CARABINIERI: LE ORIGINI DEI BATTAGLIONI MOBILI, NATI NEGLI ANNI 1919-1920 CON IL REGIO DECRETO N° 451 DEL 20 APRILE 1920 E CON IL DECRETO MINISTERIALE DEL 2 MAGGIO 1920

Di Raffaele Gesmundo*

ROMA (nostro servizio particolare). I Battaglioni Mobili dei Carabinieri vennero istituiti, per la prima volta, negli anni 1919-1920 con Regio Decreto n. 451 del 20 aprile 1920 “Costituzione dei Battaglioni Mobili di Carabinieri Reali” e Decreto Ministeriale del 2 maggio 1920 contenente norme per il loro funzionamento, allorquando, terminato il Primo Conflitto mondiale ed avvenuta la smobilitazione delle grandi masse armate, in varie parti d’Italia si manifestarono gravi perturbamenti dell’ordine pubblico per l’inasprimento della lotta politica tra i partiti e per il diffondersi di ‘inasprimento della lotta politica tra i partiti.

Copia del Decreto istitutivodei Battaglioni Mobili dei Carabinieri

Lo scopo per cui tali reparti vennero istituiti fu quello di assicurare all’Arma territoriale un valido concorso per l’assolvimento dei compiti d’istituto e di quelli connessi con la tutela dell’ordine pubblico, in un delicato periodo della vita politica italiana, qual era quello del Primo dopoguerra.

La ragione della loro istituzione, esplicitata dall’art. 1 del Decreto istitutivo, consisteva, proprio, nel “concorrere con le legioni territoriali della stessa Arma nei servizi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza“.

Se, nei primi anni del ‘900, i Carabinieri comparivano accanto alle truppe regolari in occasione di manifestazioni popolari e di sommosse, conclusasi la Prima Guerra mondiale essi diventarono invece i protagonisti del mantenimento dell’ordine in piazza, soprattutto attraverso i Battaglioni mobili, creati apposta per interventi rapidi in situazione d’emergenza.

I reparti dell’Esercito erano ancora presenti (solo a partire dal 1925, dopo il consolidamento della dittatura, essi vennero esautorati da questi compiti e sostituiti dalla milizia fascista), ma in funzione subalterna ed impiegati solo in casi di estrema necessità.

Infatti, se nell’età liberale l’impiego dell’Esercito per contenere e reprimere le manifestazioni e i tumulti era la soluzione principale, tale procedura fu limitata già durante l’età giolittiana, per poi regredire principalmente dopo l’avvento del Fascismo e la politicizzazione del controllo dell’ordine pubblico attraverso l’irreggimentazione delle squadre fasciste con la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

La presenza dell’Esercito nello svolgimento dei servizi di ordine pubblico riprese solamente con gli scioperi del 1943.

L’indispensabile contrazione delle Forze Armate al termine del Primo Conflitto mondiale favorì consequenzialmente l’incremento degli organici della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e dei Carabinieri Reali che, proprio con la costituzione dei Battaglioni mobili, condussero maggiormente attività di ordine pubblico.

Da ciò, ne discese come conseguenza, la necessità di rivedere le formule impiegate sino a quel momento per la gestione dell’ordine pubblico: al fine di garantire compattezza all’operato dei propri militari, l’Istituzione decise di impiegare un modello organizzativo piuttosto strutturato militarmente e utilizzato quasi esclusivamente dall’Esercito per le operazioni militari, cioè costituire dei Battaglioni mobili di Carabinieri in modo tale da avere una catena di comando e di controllo chiara allo scopo di adempiere al meglio le funzioni nel corso dei servizi di ordine pubblico.

Fino ad allora l’impiego dei Battaglioni all’interno dell’organizzazione dell’Arma non aveva trovato particolare applicazione, ad eccezione del Battaglione Allievi Carabinieri Reali, inserito nella Legione Allievi, e di quelli mobilitati nel corso del Primo Conflitto mondiale, il cui impiego fu ristretto a operazioni belliche vere e proprie e, successivamente, di polizia militare.

