Avanza l’impero cinese sul mare e sulle rotte commerciali verso l’Europa e l’Africa

Napoli. Potere cinese sul mare. Per il Paese asiatico, l’economia marittima rappresenta, ogni anno, un valore di 970 miliardi di dollari (9,4% del PIL).

Merci cinesi vengono stoccate

Per questo, utilizzando la potenza sull’acqua, Pechino intende fare politica internazionale con uno scopo: acquisire maggiore controllo su rotte, terminali, flussi commerciali.

Tutto si basa su una serie di idee. Ad iniziare dalla cosiddetta Via della Seta che prevede la costruzione di un asse di collegamento terrestre verso l’Europa, una presenza logistica sul Mediterraneo per aprire una porta verso i Balcani ed i suoi nuovi mercati e verso il centro Europa.

Oltre a questo ci sono poi i mercati africani, cogliendo opportunità di sviluppo del Continente.

Insomma, è come se il Celeste Impero fosse tornato in vita. I cinesi hanno acquisito il porto del Pireo, in Grecia,  compiendo una manovra economica di grande respiro per realizzare un hub nel Mare Nostrum, gettando una testa di ponte per i mercati dell’area. L’Europa ha lasciato fare ed i greci sono stati costretti a passare la mano.

Dal Pireo al Nord dell’Africa il passo è stato breve. Le compagnie marittime, controllate dallo Stato cinese, hanno allargato la loro sfera di influenza. Tre anni fa, Pechino investì per i Paesi africani, sull’onda della cooperazione e lo sviluppo, 60 miliardi di dollari. L’anno scorso, il capo del Governo tedesco, Angela Merkel decise di stanziare 300 milioni di euro per stimolare, si disse, l’occupazione e ridurre l’illegalità.

Sono stati di 4 miliardi di euro gli investimenti di Pechino per porti e terminal. Nel 2017 è toccato a Valencia. Così la Cina si è conquistata un importante caposaldo nel Mediterraneo occidentale, dopo quello del Pireo nella parte orientale e del porto di Zeebrugge nel Nord Europa, particolarmente importante per gestire in autonomia i trasbordi di merce verso il Regno Unito ed i Paesi scandinavi.

I cinesi hanno acquisito partecipazioni anche in Egitto (a Port Said ed ad Alessandria) ed in Turchia (Kumport). Nell’area medio orientale, l’interscambio cinese è passato da 16,2 miliardi di dollari nel 2001 a 185,6 miliardi di dollari nel 2015 (si stima una crescita fino a 203 miliardi di dollari).

E l’Italia come risponde? dal 2010 al 2015 ha triplicato gli investimenti in Algeria ed Emirati, raddoppiando in Egitto. Ma è grazie alle aziende che il nostro Paese può consolidarsi nei mercati mediterranei e medio orientali, perché la logistica non aiuta molto le imprese.

A leggere il quinto annuale rapporto “Italian Maritime Economy” di Studi e Ricerche per il Meridione (SRM) di Napoli, presentato oggi nel capoluogo partenopeo, emerge con chiarezza quanto spiegato sopra e tanto altro ancora.

Cresce, ad esempio, in modo incalzante la competitività degli scali del Sud Med, tanto che è ormai quasi azzerato il gap con i porti del Nord del Mediterraneo.

Quello di Suez registra crescite record. Il Canale ha chiuso il 2017 con 909 milioni di tonnellate transitate e 17.550 navi (+11% sul 2016). È aumentato del 20% il traffico nella direzione Nord-Sud – che rappresenta il 52,6% del totale traffico merci del canale – mentre è praticamente stabile quello nella direzione opposta (+3%).

Il Canale di Suez è molto utilizzato dagli armatori cinesi

Invece, nella direzione Nord-Sud del Canale è il Sud Est asiatico la prima regione di destinazione delle merci in transito con il 27% del totale. Nella direzione opposta prevale l’area Nord, Ovest Europa e Regno Unito con il 30% del totale.

