Di Pierpaolo Piras
Pechino. A causa dei cambiamenti climatici planetari, la vasta regione rappresentata geograficamente dall’Oceano Artico è stata oggetto di un aumento sensibile dell’interesse politico ed economico da parte delle principali potenze che si affacciano sulla regione.
La Repubblica Popolare Cinese, pur non essendo una Stato artico , mostra una notevole attenzione a diventare uno dei maggiori attori nella geopolitica di quest’area.
Finora, Pechino ha assunto un atteggiamento ambiguo: da un lato fa un discorso moderato e rasserenante diretto alle cancellerie straniere, mentre verso l’interno si manifesta più cinico e propagandistico, enfatizzando la concorrenza economica e le ambizioni politiche nazionali nell’Artico.
Negli ultimi lustri, la Cina ha inviato frequentemente dei rappresentanti diplomatici di alto livello nei Paesi artici.
Si è impegnata o è diventata membro della maggior parte delle principali istituzioni implicate nell’Artico; ha stabilito in questa regione una mezza dozzina di strutture scientifiche, ha perseguito una serie di probabili progetti economici a doppio scopo, economico e politico e ha significativamente incrementato la sua flotta di navi rompighiaccio.
Attualmente, gli 8 Stati sovrani dell’Artico – Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti – esercitano una grande influenza territoriale su queste acque e sugli interessi strategici che vertono nell’area.
La Cina aspira ad avere un posto stabile negli organismi artici
Il suo territorio più vicino dista alcune migliaia di chilometri dal perimetro generalmente riconosciuto e concordato sull’Artico nello Stretto di Bering.
La Cina è entrata nella regione nel 1925 con la firma del Trattato di Spitsbergen (Norvegia).
Nel documento si esponeva e si attestava la sovranità nazionale della Norvegia sull’arcipelago delle Isole Spitsbergen e nel contempo conferiva pari diritti per le attività commerciali sulle isole a tutte le parti firmatarie (ad oggi sono 46), compresa la Cina.
Il “Regno di Mezzo” fa risalire proprio a questo vecchio trattato le basi giuridiche a sostegno della legittimità delle sue richieste e del suo ruolo in tutti gli affari dell’Artico.
L’impegno attivo della diplomazia cinese ha avuto importanti sviluppi più recenti, iniziando nel 2013, allorché è diventata uno dei 13 Stati “osservatori” del Consiglio Artico.
E’ seguita la nascita nel 2017 della “Polar Silk Road” (PSR) come parte integrante della più nota Belt and Road Initiative (BRI).
Nel giugno 2018, Pechino ha annunciato l’intenzione di varare al più presto il suo primo rompighiaccio a propulsione nucleare, dotato di un’imponente stazza di 30 mila tonnellate, rendendolo il secondo Paese (dopo la Russia) a possedere tali navi speciali.
Nello stesso anno, lo Stato cinese ha pubblicato un tanto atteso “Libro Bianco” denominato “China’s Arctic Policy”, nel quale ha delineato le sue argomentazioni, definendo spregiudicatamente se stesso come uno “Stato quasi artico “.
Da un punto di vista geopolitico e tecnico, tale documento spiega che la vicinanza geografica alla regione è resa strategicamente importante dagli sviluppi creati nel clima globale con secondari impatti cruciali anche a sud dell’artico, come ad esempio sull’assetto climatico cinese e, per estensione, sulla sua economia.
L’avanzata della Cina nell’Artico costituirà una minaccia o opportunità sicurezza nella regione?
Pechino considera assertivamente le regioni glaciali dell’estremo Nord come acque internazionali, sostenendo apertis verbis che gli sviluppi geopolitici nella regione sono di importanza non più locale ma globale.
Essi riguardano gli interessi dell’intera comunità internazionale e non più e non solo gli stati rivieraschi di questo oceano glaciale settentrionale.
Alla domanda sembra rispondere anche una nota dichiarazione dell’Ammiraglio Yin Zhuo della Marina militare dell’Esercito Popolare di Liberazione (evidentemente delegato a questo) che “il Polo Nord e l’area marittima intorno al Polo Nord appartengono al Commonwealth dei popoli del mondo, e poiché la Cina ha un quinto della popolazione mondiale, il suo ruolo nell’Artico non sarà affatto assente”.
La creazione di un fronte comune con la Russia.
Questa è una delle ambizioni della Repubblica Popolare Cinese che, insieme alla Federazione Russia, sono sottoposte alla pressione politico-economica degli Stati Uniti nel continente euroasiatico.
L’Artico non ne è escluso.
Prima del 2013 la Russia era fermamente contraria all’inclusione della Cina.
Nel 2012, ad esempio, Mosca ha impedito alle navi battenti bandiera cinese di operare sulle rotte del Mare del Nord.
Attualmente, il rapporto fra i due Paesi è cambiato.
Poiché i legami tra Russia ed Occidente si sono ulteriormente deteriorati dopo il 2013, le attività della Cina nell’Artico hanno trovato una maggiore opportunità di inserimento, crescendo in quantità e qualità.
