperazione politico-istituzionale, come dimostra l’intenzione del governo di Pechino di costruire la più grande sede diplomatica-consolare in Islanda perché quest’ultima possa diventare un importante snodo per i traffici commerciali tra la Cina e l’Artico.

La politica cinese mira in sostanza alla costruzione di una via della seta polare al fine di dare un impulso maggiore alla sua economia attraverso lo sfruttamento del commercio del Mar Artico. (Corrado Fontana, 2019).

La NATO esercita in tale scenario geopolitico un’influenza non di poco conto in virtù del fatto che molti dei suoi Stati parte detengono il controllo dei territori dell’Artide.

L’Organizzazione atlantica concentra la sua politica di intervento sulla clausola di mutua assistenza al fine di prevenire eventuali tensioni in grado di sfociare in attacchi diretti contro uno dei suoi Stati parte.

Ad oggi questa intenzione si traduce nell’organizzazione di operazioni militari di controllo e coordinamento aventi lo scopo di migliorare la cooperazione tra gli Stati in termini di tutela del territorio artico e di prevenzione da eventuali attacchi esterni.

Analizzando le strategie dei Paesi che nell’Artico vantano interessi sia economici che geopolitici, emerge chiaramente la volontà della Russia e della Cina di avviare un processo di consolidamento in grado di diventare le due principali potenze economiche e geopolitiche, più di quanto non lo siano già.

Emerge, altresì, la scarsa incisività di un’Europa che, come spesso accade in contesti geopolitici alquanto insidiosi, non riesce dire la sua e ad esercitare un ruolo di primo piano nell’attuale scenario politico internazionale.

 

NOTE

[1] Teoria in base al quale gli Stati considerano come propri gli spazi marini che si estendono oltre il circolo polare al punto da creare un triangolo in cui il vertice è rappresentato dal Polo Nord e la base da una linea che unisce le estremità delle coste di ogni Stato coinvolto in tale area geografica.

[2] Già nel 1920 la Norvegia rivendicava pretese di sovranità nell’Artico come dimostra l’adozione del Trattato delle Spitzberg, un arcipelago oggi corrispondente al complesso delle isole Svalbard. Il Trattato assicurava l’esercizio di una sovranità nella regione riconoscendo altresì il diritto di condurre attività di pesca, di ricerca scientifica e di sfruttamento delle risorse e l’obbligo di utilizzare l’arcipelago per scopi pacifici.

[3] La dorsale di Lomonosov e la catena di Mendeleev

[4] Di proprietà degli Stati Uniti.

[5] Stato satellite della Danimarca.

[6] La Convenzione sulla piattaforma continentale del 1958 la definiva come il letto del mare e il sottosuolo delle aree adiacenti alle coste ma poste al di fuori delle acque territoriali con una profondità di 200 metri

[7] Organismo creato nel 1996 al fine di stabilire una governance della regione e di promuovere incontri istituzionali tra i rappresentanti degli Stati dell’Artico per la realizzazione di politiche comuni nel campo della protezione dell’ambiente marino e della preservazione delle risorse naturali.

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