Al contrario, sin dal 1861 la struttura tipica dell’Arma prevedeva un’organizzazione che aveva un organismo di vertice alle cui dipendenze vi erano le Legioni con i seguenti organi di demoltiplica (ad eccezione della Legione Allievi che era strutturata secondo il modello reggimentale): Divisioni Carabinieri (competenti generalmente per la provincia amministrativa), Compagnie, Tenenze, Sezioni e Stazioni.

Queste ultime erano rette da sottufficiali dell’Arma e costituivano l’ultimo anello della catena, il più piccolo e quello a più diretto contatto della popolazione.

Si trattava di una organizzazione piuttosto diffusa sul territorio, capillare, presente anche in località remote che, salvo pochissime eccezioni, non era mai stata impiegata in unità organiche con funzioni di ordine pubblico o combattenti, ma disimpegnava il servizio di ordine e di sicurezza pubblica nell’ambito del territorio di competenza.

Furono i diffusi disordini del 1919 a confermare le difficoltà dell’organizzazione territoriale dell’Arma a far fronte ai gravi perturbamenti dell’ordine pubblico e agli scontri di piazza, accelerando il processo di formazione dei Battaglioni mobili.

I DISORDINI DI LUGLIO

I “moti contro il caroviveri”, che interessarono l’intera Penisola nella primavera – estate del 1919, rappresentano l’inizio di uno dei periodi tra i più turbolenti della storia della società italiana, ricordato come il così detto “biennio rosso”, che contribuì a determinare di lì a poco la crisi dello Stato liberale.

Il lungo conflitto mondiale e, paradossalmente, lo “scoppio” della pace avevano prodotto e stavano producendo ripercussioni profonde e complesse sugli equilibri economici e produttivi, politici e sociali del Paese, dalle aree industriali, impegnate nella difficile riconversione post-bellica e che conoscevano per la prima volta una crescente disoccupazione, a quelle agricole, dove erano andate più volte deluse le aspettative di una più equa ridistribuzione della proprietà fondiaria, il tutto aggravato dall’aumento vertiginoso dell’inflazione che comprometteva il già minimo potere d’acquisto delle classi più disagiate.

L’8 giugno a La Spezia, col pretesto del caro viveri, ebbe luogo un “pubblico comizio in cui parlarono violentemente anche esponenti del movimento anarchico”.

Le autorità locali, preoccupate del crescente fermento, cercarono di porvi rimedio e, il giorno successivo, il Commissario Prefettizio emise un’ordinanza in cui stabilì la diminuzione dei prezzi dei generi di prima necessità.

In modo particolare fu abbattuto il costo di frutta e verdura.

La reazione dei produttori non si fece attendere.

L’11 giugno i banchi ortofrutticoli del “Mercato Centrale” della città non ricevettero alcun rifornimento.

Alla diffusione della notizia gli operai degli stabilimenti industriali e quelli dell’Arsenale, circa 10 mila persone, si riversarono per le strade della città per protestare per la mancanza di frutta e verdura.

Il Comandante della Compagnia Carabinieri di La Spezia, in seguito alle indicazioni del Commissario Prefettizio, aveva disposto una serie di servizi di vigilanza e di controllo sia lungo le arterie principali della città sia presso l’adiacente Mercato.

Al diffondersi della notizia che migliaia di persone si stavano riversando per le strade di La Spezia, si portò d’urgenza con tutti i Carabinieri disponibili (una trentina circa) in Piazza del Municipio per tutelare l’edificio da eventuali assalti.

La folla vi giunse di lì a poco. I capi improvvisarono un comizio.

Tutto, comunque, sembrava procedere senza incidenti.

A un tratto, un cospicuo gruppo di manifestanti non interessati alle rivendicazioni operaie, si diede al saccheggio dei negozi ubicati nella vicina Via Cavour di proprietà di persone che, a loro dire, si erano arricchite con le commesse della guerra.

