Crisi USA-Turchia, alla fiera del populismo Erdogan deve scegliere

Di Pierpaolo Piras

Ankara. La crisi nei rapporti tra USA e Turchia , iniziata la settimana scorsa, si è riverberata fino ad oggi determinando instabilità economica nell’area occidentale e medio – orientale ed alterando le relazioni con gli alleati della NATO.

Sullo sfondo sta il caso del pastore evangelico, Andrew Brunson, cittadino americano, ritenuto implicato nel fallito colpo di Stato del 2016 e tuttora in stato d’arresto in Turchia.

Andrew Brunson

Recep Tayyip Erdogan , mutuando i metodi della “Guerra fredda” sul ponte di Postdam, sottovalutando fortemente la sensibilità del popolo statunitense per il quale ogni cittadino americano ha un valore sacro ed intangibile, richiede per il suo rilascio la estradizione del dissidente , musulmano radicale, Fethullah Gulen, dalla sua attuale residenza protetta in Pennsylvania. L’amministrazione americana ha sdegnosamente rifiutato tale metodo impositivo.

Il Presidente turco, Erdogan

La risposta del Presidente americano Donald Trump non si è fatta attendere innalzando i dazi dell’alluminio turco al 20% e dell’acciaio al 50%. Di rimbalzo la lira turca crolla del 20%, complessivamente del 30% dall’inizio dell’anno. Ergogan resiste, ma solo a parole, e da buon populista afferma che “coloro che credono di poter inginocchiarci con la manipolazione economica, non hanno mai capito questa nazione” .

Fetullah Gulem, Erdogan lo accusa di avere organizzato il tentato golpe di luglio 2016.

Egli è al potere da circa 15 anni e gode di notevole popolarità, sia per la oratoria capace di stimolare il patriottismo nazionale sia per i marcati successi economici, ottenuti in questi ultimi anni, in tutti i campi produttivi. Non sembra essere scalfito dalla diminuzione dei diritti civili , il licenziamento di migliaia di dirigenti statali e dalla severa censura posta su tutta la stampa libera nazionale.

La crisi economica turca ha esordito solo dopo la sua rielezione del 24 giugno scorso, a seguito della quale Erdogan ha modificato il testo costituzionale, acquisendo poteri da vero “satrapo“ dell’antichità. Fanno anche cattivo testo gli arricchimenti della sua cerchia ristretta di amici e parenti, nell’industria edile, le preoccupazioni derivanti dall’isolamento internazionale secondarie alle improvvide minacce di abbandonare la NATO ed alterare le relazione politico-economiche convenute con l’Unione europea, la nomina del genero, Berat Albayrak, alla carica combinata di ministro delle Finanze e del Tesoro, ponendo così un inutile pregiudizio sulla indipendenza , e quindi affidabilità, della Banca Nazionale centrale.

In breve tempo, l’inflazione ha raggiunto un tasso annuo del 15,9% a luglio – più di cinque volte tasso medio per le nazioni europee – ed il debito pubblico in valuta estera è pericolosamente aumentato.

Erdogan dopo alcuni tentativi (falliti) di calmare i mercati con affermazioni elaborate “ad hoc”, si è rivolto ai suoi cittadini ricorrendo ad argomentazioni religiose, come se queste fossero davvero capaci di ristorare le valute monetarie esauste, dicendo “non dimenticate, se hanno i loro dollari, noi abbiamo il nostro popolo, il nostro Dio”. Citando lo spettro di non precisate “forze oscure”, invita , con la consueta retorica nazionalistica , ogni suo cittadino così “se avete euro, dollari e oro sotto il cuscino, andate in banca e cambiateli in lire turche. Questa è una lotta nazionale”.

In questi ultimi giorni i mercati finanziari ed azionari sono crollati un po’  in tutto il mondo. In Europa hanno perso valore le azioni di alcune banche con importanti investimenti in Turchia come la spagnola BBVA, la francese Paribas e l’italiana Unicredit.

Erdogan accusa Trump di praticare un ostinato ed arrogante unilateralismo avvisando che “si prenderà cura dei propri affari se gli Stati Uniti rifiuteranno di ascoltare” e poi , con frasi molto significative, che “Washington deve rinunciare alla falsa idea che la nostra relazione possa essere asimmetrica” in quanto “il fallimento di invertire questa tendenza all’ unilateralismo e mancanza di riguardo, ci spingerà a cercare nuovi amici e alleati”. Parole trasudanti del ben noto e tradizionale orgoglio nazionale.

Quanto all’uscita dalla NATO, gli risponde Aaron Stein, un esperto in Medio Oriente presso il Consiglio Atlantico, secondo il quale l’accesso degli Stati Uniti alla enorme e strategica base aerea anatolica di Incirlik “è importante, ma non così importante come pensano i turchi” , aggiungendo che se la Turchia dovesse reagire chiudendo questa base militare, altererebbe non poco i rapporti anche gli altri alleati dell’Alleanza atlantica attivi nella regione.

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