Di Valeria Fraquelli
Washington. Con l’elezione di Donald Trump la strategia energetica degli Stati Uniti è cambiata profondamente e riflette direttamente le convinzioni in materia di ambiente e clima del nuovo inquilino della Casa Bianca. Trump, sin dall’inizio della sua campagna elettorale, non ha mai fatto mistero delle sue idee in tema ambientale: secondo lui il cambiamento climatico è solamente una bufala inventata dai cinesi per danneggiare le industrie statunitensi e non è vero che il nostro pianeta sta subendo un processo di surriscaldamento.

Una miniera di carbone negli Stati Uniti.
La simpatia di Trump per l’industria dei combustibili fossili è nota, così come la sua ricerca di un modo per fare diventare gli Stati Uniti autonomi dalle importazioni di petrolio dal Medio Oriente e di gas naturale dalla Russia. Il nuovo piano energetico statunitense, America First Energy Plan (https://www.whitehouse.gov/america-first-energy), mette proprio sfruttamento delle risorse interne ed indipendenza energetica come obiettivi principali: “Divenire e rimanere del tutto indipendenti dall’OPEC e da qualsiasi nazione ostile ai nostri interessi” si legge nelle prime righe del provvedimento.
Proprio pochi giorni fa la nuova legge che cancella molte delle norme adottate dall’amministrazione Obama con il Clean Power Plan (https://www.epa.gov/cleanpowerplan/clean-power-plan-existing-power-plants) che prevedevano aiuti per lo sviluppo delle energie rinnovabili e sanzioni alle industrie che ricorrevano ai combustibili fossili è stata firmata da Trump. Nella vecchia normativa erano previsti anche rigidi limiti alle emissioni di gas serra e gli Stati Uniti erano impegnati ufficialmente nell’implementazione delle norme antinquinamento decise alla Conferenza sul clima tenuta a Parigi nel 2015.
Il documento firmato da Trump prevede al contrario nuove sovvenzioni per le miniere di carbone e per tutta l’industria estrattiva perché negli Stati Uniti ci sono ancora molti territori ricchi di petrolio e gas naturale che non sono ancora stati sfruttati. Un maggiore sfruttamento delle risorse energetiche presenti in territorio statunitense potrà secondo Trump portare alla completa indipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni e anche creare nuovi posti di lavoro.
La strategia energetica del nuovo presidente punta tutto sul carbone come traino per una nuova economia più prospera e più solida che permetterà agli Stati Uniti di consolidare il loro primato sugli altri Paesi e di risparmiare risorse preziose.
I limiti alle emissioni di gas serra decisi da Obama a Parigi insieme alle altre nazioni partecipanti alla Conferenza sul Clima sotto l’egida delle Nazioni Unite sono stati giudicati da Trump irrealistici e dannosi per le industrie e i lavoratori statunitensi. Con la nuova normativa il nuovo presidente ha deciso quindi di cancellare i limiti di emissione e di lasciare libere le aziende di scegliere la politica energetica più consona al loro modello di business.
Quello delle emissioni è da sempre terreno di scontro tra i repubblicani e i democratici, con i repubblicani che sono sempre stati scettici sui reali danni che le emissioni di gas serra possono provocare all’ambiente.
Il nuovo Presidente è stato subito chiaro anche per quanto riguarda la pratica del fracking e l’utilizzo dello shale oil/ gas: tutte le possibilità di reperire idrocarburi devono essere sfruttate al massimo per garantire l’indipendenza energetica degli Stati Uniti.
La pratica del fracking da alcuni studiosi ed ambientalisti è considerata molto dannosa per la natura perché incide in maniera profonda sulla zona interessata e comporta anche elevati rischi per le comunità umane che vivono e lavorano nell’area. Alcuni scienziati stanno studiando la correlazione tra il fracking e i terremoti perché sembra ormai quasi assodato che questa pratica di estrazione di petrolio possa influire talmente in profondità nella crosta terrestre da provocare sismi anche di magnitudo elevata.
Per quanto riguarda l’utilizzo del petrolio e del gas di scisto Trump lascia campo libero anche a questa nuova tecnica di trivellazione. “L’amministrazione Trump abbraccerà la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto per portare posti di lavoro e prosperità a milioni di cittadini americani. Dobbiamo approfittare dei circa 50 miliardi di dollari di scisto non ancora sfruttato, in particolare nelle terre federali che gli americani possiedono”, questo era scritto sul sito ufficiale della Casa Bianca il giorno dopo l’elezione del magnate di New York. Questa promessa è stata pienamente rispettata dal Presidente che intende a questo scopo dare nuovi terreni federali in concessione per la ricerca di petrolio e gas di scisto.
Via libera anche agli oleodotti che dovrebbero passare sulle terre dei nativi americani, in particolare dei Sioux, che avevano ottenuto da Obama un temporaneo stop alla costruzione di queste infrastrutture giudicate inquinanti e perchè passavano su alcuni terreni considerati sacri.
La nomina di Trump a presidente ha ribaltato completamente la situazione: i progetti dei nuovi oleodotti sono stati confermati ed è stato ribadito che all’occorrenza porrebbero essere costruite anche nuove infrastrutture per il trasporto e il pompaggio di petrolio e gas naturale.
Gli oleodotti oggetto del contendere tra Trump e i nativi americani sono il Dakota Access e il Keystone XL che porteranno milioni di barili di petrolio al giorno negli Stati Uniti; in particolare il Keuìystone XL sarà usato per il trasporto del greggio estratto con una particolare tecnica dalle sabbie bituminose della regione canadese di Alberta.
Gli esperti ambientali di Obama avevano accantonato il progetto ritenendolo troppo inquinante e poco redditizio visti i costi elevati dell’estrazione dalle sabbie ma Trump e i suoi uomini hanno riconfermato la costruzione di questo oleodotto assicurando indipendenza energetica, nuovi posti di lavoro e una grossa fetta dei guadagni della società canadese estrattrice.
Tutte le scelte di Trump in materia energetica ricalcano le sue idee protezionistiche dell’economia: la cosa più importante è diminuire il più possibile le importazioni dall’estero e produrre beni e servizi direttamente negli Stati Uniti. Il nuovo presidente vuole essere il più possibile indipendente dai prodotti esteri in un’ottica di sviluppo delle industrie statunitensi e di lotta alla concorrenza sleale delle industrie europee e in particolare cinesi.
Per quanto riguarda il petrolio Trump non vuole che le riserve statunitensi dipendano dalle azioni dei Paesi dell’OPEC tra i quali ce ne sono alcuni come l’Iran giudicati ostili e fiancheggiatori del terrorismo internazionale.
La querelle tra Trump e i Paesi dell’OPEC sta influenzando fortemente le scelte di politica energetica della nuova amministrazione statunitense: la parola d’ordine del nuovo presidente è smettere di comprare il petrolio dal Medio Oriente perché i Paesi del Golfo Persico usano il denaro per finanziare pericolose organizzazioni terroristiche come il sedicente Stato islamico.
Una politica energetica così improntata all’autarchia non può non avere ricadute anche sui rapporti con le altre nazioni perché il settore è molto delicato e le relazioni con i Paesi produttori di petrolio e gas naturale sono in grado di influenzare pesantemente tutti i settori economici e anche la cooperazione nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale.