Roma. E’ in corso di svolgimento, a Roma, una giornata di studi in occasione del trentennale della fondazione del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) dei Carabinieri, presso la Scuola Ufficiali dell’Arma.

I Carabinieri del ROS eseguono un arresto
“Trent’anni di promozione dei valori costituzionali” è il titolo del convegno.
Il ROS fu istituito il 3 dicembre 1990, in attuazione del decreto legge n. 324 del 13 novembre 1990, emanato dal Governo presieduto da Giulio Andreotti per il contrasto della criminalità organizzata e che portò alla costituzione dei Servizi centrali ed interprovinciali di Polizia giudiziaria.
All’atto della sua costituzione il Raggruppamento Operativo Speciale assorbì la preesistente struttura anticrimine dell’Arma, nata a torino nel maggio del 1974 con un “Nucleo Speciale di Polizia giudiziaria”, costituito da unità appositamente prescelte dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, per l’espletamento di particolari e complesse indagini a livello nazionale nel contrasto al terrorismo.
Report Difesa pubblica il discorso integrale del Generale di Divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei ROS.

Il Comandante dei ROS, Generale di Divisione Pasquale Angelosanto
Buongiomo, con il permesso del Signor Comandante Generale, ringrazio le Autorità e tutti i presenti, per aver onorato, con la loro partecipazione, la celebrazione del Trentennale del Raggruppamento Operativo Speciale, che come tutti gli anniversari importanti, invita a svolgere alcune riflessioni.
Il mio intervento di apertura dei lavori riporta alcuni concetti dello studio pubblicato nell ‘ultimo numero della Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, che è stato donato a tutti i presenti, il cui titolo “Trent’anni di promozione dei valori del/a Costituzione” abbiamo dato anche al convegno.
L’idea posta alla base della creazione del Raggruppamento nasce dall’intenzione di recuperare il patrimonio culturale e investigativo sviluppato sin dai primi anni ’70 del secolo scorso in ambito antiterrorismo, anche al fine di mutuarlo, con i necessari adattamenti, nel contrasto ai fenomeni della criminalita organizzata, tra cui quella di tipo mafioso.
Piu recentemente, con un’operazione di adattamento ancora maggiore, tale patrimonio è stato “messo al servizio” anche delle indagini sui gravi fatti delittuosi, con la creazione del Reparto Crimini Violenti.
Questi aspetti verranno ripresi e approfonditi nei tre panel di discussione della giomata.
Le prime riflessioni sono in chiave costituzionalistica: la prassi investigativa adottata dal Raggruppamento non solo è informata al rispetto dei valori propugnati dalla nostra Costituzione, ma estrutturalmente improntata alla promozione culturale di tali valori.
Potrebbe apparire un fatto scontato che in uno Stato di diritto come quello italiano la polizia, come le altre istituzioni, rispetti la Costituzione; finanche nelle prassi piu segrete.
Potrebbe apparire un fatto scontato ma non lo e. Non lo è in generale per tutte le istituzioni e tantomeno lo e per le diverse forze di polizia, visto che pure nell’articolazione di tale comparto si rispecchia 1’impronta pluralistica della nostra Costituzione, le quali detenendo il monopolio della forza, potrebbero vivere la tentazione di sfruttarla per perseguire piu rapidamente il bene supremo della sicurezza pubblica, e tale tentazione puo raggiungere il livello massimo proprio in ambito antiterrorismo.
Fenomeni come l’eversione intema o il terrorismo intemazionale d’ispirazione religiosa configurano fattispecie appartenenti alla categoria dei “delitti contro la personalità dello Stato”: il bene giuridico protetto attiene ai nessi ultimi della societa, soppressi i quali si cadrebbe inevitabilmente nella barbarie.
Ovvio che qui più che altrove la risposta possa essere caratterizzata da panico, fretta, scorciatoie; e, per finire, dalla regressione dell’uso legittimo della forza a violenza.
Al netto delle derive di pochissimi, prontamente arginate dal sistema, in Italia l’attivita antiterrorismo è pienamente ricompresa nell’alveo costituzionale e assistiamo a un connubio di cui andare fieri: alla massima efficacia delle tecniche investigative associamo un esemplare rispetto dei dettami della Costituzione.