Nel Mediterraneo 19 porti hanno superato la soglia del milione di TEU. In aumento il ruolo degli scali del Sud Med e del Nord Med rispetto al Nord Europa nel mercato dei container.

E proseguono rapidamente i grandi investimenti nel Mediterraneo in porti e terminal. Il tutto sull’onda della  Belt & Road Initiative (BRI). Essa muoverà circa 1.400 miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali per realizzare e rafforzare opere marittime, stradali, aeroportuali e ferroviarie. Sino ad sono stati censiti progetti pari a 41 miliardi di dollari di cui il 20% circa destinati ai porti.

Ci saranno poi nuovi investimenti lungo la via della Seta. Secondo le previsioni, questi soldi consentiranno alla Cina di realizzare, al 2020, un export nei Paesi interessati di circa 780 miliardi di dollari ed un import di 570 miliardi.

Il programma interessa tutto il Mediterraneo. In particolare i dollari saranno destinati per terminal e infrastrutture intermodali. Anche la Spagna è interessata dopo Grecia, Turchia, Israele, Italia, Egitto, Belgio e Olanda.

Il nostro Paese è il primo dei 28 dell’Unione europea per il trasporto di merci in Short Sea Shipping (trasporto a corto raggio) nel Mediterraneo, con 218 milioni di tonnellate di merci trasportate (quota di mercato 36%).

Per la sua posizione geografica e per la sua dotazione logistica e portuale, inoltre, l’Italia può rivestire un ruolo di primo piano nella Belt & Road Initiative. Numerosi scali italiani ospitano, infatti, rotte interessate da Medio e Estremo Oriente. In particolare, vantiamo la presenza di 8 scali che accolgono le grandi alleanze navali strategiche per un totale di 29 servizi regolari. Sei di essi sono interessati dalla Ocean Alliance che vanta la presenza della Cosco (compagnia di Stato cinese).

C’è poi la componente energy dei porti che può rappresentare in prospettiva una delle nuove frontiere di sviluppo. 

Nuove opportunità si aprono con il traffico LNG (Liquified Natural Gas) e con quello LPG (Liquified Petroleum Gas). Il traffico delle rinfuse liquide rappresenta più del 30% del traffico marittimo internazionale. Esso comprende in prevalenza la movimentazione di petrolio e di derivati, il trasporto di gas e di prodotti chimici.

Le merci oil e gas trasportate nel mondo via mare ammontano a 3,1 miliardi di tonnellate, delle quali il petrolio con 1,8 miliardi di tonnellate rappresenta il 60%, i prodotti derivati e gas il restante 40% con 1,2 miliardi. Nel dettaglio di questi ultimi, l’8,7% riguarda il trasporto di gas naturale liquefatto (LNG) pari a 268 milioni di tonnellate, mentre il 2,9% è relativo al gas da petrolio liquefatto (LPG).

nuovi ordinativi di naviglio hanno già in essere navi ibride (in grado di utilizzare diversi tipi di carburante) e navi che utilizzano GNL. Un altro meccanismo di selezione futura dei porti da parte degli armatori potrebbe essere l’esistenza negli scali proprio d terminali GNL. Gli stretti di Hormuz e Malacca due grandi snodi di transito mondiale di Energy, insieme a Suez rappresentano il 40% dei transiti navali di petrolio mondiali.

Riguardo all’Italia i principali porti per la movimentazione di rinfuse liquide hanno gestito tra il 2013 e il 2017 un traffico di 188 milioni di tonnellate (37% del totale del traffico italiano). Tale categoria di merci si conferma quindi la principale gestita dai nostri scali. 

I primi 5 porti rappresentano il 71% dell’intero traffico liquido nazionale e Trieste, con 43,7 milioni di tonnellate, si conferma lo scalo italiano che movimenta i volumi più elevati.

Seguono Cagliari ed Augusta (Siracusa), terzo per volumi, ma che è il porto che evidenzia il maggior grado di specializzazione, dedicando alle rinfuse liquide il 95,7% della movimentazione complessiva del 2017.

Ed il Mezzogiorno rappresenta il 47% del traffico petrolifero nazionale.

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