Di Antonio Li Gobbi*
Roma. Il 25 Aprile è divisivo? È colpa nostra che lo abbiamo tradito. Un’amichevole risposta al Generale Alessandro Gentili (https://www.reportdifesa.it/festa-della-liberazione-1943-1945-anni-da-dimenticare/)
Caro Alessandro,
per una volta non concordo assolutamente con Te!
Proponi di abolire la festività del 25 aprile perché si è lasciato che una sola parte politica se ne appropriasse? Perché ? Ci riteniamo incapaci di motivare che, invece, si tratta di un’eredità storica che dovrebbe essere di TUTTI gli Italiani?

Partigiani in marcia
Ti dirò che questo mi sembra un atteggiamento poco coraggioso e, soprattutto, miope.
“Poco coraggioso”, perché se ritieni che Ti venga indebitamente sottratto qualcosa che appartiene anche al Tuo Passato e alla Tua Storia dovresti , a mio avviso lottare per ristabilire quella che Tu ritieni essere la realtà storica.
E caro Alessandro, sono certo che Tu sai bene che, indipendentemente da quelle che possono essere le Tue valutazioni personali, come ufficiale dei Carabinieri non puoi ritenere che quel periodo non faccia parte del Passato e della Storia ANCHE dell’Arma e ANCHE Tuo!

Il Maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis, ucciso il 24 marzo 1944 Fosse Ardeatine (Roma)
“Miope”, perché così facendo non fai che “darla vinta” e lasciare campo libero a coloro che Tu accusi, oggi, di ammantarsi a sproposito della “Bandiera della Resistenza” per querelle politiche che poco o nulla hanno a che fare con quanto avvenne 75 anni fa in Italia.
Se ritieni che particolari fazioni si siano appropriate della memoria della Guerra di Liberazione e della Resistenza, non ritieni che ciò possa essere anche colpa di quelle componenti della società (come le Forze Armate, in primis, ma anche come tanti Cattolici, Liberali, Repubblicani) che per timidezza, per quieto vivere o per ignavia hanno lasciato ad altri il campo libero, invece di rivendicare con forza il proprio ruolo e il proprio contributo alla liberazione del Paese?
Scrivi che il contributo militare italiano è stato irrilevante ai fini della sconfitta tedesca. Gli storici militari non hanno un parere unanime al riguardo e i documenti dell’epoca (di fonte alleata, non nostri ) sembrerebbero contraddirTi. Ma non importa!
Personalmente ritengo questo aspetto del tutto irrilevante, perchè il problema non era militare ma storico, politico e sociale. Il problema non era nei numeri, ma in ciò che si celava dietro (anzi, direi “dentro” ) quei numeri. Numeri che poi rappresentavano uomini e donne Italiani.
Comunque, sotto un profilo strettamente quantitativo, concordo con Te, caro Alessandro, che anche senza i 500 mila uomini delle Forze Armate regolari del “regno del sud”1, senza la “resistenza” nei territori occupati (cui grande contributo fu dato dagli uomini con le stellette2), senza gli oltre 600 mila internati militari3 che rifiutarono di collaborare con l’occupante tedesco, e senza la resistenza dei reparti italiani all’estero4 gli Alleati avrebbero vinto lo stesso.

La situazione dopo la liberazione
Certamente! Non ho dubbio alcuno in proposito. Così come hanno vinto in Nord-Africa, anche lì senza alcun aiuto da parte dei libici. Però noi, a differenza dei libici, in quella circostanza tragica abbiamo contribuito a definire il nostro destino.
Lo abbiamo fatto in una maniera che era forse materialmente limitata ma ritengo che spiritualmente avesse ben altro valore.
Tu parli di “guerra civile”. Personalmente lo trovo in un certo senso fuorviante. Certo, ci fu ANCHE una guerra civile.
Ma tale guerra civile era prioritariamente il frutto di un conflitto tradizionale e “simmetrico” (come diciamo noi militari) tra anglo-americani e tedeschi. Non si trattava di una guerra civile endogena che aveva visto l’arrivo in Italia di potenti alleati stranieri a supporto chi di una parte chi dell’altra (come troppe volte era successo nell’Italia pre-unitaria).
Il Paese (in seguito a una scellerata condotta della guerra sino al ’43) era diventato un campo di battaglia.
Le colpe? Di tanti. Di Mussolini, di un Sovrano imbelle, del PNF che non era riuscito sino al 25 luglio 1943 a invertire la direzione tragica degli eventi, di alte gerarchie militari che per inettitudine, acquiescenza, incapacità o altro si erano rese corresponsabili e di molti altri ancora.