Il Comandante della Compagnia, nel tentativo di stroncare ogni atto vandalico e disordine, ordinò ai suoi uomini di disperdere i saccheggiatori.

Frattanto davanti al Municipio alcuni facinorosi approfittando della calca esplosero alcuni colpi di arma da fuoco che colpirono il Maresciallo d’alloggio Giuseppe Badino al petto e alla coscia.

La reazione dei Carabinieri fu ferma e decisa. Uno degli aggressori fu bloccato e arrestato.

Contemporaneamente un nucleo di Carabinieri esplose alcuni colpi di pistola in aria per dissuadere la folla dal compiere ulteriori aggressioni.

Frattanto sopraggiunse il Nucleo del Comandante della Compagnia che aveva sfollato via Cavour e, con una manovra avvolgente, si poté procedere a normalizzare la situazione.

Nei giorni successivi e con il sopraggiungere di rinforzi dalle Stazioni limitrofe fu possibile organizzare un efficiente servizio di prevenzione.

La città venne divisa in quattro zone. Furono predisposti dei “pattuglioni fissi” presso i crocevia più strategici e a guardia degli edifici pubblici.

Alle operazioni concorse anche uno Squadrone di Cavalleria.

La protesta si estese il 13 giugno a Genova, con decine di migliaia di lavoratori in piazza, scontri con le forze dell’ordine e assalti ai negozi, disordini che si riaccesero a più riprese fino all’8 luglio.

Il 16 giugno fu la volta di Pisa e di Bologna e il 30 di Forlì, paralizzata nei giorni successivi da uno sciopero generale.

E mentre gli scioperi si estendevano alle vicine città di Imola e Faenza ed anche di Ancona, il 2 luglio si registrarono i primi scontri importanti anche al Sud, a Torre Annunziata.

Fu quindi Firenze il teatro di gravi disordini protrattisi per più giorni, e sedati alla fine al prezzo di alcuni morti e centinaia di arresti.

Scioperi spontanei furono proclamati dai lavoratori a Brescia, Milano, Torino, Alessandria, Livorno, Pistoia, Prato, Spoleto, Civitavecchia, e anche a Napoli, Barletta, Taranto, Messina, Palermo e in numerosi altri centri grandi e piccoli in tutta Italia, immancabilmente accompagnati da saccheggi e da scontri con la forza pubblica che provocarono diversi morti, feriti e alcune centinaia di arresti.

Un episodio dei disordini scoppiati a Brescia si ritrova sommariamente descritto nella motivazione di una medaglia di bronzo al valor militare concessa al Capitano Vittorio Emanuele Calcaterra: “In occasione di grave sommossa popolare, avendo alcuni facinorosi messo a sacco e fuoco un palazzo dalle cui finestre aprirono il fuoco di fucileria contro la forza pubblica accorsa, con sprezzo del pericolo diede bell’esempio di coraggio penetrando pel primo in quel palazzo, e seguito da alcuni dipendenti riusciva ad arrestare tre dei saccheggiatori, mentre gli altri si davano alla fuga per le vie dei tetti. Brescia, 6 luglio 1919”.

Ove non si giunse ai saccheggi, o accanto ad essi, Camere del lavoro, Leghe operaie e altre formazioni o comitati improvvisati organizzarono formali requisizioni ai danni di magazzini pubblici e commercianti o imposero a questi ultimi di dimezzare i prezzi, in particolare ma non solo dei generi alimentari. In molte città venne appositamente organizzata una “Guardia rossa” di volontari per disciplinare, o imporre, le operazioni.