E questo non solo perché gli investigatori italiani antiterrorismo avvertono come invalicabili i confini del lecitamente indagabile tracciati in prima istanza dalla nostra Carta fondamentale, ma soprattutto perche hanno capito che proprio il rispetto di tali limiti garantisce 1’efficacia della risposta, repressiva e preventiva.
L’azione delle forze di polizia italiane antiterrorismo s’inserisce perfettamente nella cornice costituzionale, contenente un esemplare bilanciamento tra due opposti obiettivi: da un lato la tutela della sicurezza pubblica; dall’altro il rispetto della dignità umana, articolata nel riconoscimento di tutta una serie di diritti fondamentali.
Ma come hanno fatto le forze di polizia italiane a ottenere un cosi mirabile risultato? A questo punto non posso non richiamare orgogliosamente la più ristretta storia del Raggruppamento Operativo Speciale, assunta oggi in questa sede come paradigmatica dell’approccio tecnico e valoriale raggiunto complessivamente dai reparti di polizia che in Italia si occupano di contrasto al terrorismo.
Benché la sua età anagrafica, risalente al 3 dicembre del 1990, sia certa, il processo che ha portato alla sua nascita è durato circa vent’anni e la sua genesi non è altro che l’evoluzione, mai considerata conclusa, della “visione” rivoluzionaria di un uomo che ha dato tantissimo alla storia nazionale, compreso la sua vita: il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
All’indomani del sequestra e omicidio dell’Onorevole Aldo Moro (19 marzo – 9 maggio 1978) e con l’istituzione del nuovo Ufficio per il coordinamento e la cooperazione nella lotta al terrorismo (DPCM del 30 agosto 1978), affidato sempre al nostro illuminato Generale, alle cui dipendenze furono poste le Sezioni Speciali Anticrimine gia esistenti, che inizio a delinearsi in embrione il modello organizzativo attraverso il quale, tuttora, il Raggruppamento Operativo Speciale coordina le proprie articolazioni, su tutto il territorio nazionale, per contrastare con visione complessiva e strategia unitaria – e con specificita esclusiva – le principali forme di criminalita strutturata, eversivo-terroristica e di tipo mafioso.
Tuttavia, 1’efficienza del nuovo dispositivo antiterrorismo era garantita prevalentemente dalle competenze professionali e dalla dedizione del personale impiegato con continuita nelle complesse attivita, in parte composto anche da militari che avevano fatto parte dell’ originario Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria, ai quali va tutta la nostra riconoscenza e a quelli oggi qui presenti il nostro ringraziamento.
Nello specifico, di quelle modalita operative mi preme segnalare un aspetto, che letteralmente riprendo dalla Relazione che l’Ufficiale Generale deposito al Ministro dell’Intemo il 13 marzo del 1979 sui risultati del primo semestre (settembre ’78 – marzo ’79).
Lascio a Lui la parola: “Si evoluta disancorare l’attenzione da singoli episodi, per inquadrare questi ultimi in un tutto organico ed in una visione globale, onde, resi piu ginnasticati dalla lettura e dalla comprensione di una abbondante documentazione gia esistente (proveniente dalle carceri) o via via acquisita in sede operativa, fosse piu agevole la diagnosi sul divenire, sulla efficienza, sulle crisi ideologiche dei singoli raggruppamenti, nonche l’intelligenza dei foro rapporti reciproci sui vari teatri di intervento criminoso. Tale studio, oltre a rivelarsi di notevole ausilio ne! corso di importanti investigazioni, in uno con il riesame di molti precedenti, ha condotto gran parte del personate a divenire depositario di una cultura specifica, destinata ad essere meglio articolata e sfruttata ne! tempo“.
Fine della citazione.
Con la sua visione prospettica, aveva visto in anticipo come 1’Istituzione e lo Stato si sarebbero potuti avvalere – anche nel tempo – della “sapienza investigativa” dei suoi uomini.
In controluce, nella citazione si leggono le due attivita fondamentali su cui si struttura il “metodo anticrimine”: una prettamente di studio, denominata nel suo complesso “analisi”; l’altra decisamente operativa.
Il tutto, però è sscandito da un tempo “diverso” da imprimere all’investigazione.