Ad esempio, il gigante russo del gas naturale Novatek e la China National Petroleum Corporation (CNPC) hanno unito le forze in un’impresa per finanziare il progetto di gas naturale liquefatto “Yamal” (LNG), un quinto del quale era di proprietà di CNPC.
Dopo le sanzioni occidentali e il ritiro di ExxonMobil ed ENI dal progetto Yamal, la Russia si è rivolta ai cinesi.
Il fondo statale Chinese Silk Road Fund è intervenuto per acquistare una quota del 9,9%, aumentando le azioni di proprietà della Cina al 29,9%.
Sebbene inizialmente contro la presenza cinese, la Russia ora vede come un vantaggio, quello di bilanciare le ambizioni dell’Occidente e della NATO, migliorando le proprie capacità militari nella regione.
Atteggiamento generale verso la Cina
Tuttavia, non pochi analisti ritengono che l’attuale atteggiamento della Cina nei confronti dell’Artico non sia necessariamente quello contro cui gli Stati circostanti dovrebbero essere vigili.
Tali opinioni si basano in gran parte sui seguenti fatti:
- La Cina ha ottenuto ampi risultati in cooperazione con la ricerca scientifica
- Ha rafforzato le relazioni bilaterali in termini economici con i Paesi scandinavi e gli Stati artici come la Russia e il Canada
- Ha partecipato attivamente e aderito all’idea di governance pacifica nella regione sulla base di precisi ordinamenti giuridici, tra cui il Consiglio Artico e il LOSC (Low of sea convention).
Alla luce di questi fatti, le minacce percepite dalla posizione apparentemente attiva della Cina dovrebbero piuttosto essere viste da un punto di vista più sereno, freddo e realistico.
Il LOSC
La Convenzione sul diritto del mare (Low of sea convention, LOSC) del 1982 stabilisce un quadro giuridico completo per l’utilizzo economico e la protezione del mare, dei fondali marini e del sottosuolo e dell’ambiente marino, comprese le risorse naturali e culturali.
Attraverso una vasta ed articolata gamma di disposizioni, il LOSC stabilisce linee guida chiare per quanto riguarda i diritti di navigazione degli Stati, le zone e i confini marittimi e la giurisdizione economica, fornendo al contempo agli Stati membri le procedure da seguire per la cooperazione internazionale e la risoluzione delle controversie.
Sebbene non siano ancora parte costitutiva del trattato, gli Stati Uniti riconoscono che il LOSC delle Nazioni Unite riflette il diritto e la pratica internazionale consuetudinaria.
La posizione istituzionale della Repubblica Popolare Cinese
Per comprendere la politica ufficiale sull’Artico è meglio attingere le notizie dai siti istituzionali per capire almeno la posizione ufficiale della Cina .
Il sito ufficiale del Ministero degli Affari Esteri cinese http://China’s View on Arctic Cooperation il 20 ottobre 2010 ha elencato tre ragioni che rappresentano le maggiori ambizioni della Cina nella regione artica:
- Posizione geografica della Cina, che può essere seriamente influenzata dal clima e dalle condizioni meteorologiche
- Ricerca scientifica è necessaria per comprendere la ricerca globale sul clima e la valutazione dell’ambiente
- Potenziali impatti sulla Cina attraverso nuove rotte marittime, attività energetiche e commerciali.
Inoltre, Pechino considera l’Artico come una possibilità di ampliare il suo utilizzo commerciale attraverso le grandi rotte marittime che fatalmente si aprirebbero col disgelo , anche parziale, delle acque glaciali.
Le preoccupazioni geopolitiche principali della Cina
Come viene spesso sottolineato, le principali preoccupazioni della Cina sono tre.
In primo luogo, gli impatti ambientali dello scioglimento dei ghiacci artici a causa dei cambiamenti climatici, poi la forte influenza della Russia sulla rotta del Mare del Nord.
In terzo luogo, l’accessibilità della Cina all’energia e alle risorse sotto i fondali marini artici.
Tuttavia, queste preoccupazioni sono contrastate dall’argomento più convincente secondo cui “quasi tutte le risorse artiche identificate si trovano all’interno dei confini statali o all’interno della zona economica esclusiva degli Stati costieri di 200 miglia nautiche universalmente concordata”, che però “non sono oggetto di dibattito”.
Pechino non mostra la stessa benevolenza allorché si tratta di ciò che percepisce e denuncia come suoi diritti sovrani quelli relativi ai mari più vicini al proprio territorio, come nel caso del mar cinese meridionale o dello Stretto di Hainan, che separa la penisola di Leizhou, nella provincia cinese di Guangdong, a Nord, dall’isola di Hainan a Sud.
Entrambi i casi sono simili in quanto riguardano il coinvolgimento della Cina in questioni territoriali e marittime cruciali per la propria economia e sicurezza, con le prospettive più che promettenti per l’energia e le risorse future.
Nonostante le crescenti critiche da parte dei principali Stati artici, la crescente intensità degli sforzi e delle azioni assertive della grande nazione orientale mostra che Pechino continuerà a sfruttare ciò che vede come un’opportunità per modellare quella che vede, non sempre a torto, come “nuova frontiera strategica”, secondo i suoi esclusivi interessi nel prossimo futuro.
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