L’esiguità di Guardie di Città (gli agenti di Pubblica Sicurezza dell’epoca) e di Carabinieri spingevano i Prefetti e i Questori a richiedere, nei casi più gravi, l’intervento dei reparti dell’Esercito, con lo schieramento anche di interi Battaglioni, con il duplice pericolo, da un lato, di un uso eccessivo della forza, dall’altro, di veder sodalizzare la truppa con i dimostranti, assistere ad ammutinamenti e diserzioni, che effettivamente si verificarono.

Intanto, pur non realizzandosi una saldatura con le rivendicazioni operaie, esplodevano le lotte contadine, con scioperi dei braccianti e manifestazioni di protesta, anche violente, di mezzadri e affittuari, soprattutto nelle regioni del Nord, e una vasta ondata di occupazioni di terreni nel Lazio, in Puglia, in Sicilia.

Il momento culminante da molti prefigurato come quello che avrebbe potuto accendere definitivamente la miccia della rivoluzione bolscevica anche in Italia, che ciò fosse evento atteso o massimamente temuto, fu lo sciopero generale internazionale proclamato per i giorni del 20 e 21 luglio, contro la politica ostile delle potenze occidentali verso le Repubbliche sovietiche di Russia e Ungheria.

Lo sciopero, che raccolse una notevole adesione, si svolse invece senza incidenti di rilievo, anche grazie ad un atteggiamento di cautela che prevalse in seno al gruppo dirigente socialista, segnando anzi, alla sua conclusione, un momentaneo ritorno ad una relativa calma.

 I PRIMI STUDI PER I BATTAGLIONI MOBILI

Anche se l’istituzione dei Battaglioni mobili dei Carabinieri Reali. avverrà nel 1920, allorché le autorità governative decisero ufficialmente di creare reparti di Carabinieri con le caratteristiche di elevata mobilità e di potenza d’intervento per le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e di pubblica sicurezza prodotte dai conflitti sociali emersi dopo la Prima Guerra mondiale e con l’avvento del fascismo.

Nel frattempo l’Arma tentava di riorganizzarsi velocemente secondo le mutate esigenze e per risolvere la problematica relativa alla continua concentrazione di Carabinieri delle stazioni presso i capoluoghi per impieghi legati alle turbative dell’ordine pubblico, avviando così, nel marzo 1919, la costituzione provvisoria dei primi 13 Battaglioni mobili dei 16 autorizzati dal Ministero della Guerra attingendo ai Carabinieri, effettivi e anche richiamati, progressivamente smobilitati dalle zone di guerra e ai Carabinieri ausiliari, che erano stati istituiti nel gennaio 1917 con militari tratti dalle altre Armi dell’Esercito per sopperire alle carenze di organico determinate dall’enorme numero di Carabinieri mobilitati sul fronte, ma che erano stati soprattutto concessi dal Governo proprio in relazione alle crescenti esigenze di ordine pubblico che già si manifestavano in quell’inizio del terzo anno di guerra.

Già nei primi anni del ‘900 l’Arma aveva posto allo studio e proposta la creazione di reparti consistenti da impiegare in occasione di minacce alla sicurezza pubblica con la lettera del 21 maggio 1908 con la quale furono illustrate ai Ministeri dell’Interno e della Guerra le complesse problematiche derivanti dai lunghi e frequenti servizi di rinforzo per l’ordine pubblico con seri inconvenienti al servizio territoriale, con malcontento e numerose richieste di prematuri congedamenti.

Infatti, i militari vivevano ed operavano in stato di disagio anche perché la richiesta di rinforzo giungeva quasi sempre, per necessità di cose, con carattere di urgenza e così il personale si doveva togliere dai reparti lungo le linee ferroviarie o prossimi a queste, salvo poi ad equilibrarne la forza con successivi spostamenti provvisori.

Così i movimenti si moltiplicavano e bastava talvolta un rinforzo di solo cento militari per turbare il meccanismo di un’intera legione.

La gravità di tali inconvenienti aveva indotto il Comando Generale dell’Arma ad operare una scelta innovativa, proponendo la costituzione di Battaglioni mobili idonei, per la loro consistenza numerica e per specifici criteri di impiego, a decisivi interventi in ordine pubblico.