Non si faccia l’errore di confondere la “diversa” cadenza impressa all’attivita con l’attendismo: saper aspettare, prendersi il tempo necessaria per studiare con attenzione l’indagato e i fenomeni connessi alla sua esistenza, ma senza perdere un minuto del tempo che ci econcesso.
Nel Raggruppamento diamo il termine onnicomprensivo di “analisi” all’attività che precede e taglia quella investigativa: fase nella quale l’investigatore deve dimostrare distacco emotivo, freddezza intellettuale, assenza di pregiudizi, apertura mentale, impegno nello studio.
Tale sforzo ci consente di iscrivere l’antagonista, ovvero il target come diciamo in gergo, nella sua dimensione umana e quindi di separare la persona dalla sua azione.
Le ricadute “filo-costituzionali” conseguenti all’adozione nella fase operativa del “metodo” sono ancora piu significative: un elemento centrale e costituito dall’osservazione paziente, discreta, silenziosa, in funzione dell’ inquadramento dell’intera organizzazione criminale, nella segretezza e nei tempi del procedimento penale govemato dalla Autorita Giudiziaria.
Chi, come noi, pratica da tempo il “metodo anticrimine” perde completamente la possibilità di cadere nella tentazione di avviarsi su pericolose scorciatoie, generalmente prodotta dallo shock emotivo causato dall’ atto terroristico, dall’attentato mafioso o da un delitto efferato.
Per un investigatore schiacciato tra panico e rabbia, il criminale potrebbe anche essere visto come un soggetto da “aiutare” a confessare, magari senza speculare troppo sul contenuto della confessione.
Per l’operatore “anticrimine”, l’indagato non esoltanto un obiettivo dell’investigazione, ma una persona da osservare estemamente, senza che se ne accorga, per come eimmersa nel suo contesto, in prospettiva da accompagnare alla collaborazione, soprattutto per avere canoni di lettura dell’agire criminale e degli assetti strutturali.
Tra i neologismi maggiormente diffusisi di recente in campo sociologico troviamo il termine “deradicalizzazione”, nato nell’ambito della riflessione contemporanea sul terrorismo d’ispirazione religiosa.
Se il termine enuovo, il concetto è vecchio, ed e perfettamente calzante rispetto all’approccio avuto dai Carabinieri di quelle Sezioni Speciali verso i brigatisti arrestati.
Immunizzati e preparati dalla nuova prassi investigativa – implicante estenuanti approfondimenti analitici su scritti, fenomeni e persone – è stato facile relazionarsi con chi, dotato mediamente di grande intelligenza, aveva solo bisogno di: isolamento dal contesto di provenienza; umanita; un confronto dialettico elevato in chiave di disintossicazione ideologica, quantomeno di disintossicazione dalla parte violenta dell’ideologia condivisa.
All’epoca, con la possibile ammissione alla detenzione extra-muraria in caserma per lunghi periodi di coloro che erano privati della libertà personale, dovendo gli uomini dell’anticrimine provvedere anche alle necessita quotidiane dei terroristi arrestati, durante tale “convivenza” e con il passare del tempo s’instaurava un clima di reciproca fiducia, viatica ideale per l’abbandono della lotta armata e la futura collaborazione.
Per concludere, se il rispetto della Costituzione è giustamente avvertito dagli investigatori italiani come “pre-condizione” dell’efficacia della risposta dello Stato; se i diritti fondamentali sono vissuti come degli argini oltrepassando i quali si entrerebbe nel campo della conoscenza intossicata, ossia nel campo – parafrasando il Professor Franco Cordero, insegnante di intere schiere di ufficiali in questa Scuola – in cui “le ipotesi finiscono per prevalere sui fatti”, saremmo anche nel campo in cui lo Stato, per estirpare o prevenire il terrorismo, negherebbe nella sostanza quello che a parole propugna.
In questa chiave, le Istituzioni che incarnano un ordinamento liberal- democratico hanno sempre il dovere di rispecchiame i valori, cosi finendo anche per disarmare la narrativa terroristica tendente a dipingere questo quadro valoriale come uno schermo dietro il quale brulicano interessi inconfessabili, soprusi, violenza, razzismo, pregiudizio religioso.
La “contro-narrativa” inizia proprio da come si conducono le indagini.
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