Difesa, Guido Crosetto (AIAD): “Non partecipare ad un caccia di sesta generazione, per l’Italia vorrebbe dire uscire fuori dal settore aeronautico”

Parigi (dal nostro inviato). La ricchezza economica di uno Stato si raggiunge anche grazie alle industrie della Difesa e della Sicurezza.

Il nostro Paese ha notevoli eccellenze, capaci di entrare in tantissimi mercati internazionali che però non hanno, purtroppo, sempre un grande sostegno politico. Se non a parole.

Ma le alte capacità degli addetti ed i prodotti superano tutti i confini.

Report Difesa ha intervistato, nei giorni, a Parigi a margine del 53° Air Show, Guido Crosetto, presidente della Federazione delle Aziende italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD).

Guido Crosetto con l’ambasciatrice d’Italia a Parigi Teresa Castaldo al 53° Air Show

Presidente Crosetto, nei giorni scorsi i ministri della Difesa di Francia, Germania e Spagna, alla presenza del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron hanno firmato un accordo per la realizzazione di un futuro caccia. Una scelta che deve far preoccupare il nostro Paese?

E’ un enorme problema per l’Italia. Per la prima volta che la bandiera italiana non compare in un grande programma europeo. E’ stata una conventio ad excludendum franco-tedesca. Fin dall’inizio non ci hanno voluto a bordo.

Il modello dell’aereo franco-tedesco-spagnolo

Basti pensare all’accordo di Aquisgrana (firmato il 22 gennaio scorso delinea una clausola di reciproca difesa militare in caso di aggressione, similmente a quella delinata all’interno della NATO, con l’aggiunta di ulteriori convenzioni sia ancora in ambito militare sia di sicurezza interna con coordinamento degli organi della giustizia e dei servizi di polizia ed intelligence per la lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata Ndr).

Francia e Germania vorrebbero un’industria della difesa franco-tedesca. E per noi, ripeto, questo è un problema.

Il Presidente francese Emmanuel Macron al Salone di Parigi

E gli spagnoli?

Sono in questo progetto per il nuovo caccia in quanto azionisti di Airbus, diciamo di minoranza. L’Italia è stata tenuta fuori, escludendo così la nostra industria del settore dal futuro della difesa europea.

E cosa dovremmo fare ora?

Non partecipare ad un caccia di sesta generazione, per l’Italia vorrebbe dire uscire fuori dal settore aeronautico. Per questo abbiamo solo una risposta che potremmo dare: guardare al Regno Unito nonostante la Brexit. Dobbiamo pensare all’altra grande piattaforma, quella del “Tempest”.

Gli inglesi ci hanno chiesto di partecipare a questo progetto e che vedrà, probabilmente, interessata anche la Svezia.

E il ruolo della politica?

Va sollevato il tema anche a livello politico. Due nazioni si sono messe d’accordo e hanno escluso l’Italia che ha sempre partecipato ai programmi quali, ad esempio quello per gli Eurofighter che il nostro Paese ha realizzato con tedeschi, inglesi e spagnoli. Non è concepibile questa esclusione. Semmai l’aereo di sesta generazione doveva essere l’evoluzione dell’Eurofighter. E non partire da zero per fare entrare i francesi al nostro posto.

Lo stand dell’AIAD al Salone di Parigi

 

Stiamo di fronte ad un duplice problema: uno industriale del settore della difesa ma l’altro è politico che, come ho detto, parte tutto dall’accordo di Aquisgrana.

I tempi per una risposta sono stretti?

Diciamo che abbiamo qualche settimana perchè l’Italia faccia una scelta importante per i prossimi 30 anni dell’Aeronautica.

I sette miliardi di euro promessi dal Governo Conte per la difesa mi sembrano pochini…

Come diceva un vecchio detto, meglio piuttosto che nulla. Questi soldi, rispetto a quello che serve alla settima potenza industriale come l’Italia, di certo sono pochi rispetto a quello che fanno altri Paesi e la stessa Francia.

Un caccia di sesta generazione o l’elicottero del futuro presuppongono miliardi di investimenti diluiti in 10-15 anni. Investimenti che devono essere programmati ora. Si parla però di centinaia di milioni l’anno da subito.

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