La proposta però venne archiviata per la fine della legislatura.

Alla fine del 1918 il Comando Generale dei Carabinieri Reali propose al Ministero della Guerra, per sopperire alla progressiva riduzione dei reparti dell’Esercito nei servizi di ordine pubblico, l’istituzione di speciali reparti addestrati, appunto i Battaglioni mobili, con “la forza di circa 800 uomini ripartiti su quattro compagnie, delle quali una ciclisti. Il loro funzionamento ed impiego sarà regolato a suo tempo con apposite norme provvisorie rispondenti in linea di massima ai criteri già approvati da codesto Ministero”.

I 16 Battaglioni previsti sarebbero dipesi, per l’amministrazione e per la disciplina, dalle legioni territoriali di assegnazione.

La proposta inoltre precisò che “l’inizio del funzionamento dei battaglioni potrà avvenire di mano in mano che il personale dell’Arma mobilitato sarà messo in libertà dalla zona di guerra, dove, a pace conclusa, dovrebbe potersi lasciare, temporaneamente, per la vigilanza del materiale e dei depositi di munizioni e di esplosivi, un contingente complessivo non superiore a 4 o 5.000 militari dell’Arma”.

Infine, proseguiva la proposta, “pei nuovi battaglioni, tutti stanziati in località dove è possibile e conveniente per eventuali rapidi spostamenti l’uso della bicicletta, si presenta la necessità di dotare di tali macchine le 13 nuove compagnie ciclisti, esistendone già 3 presso la legione allievi che ne sono provviste”.

Per rendere ancora più sollecito l’intervento di tali unità “sarebbe assai opportuno che in ogni sede di battaglione vi fossero disponibili 5 camion per trasporto di truppe, con relativo personale di chauffeur e meccanici, ottenuti dal Comando Supremo o dall’Intendenza Generale (…)”.

Il 13 marzo 1919, il Ministero della Guerra dispose la costituzione provvisoria di 16 Battaglioni autonomi, composti da Carabinieri effettivi e ausiliari, demandando al Comando Generale la formulazione delle relative norme.

Furono infatti emanate la circolare e le “Disposizioni esecutive per la costituzione, ordinamento, dipendenza ed impiego dei Battaglioni mobili dei Carabinieri Reali” da valere come norme provvisorie rispondenti in linea di massima a criteri già concordati.

La circolare precisò la dislocazione dei 16 battaglioni, con inizio operativo al completarsi dell’organico e dell’assegnazione dei mezzi.

Allievi Carabinieri in addestramento con una mitragliatrice Fiat 1914 calibro 6,5 (Roma 1920 )

Anche il Ministero dell’Interno, già nel mese di aprile 1919 comunicò ai Prefetti del Regno la costituzione provvisoria dei 16 Battaglioni.

In concreto, le direttive prevedevano la costituzione (Art.1) dei Battaglioni presso le sedi delle Legioni territoriali con Carabinieri effettivi o con ausiliari, con il compito del concorso nei servizi di ordine e di sicurezza pubblica (Art. 2) con le stesse prerogative stabilite per l’Arma dal Regolamento Organico approvato con Regio Decreto 24 dicembre 1911.

Ciascun battaglione (Art. 3) sarebbe stato ripartito in quattro Compagnie delle quali tre a piedi e una ciclisti.

Fu previsto (Art. 4) che ciascun battaglione prendesse il nome della città sede del Comando di Legione territoriale in cui era costituito.

L’articolo 6 stabilì che i Carabinieri ausiliari dei battaglioni fossero tratti da quelli delle classi più giovani di fisico robusto e pienamente idonei a sopportare le fatiche dello speciale loro impiego.