I corpi di Mussolini e della Petacci a Piazzale Loreto di Milano
I due governi (Brindisi e Salò) si classificavano più per chi erano i loro alleati e per ciò che potevano rappresentare per il futuro dell’Italia che per altro.
La “guerra civile” fu, a mio avviso, la conseguenza e non la causa di tutto ciò. Le ideologie politiche erano diverse all’interno di entrambi gli schieramenti e nessuno dei due fronti era ideologicamente coeso (inoltre i fatti, soprattutto, nel nord-est del Paese5 ci testimoniano che non c’erano solo due schieramenti, ma almeno tre).
Anche per questo penso sia semplicistica, in riferimento a periodo 1943-1945, la schematizzazione di “fascisti” e “anti-fascisti”: le sfumature erano molto più complesse e difficilmente comprensibili ad una lettura che non fosse veramente radicata in quel complesso periodo storico.

Alcuni documenti custoditi nel piccolo Museo alle Fosse Ardeatine di Roma
Parli di “atrocità da entrambe le parti”. Presumo Tu ti riferisca alla RSI e ai partigiani. Certamente! Ma in uno scontro fratricida è sempre così.

Marinai della X Mas
Però i “campioni” esteri al cui fianco si combatteva non erano uguali e non potevano essere messi sullo stesso piano!
I massacri di civili inermi, da Boves in poi, lo sterminio degli di Italiani di religione ebraica, le Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzena, Marzabotto eccetera (sarebbe troppo lungo citarli tutti) erano stragi volute dal “Tedesco” cui gi italiani della RSI non vollero o non seppero porre alcuna obiezione.

La lapide in Via Quattro Fontane,a Roma, che ricorda i nomi dei civili arrestati dopo l’attacco partigiano a soldati tedeschi in Via Rasella
Citi dall’altra parte le “marocchinate”, di cui non intendo assolutamente sminuire la gravità, ma ammetterai che non reggono il confronto in questa assurda scala di barbarie.

Soldati marocchini impiegati con le truppe alleate sul fronte italiano nel 1943
Non era uguale essere da una parte o dall’altra in quel frangente. Non penso si possa dire “Franza o Spagna purché se magna” in un caso del genere.
Poi Tu sai quanto io , anche in pubblico ed in eventi ufficiali, abbia sempre distinto tra chi combatteva per liberare il nostro Paese dal giogo nazista e farne una grande nazione democratica e chi, invece, mirava non alla liberazione dell’Italia ma ad imporre in Italia un regime di tipo sovietico. Ma questo è ancora un altro discorso.
Ti ricordo quanto scrisse in merito a quel periodo un Grande Italiano, tra l’altro un convinto anticomunista.
“Non ho partecipato alla Resistenza per rinnovare le strutture sociali della società italiana, né per combattere una lotta di classe, né per abolire o conservare privilegi , né per far trionfare un determinato programma politico.
Ho partecipato alla resistenza per motivi di giustizia, ma non di giustizia sociale, per motivi di dignità e libertà umana, ma non per vedere realizzate alcune piuttosto che altre forme di organizzazione economica”. (Edgardo Sogno Rata del Vallino – MOVM della “Resistenza”)
Penso che la maggioranza di chi prese le armi contro tedeschi (nella resistenza o nelle formazioni regolari) si riconoscesse in queste parole.
Concludendo, non è negando la data del 25 aprile che puoi cancellare la vergognosa gestione dell’8 settembre o la colpevole inerzia di chi in questi 75 anni ha lasciato che un patrimonio storico comune divenisse, per i meno attenti e meno informati, eredità solo di una parte politica.
Parte politica che ha ben saputo rivendicare la propria Storia. La colpa, anzi l’omissione è di altri, di chi pur avendo uguale ( forse anche maggiore) diritto a tale eredità storica e morale non ha mai voluto o saputo rivendicarlo.

