Cina: la campagna anti-corruzione colpisce il Fronte Unito e la diaspora cinese

Di Giuseppe Gagliano*

PECHINO. Nel labirinto del potere cinese, dove ogni mossa è calcolata e ogni decisione nasconde un disegno più ampio, Xi Jinping ha aperto un nuovo capitolo della sua incessante campagna anti-corruzione.

Questa volta, il bersaglio non è solo l’élite interna del Partito Comunista Cinese (PCC), già piegata da anni di purghe mascherate da lotta alla corruzione, ma un’entità più sfuggente e globale: il Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito e le vaste reti della diaspora cinese.

Una riunione del Partito Comunista Cinese

Questi pilastri, spesso nascosti agli occhi del mondo, sono stati per decenni il braccio operativo della diplomazia parallela di Pechino, un sistema di influenza che si estende dai circoli accademici occidentali alle comunità cinesi sparse in ogni angolo del pianeta.

Ma ora, anche loro sono sotto il fuoco del leader che non tollera ombre nella sua visione di controllo assoluto.

La campagna anti-corruzione di Xi, lanciata nel 2012 con il pretesto di moralizzare il PCC, si è rivelata uno strumento di consolidamento del potere senza precedenti.

Il Presidente cinese, Xi Jinping

 

Con oltre 1,5 milioni di funzionari indagati in un decennio, secondo i dati della Commissione Centrale per l’Ispezione della Disciplina, Xi ha smantellato fazioni rivali, eliminato potenziali sfidanti e centralizzato il controllo su ogni aspetto della vita politica cinese.

Ma il Fronte Unito, un organismo che opera nell’ombra per promuovere gli interessi di Pechino all’estero, rappresenta una sfida diversa. La sua natura opaca, la sua capacità di tessere relazioni attraverso confini e culture, lo rendono un terreno fertile per corruzione, ma anche per dissenso. E Xi, che ha fatto della lealtà assoluta la sua stella polare, non può permettersi né l’una né l’altro.

Il Fronte Unito: il volto nascosto della potenza cinese

Il Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito, fondato negli anni ’40 per mobilitare alleati non comunisti durante la guerra civile cinese, è oggi un colosso della diplomazia informale.

Con un budget stimato in miliardi di dollari e una rete che coinvolge associazioni culturali, centri accademici, imprese e persino gruppi studenteschi all’estero, il Fronte Unito è la longa manus di Pechino.

La sua missione? Plasmare l’opinione pubblica globale, neutralizzare le critiche al PCC e, soprattutto, mantenere il controllo sulla diaspora cinese, che conta oltre 60 milioni di persone in più di 180 Paesi.

Dalle confederazioni di commercianti cinesi a Sydney alle associazioni studentesche nelle università americane, il Fronte Unito ha costruito un sistema capillare per promuovere la narrazione di Pechino e monitorare potenziali voci dissidenti.

Ma questa rete, per quanto efficace, è anche vulnerabile.

I funzionari del Fronte Unito, spesso operanti in Paesi stranieri attraverso ambasciate o organizzazioni di facciata, hanno accesso a risorse immense e a una discrezionalità che può facilmente sfociare in corruzione.

Negli ultimi anni, casi di appropriazione indebita, tangenti e abuso di fondi destinati alla propaganda sono emersi con sempre maggiore frequenza.

Nel 2024, ad esempio, un’indagine interna ha rivelato che un funzionario del Fronte Unito a Hong Kong aveva dirottato milioni di dollari verso conti offshore, mentre in Canada un’associazione legata a Pechino è stata accusata di riciclaggio di denaro per finanziare campagne politiche locali. Questi scandali, sebbene taciuti dai media cinesi, hanno spinto Xi a rivolgere il suo sguardo oltre i confini nazionali.

La diaspora sotto pressione

La diaspora cinese, pilastro strategico del Fronte Unito, è ora nel mirino.

Per decenni, le comunità cinesi all’estero hanno svolto un ruolo cruciale nel promuovere gli interessi di Pechino, spesso in cambio di benefici economici o protezione politica.