Per quanto riguardava l’uniforme e l’equipaggiamento (Art. 27) dei Sottufficiali e Carabinieri dei Battaglioni sarebbero valse le medesime norme in vigore per l’Arma: stesso armamento, le stesse buffetterie e lo stesso equipaggiamento della Legione Allievi, con la sola differenza del moschetto 91 al posto del fucile.

Ciascun Battaglione (Art. 35) avrebbe avuto in dotazione due carrette da Battaglione e due muli o cavalli, ma per urgenti spostamenti collettivi per motivi di pubblica sicurezza o d’ordine pubblico, avrebbe potuto ottenere dal centro automobilistico della relativa sede dieci autocarri per trasporto di truppa.

L’istituzione dei battaglioni venne proposta, come già precisato, tra i provvedimenti transitori atti a risolvere i problemi dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Ma fu intravista la possibilità di rendere in un secondo tempo definitivi i Battaglioni “per evitare il continuo prelevamento di rinforzi dalle stazioni, che gravemente ne paralizzano il funzionamento”.

Nel frattempo il Comando Generale comunicò che con un successivo decreto ministeriale, i Battaglioni mobili sarebbero stati portati a 25, definendone la denominazione e la dislocazione.

Inoltre, per assicurarne l’unità di indirizzo nella organizzazione, l’istruzione tecnica professionale e per coordinare le relazioni fra loro e con i Comandi superiori, venne istituita, presso ciascun Comando di Gruppo di Legioni (che in seguito sarà denominato Comando di Brigata), la carica di Colonnello Ispettore dei Battaglioni mobili, ciascuno con alle dipendenze 3 o 4 Battaglioni, pur dipendendo amministrativamente dalle Legioni territoriali.

Di particolare rilievo infine con la stessa circolare si riaffermò la necessità di ottenere nei battaglioni una disciplina basata non “su viete forme di eccessivo rigore, ma deve essere fatta di persuasione e di esempio (…) una disciplina che abbia le sue basi sulla persuasione dei singoli elementi (…) e si fondi sulla mutua spontanea cooperazione di ogni sottoposto all’opera del suo comandante”.

Carabinieri dei Battaglioni mobili

ISTITUZIONE DEI BATTAGLIONI MOBILI

Poco meno di un anno dopo le varie proposte e decisioni appena enunciate, il Regio Decreto n°1802 del 2 ottobre 1919 sanzionò una situazione di fatto, nel quadro di un ampio riordinamento di tutta l’Arma, stabilendone prerogative e dipendenze dei Battaglioni mobili.

L’articolo 7 del citato Regio Decreto prevedeva che sarebbero stati “costituiti Battaglioni Mobili Carabinieri (senza indicarne il numero né la dislocazione), per concorrere alla tutela dell’ordine pubblico rinviando, per la loro formazione e per la loro dislocazione, ad un successivo Decreto del Ministro della Guerra, di concerto col Ministero dell’Interno”.

Il 2 maggio 1920 poi, in attuazione delle norme contenute nell’articolo 7 appena citato, il Ministro della Guerra decretò la costituzione di 18 Battaglioni mobili autonomi di Carabinieri Reali per concorrere con le Legioni territoriali nei servizi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.

Nello stesso opuscolo relativo al decreto, furono inserite le norme per l’impiego dei Battaglioni, che ribadivano in sostanza quelle contenute nella proposta: questi Reparti “sono costituiti essenzialmente allo scopo di dare all’Autorità Politica Centrale una forza considerevole per fronteggiare gravi ed improvvise situazioni dell’ordine pubblico. Essi pertanto sono indipendenti da qualsiasi ingerenza delle Autorità Pubbliche aventi giurisdizione nelle città sedi dei battaglioni stessi.

Nella giurisdizione di ciascun Gruppo di legioni però – quando non siano impiegati dall’Autorità politica centrale – possono essere utilizzati dai Comandi stessi di Gruppo per rinforzi richiesti dalle Autorità politiche delle provincie comprese in quel territorio.

