Carta delle Nazioni Unite: il mondo firma ma non legge più. Le grandi potenze tagliano i finanziamenti, svuotano i consessi. E le guerre nel mondo proliferano

Di Cristina Di Silvio* 

WASHINGTON D.C. Nel 1945, l’umanità scrisse una promessa.

 

Il palazzo dove si svolse la Conferenza di San Francisco (1945)

 

Dopo Hiroshima e Nagasaki, dopo Auschwitz, dopo la resa di Berlino e la scoperta dei campi, le Nazioni si sedettero a San Francisco per dire: “Mai più”.

Immagini raffiguranti i funghi atomici di Hiroshima (a sinistra) e Nagasaki (a destra)

 

Nacque così la Carta delle Nazioni Unite, un testo che Jorge Luis Borges avrebbe potuto definire “una mappa delle intenzioni”, ma che oggi, ottant’anni dopo, rischia di sembrare una finzione morale letta solo nei discorsi commemorativi.

C’è qualcosa di quasi tragico nel contrasto tra la solennità del suo preambolo – “salvare le future generazioni dal flagello della guerra…”  – e la realtà del presente: Gaza, Ucraina, Sudan, Yemen, Congo.

Truppe congolesi

I conflitti si moltiplicano, le crisi umanitarie vengono aggiornate con frequenza quasi algoritmica, e il Consiglio di Sicurezza si blocca, puntualmente, al primo veto.

La diplomazia multilaterale appare stanca, piegata da un’asimmetria cronica tra potere di parola e potere d’azione.

Nel 2024, secondo le Nazioni Unite stesse, oltre 360 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti.

Un numero mai raggiunto.

Eppure, le grandi potenze – gli stessi firmatari del 1945 – tagliano i finanziamenti, svuotano i consessi, e in molti casi ignorano del tutto il sistema ONU.

È lecito chiedersi: ci credono ancora? O è solo una buona copertura diplomatica mentre si giocano partite parallele?

Nel suo 1984, Orwell scriveva che “chi controlla il passato controlla il futuro”.

Ma chi oggi difende le memorie istituzionali che fondano la convivenza globale?

La Carta dell’ONU è stata pensata per un mondo bipolare, si è adattata con fatica a quello unipolare, e ora arranca davanti a una nuova realtà multipolare, segnata da attori statali e non statali, giganti tecnologici e potenze regionali emergenti. In questo nuovo scacchiere, i princìpi sembrano perdere pezzi, più della scacchiera stessa.

Eppure, il tecnico attento e l’osservatore empatico sanno che la macchina ONU, al netto dell’inerzia politica, è ancora una delle poche infrastrutture planetarie di cooperazione reale. OMS, FAO, UNHCR, UNESCO.

Una famiglia aiutata da Unhcr

Sono Agenzie che, lontane dai riflettori, continuano a vaccinare, nutrire, istruire, rifugiare.

Ma quante volte un successo dell’ONU diventa notizia? La pace non fa breaking news.

Tuttavia, sarebbe ingenuo restare nella nostalgia.

La Carta ha 80 anni e, come un anziano capofamiglia, ha bisogno di essere circondata da nuove energie, non solo celebrata. Chi oggi forma i decisori di domani?

Chi insegna il multilateralismo a chi cresce in un mondo dominato da logiche binarie e algoritmi polarizzanti?

Chi legge la Carta nei corsi universitari, tra un esame di geopolitica e uno di diritto internazionale?

In un’epoca in cui l’Intelligenza Artificiale, le criptovalute, le big tech e il climate collapse riscrivono i confini materiali e simbolici del potere, la Carta sembra parlare un’altra lingua.

Eppure, è forse proprio in questa distanza che sta la sua forza: un documento che ricorda cosa potrebbe essere il mondo se solo volessimo davvero condividerlo.

Nessuna organizzazione è eterna.

Ma rinunciare alla Carta dell’ONU senza una visione alternativa non è riformismo: è disarmo morale.

Per dirla con Albert Camus, “ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa invece che dovrà impedire che crolli”.

Il vero anniversario non si celebra: si rinnova. Ma siamo ancora in tempo per riscrivere — non per riscrivere da zero, ma per riscrivere insieme — la nostra adesione a quei princìpi?

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

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