Ma la lealtà di queste comunità non è mai stata assoluta.

Molti cinesi della diaspora, soprattutto nelle democrazie occidentali, si sono trovati a bilanciare la fedeltà alla madrepatria con l’adozione di valori liberali, creando tensioni che il PCC non può più ignorare.

La campagna anti-corruzione, in questo contesto, non è solo una caccia ai corrotti, ma un tentativo di riaffermare il controllo su una rete che rischia di sfuggire di mano.

Nel 2025, le autorità cinesi hanno intensificato la sorveglianza sulla diaspora, utilizzando strumenti come il sistema di credito sociale per monitorare le attività di cittadini cinesi all’estero.

In Australia, ad esempio, il Governo ha denunciato tentativi di intimidazione contro studenti cinesi critici del PCC, mentre in Europa sono emerse segnalazioni di pressioni su imprenditori cinesi per finanziare attività legate al Fronte Unito.

Parallelamente, Xi ha ordinato una revisione completa delle operazioni del Fronte Unito, con ispezioni che hanno colpito duramente i suoi vertici.

Nel marzo 2025, il capo del Dipartimento, Chen Xu, è stato messo sotto indagine per “gravi violazioni della disciplina”, un eufemismo che spesso prelude a epurazioni politiche.

Una partita globale

L’espansione della campagna anti-corruzione oltre i confini cinesi è un segnale inequivocabile: Xi Jinping non si accontenta di dominare il Paese, vuole controllare anche l’immagine e l’influenza della Cina nel mondo.

Ma questa strategia comporta rischi enormi.

All’estero, le operazioni del Fronte Unito sono già sotto scrutinio.

Gli Stati Uniti, con il Foreign Agents Registration Act, hanno intensificato i controlli sulle organizzazioni legate a Pechino, mentre Canada e Australia hanno introdotto leggi per contrastare l’influenza straniera.

Nel 2024, il Regno Unito ha espulso tre presunti agenti del Fronte Unito accusati di spionaggio, un episodio che ha ulteriormente teso le relazioni con Pechino.

Inoltre, la repressione sulla diaspora rischia di alienare una comunità che, pur legata alla Cina, è spesso riluttante a essere percepita come un’estensione del PCC.

Negli Stati Uniti, dove la diaspora cinese conta oltre 5 milioni di persone, le accuse di “influenza maligna” hanno già alimentato sentimenti anti-cinesi, complicando la vita di cittadini comuni che nulla hanno a che fare con la politica. Xi, con la sua ossessione per il controllo, potrebbe finire per indebolire uno degli strumenti più potenti di Pechino: la capacità di operare nell’ombra, senza attirare troppa attenzione.

Un potere senza confini?

La campagna anti-corruzione di Xi Jinping, ormai un marchio del suo regno, si è trasformata in qualcosa di più grande: un progetto per riaffermare l’egemonia del PCC non solo in Cina, ma ovunque la sua influenza possa arrivare.

Il Fronte Unito e la diaspora, con le loro reti globali, sono strumenti essenziali in questa visione, ma anche potenziali talloni d’Achille. La corruzione, reale o presunta, offre a Xi il pretesto perfetto per stringere il cappio, epurando chi non si allinea e inviando un messaggio chiaro: nessuno, né in Cina né all’estero, è al di sopra del Partito.

Ma il mondo non è la Cina, e le regole del gioco globale sono più complesse.

Ogni mossa di Xi, ogni indagine, ogni espulsione, rischia di innescare reazioni a catena, dalle rappresaglie diplomatiche alla perdita di fiducia nella diaspora.

In questo grande gioco, il leader cinese sta scommettendo sulla sua capacità di controllare un sistema che, per sua natura, prospera nella fluidità e nell’ambiguità.

Riuscirà a piegare anche il Fronte Unito e la diaspora alla sua volontà?

O sarà questa la sfida che rivelerà i limiti del suo potere?

Per ora, il mondo osserva, mentre la lunga mano di Pechino si allunga sempre più lontano.

*Presidente Centro Studi Cestudec

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna in alto