Le Autorità politiche che ricevono in rinforzo nella loro Provincia militari dei detti reparti devono curare che siano trattenuti il tempo strettamente necessario per far fronte alle eccezionali ragioni di ordine pubblico che hanno provocato l’invio di detti rinforzi, provvedendo senz’altro per il rientro non appena cessate dette ragioni eccezionali.

Per nessun motivo i militari dei battaglioni mobili potranno essere comandati isolatamente od in pochi presso le stazioni, tenendo ben presente che i distaccamenti di tali militari dovranno sempre essere costituiti da reparti organici di forza non mai inferiore ad una squadra (12 uomini) al comando dei rispettivi ufficiali e graduati”.

A fronte di una diversità del numero dei Battaglioni esposto in successione (16 Battaglioni, poi 18 con programma di 25 Battaglioni), gli atti sembrano avere carattere dispositivo.

Si tratta evidentemente di una serie di studi, proposte e soluzioni provvisorie variamente espresse nella dialettica tra Ministero della Guerra, Ministero dell’Interno e Comando Generale dell’Arma, in funzione della precarietà e variabilità della situazione politico-sociale del momento e in relazione ai tempi delle operazioni di smobilitazione e di recupero di personale dopo le vicende belliche: soluzioni provvisorie, quindi.

Nella realtà l’atto veramente cogente è il Decreto ministeriale del maggio 1920 che sanzionò una situazione già avviata in progetto e di fatto.

In sintesi, fin dal marzo 1919 si parlò di 16 Battaglioni da costituire mano a mano che la situazione della forza e dei bilanci lo consentivano; a dicembre dello stesso anno il Comando Generale dell’Arma ipotizzò l’espansione a 25 dei costituendi Battaglioni, mentre il Decreto ministeriale del maggio 1920 determinò definitivamente in 18 il numero di queste unità.

Nei fatti però, anche l’organico stabilito avrà nei successivi anni aggiunte e varianti secondo le esigenze operative del momento.

La squadra ciclsti dei Battaglioni mobili dei Carabinieri

LA SOPPRESSIONE DEI BATTAGLIONI MOBILI DEL 1923

Nell’immediato Primo dopoguerra, in un contesto di particolare effervescenza organizzativa delle Forze Armate, di fronte ad un Esercito che doveva subire un evidente ridimensionamento per il transito dalla forza e dall’organizzazione in tempo di pace da quelle in tempo di guerra, le Forze dell’Ordine ebbero l’opportunità di crescere numericamente.

Successivamente, con l’avvento del Fascismo e l’irreggimentazione delle squadre fasciste, una parte significativa di quelle Forze dell’Ordine che avevano vissuto il difficile momento politico non aveva più ragione di esistere.

Così, accanto alla soppressione della Regia Guardia, si assistette alla riduzione prima e allo scioglimento poi di quasi tutti i Battaglioni mobili Carabinieri reali anche in considerazione del fatto che la gestione dell’ordine pubblico passava proprio attraverso la costituzione della Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale.

I Battaglioni mobili furono dapprima ridotti a 12 (Regio Decreto n. 1860 del 31 dicembre 1922, Ordinamento Diaz) e successivamente soppressi (Regio Decreto n. 2980 del 30 dicembre 1923).

Il bagaglio di professionalità e di esperienza acquisito nel corso di circa tre anni di confronti con le manifestazioni di piazza fu così messo da parte e, con l’eccezione di tre Battaglioni che furono mantenuti operativi (due a Roma ed uno a Palermo), il restante personale composto principalmente da carabinieri ausiliari fu progressivamente destinato ad altri incarichi sino al termine della ferma.

Bisognerà attendere la conclusione del Secondo Conflitto mondiale per assistere alla ricostituzione dei Battaglioni mobili dell’Arma dei Carabinieri.

*Tenente Colonnello Carabinieri. Capo 1^ Sezione della Direzione dei Beni Storici e Documentali dell’Arma dei Carabinieri. Redattore Capo del Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri.

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