Si festeggia la liberazione
In conclusione, caro Alessandro, concordo (dolorosamente) con Te in merito alla diagnosi (ovvero che, purtroppo, il 25 aprile sia divenuto in Italia una data divisiva), ma assolutamente non in merito alla cura.
Ritengo, infatti, che la via da seguire sia diametralmente opposta a quella da Te suggerita!
Sono fermamente convinto che occorra riappropriarsi della memoria storica di tale periodo, aldilà delle faziosità politiche di oggi che non possono essere né motivate né giustificate da fatti di tre quarti di secolo fa.
Con affetto di sempre
*Generale di Corpo Armata (Ris) Esercito Italiano
NOTE
1 Nonostante le resistenze politiche anglo-americane (tendenti a limitare il contributo italiano a sostegno logistico e lavoro nelle retrovie, al fine di non doverci riconoscere meriti di cobelligeranza), il primo nucleo di tali forze ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Montelungo (dicembre 1943), dove s’immolò quasi al completo il 51° battaglione allievi ufficiali dei bersaglieri. Si trattava di “combattere” sia contro l’ex alleato tedesco, che non perdonava quello che considerava un tradimento, sia contro i preconcetti del nuovo-alleato anglo-americano, che voleva limitare il ruolo dei nostri combattenti per non riconoscere all’Italia vantaggi politici post-bellici. Nei successivi sedici mesi, le “nuove” F.A. italiane arrivarono a contare più di mezzo milione di uomini (400.000 dell’Esercito, 80.000 della Marina, 35.000 dell’Aeronautica). Non solo i 6 Gruppi di Combattimento (in pratica Divisioni, che gli Alleati non consentirono di chiamare così solo per motivi politici), ma anche reparti combattenti della Marina, dell’Aeronautica e le Divisioni Ausiliarie che furono essenziali per consentire alle armate alleate di risalire la Penisola. L’importanza non solo militare ma anche politica di tale impegno fu evidenziato nel mirabile intervento di De Gasperi alla Conferenza di Parigi (10 agosto ’46)
2 Al “Nord”, i militari sono stati spesso i primi a darsi alla guerriglia e sono spesso stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento resistenziale che stava nascendo spontaneamente, ma disordinatamente. Ciò perché alcuni reparti si sono dati alla macchia già subito dopo l’8 settembre, mantenendo spesso, almeno all’inizio, la propria organizzazione e con quadri che avevano già molta esperienza bellica.
Utile al riguardo la testimonianza di una personalità non militare e sicuramente non vicino al mondo militare: Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro segretario del PCI, che in proposito scrisse: “Vi erano soldati che fuggivano verso la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la propria arma”.
A Roma, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Montezemolo. Ricordiamo che dei 335 trucidati alle Fosse Ardeatine, ben 69 erano uomini con le stellette.
È stato così dappertutto! In tale contesto, vanno ricordate anche le centinaia di missioni di ufficiali e sottufficiali italiani paracadutati oltre le linee tedesche con compiti di collegamento con le formazioni partigiane, addestramento delle stesse e organizzazione di aviolancio di armi e munizioni a favore della “resistenza”
3 Circa 640 mila soldati (sorpresi dall’8 settembre) furono catturati dai Tedeschi, in Italia o all’estero, e internati in campi di concentramento. Non godevano dello “status” di “prigionieri di guerra” (cui le Convenzioni di Ginevra riconoscevano alcuni diritti), in quanto non considerati “belligeranti”, non avendo il governo italiano ancora dichiarato guerra alla Germania. Furono sottoposti a trattamenti spesso disumani, cui avrebbero agevolmente potuto sottrarsi aderendo alla RSI. La maggior parte di loro decise di resistere e di non aderire alla RSI, nonostante fossero consci che sarebbero probabilmente morti nei lager (sorte che toccò a oltre 40 mila di loro)
4 Nei Balcani, in Francia, nelle isole, migliaia di militari italiani sfuggirono alla cattura da parte dei Tedeschi e parteciparono ai locali movimenti di liberazione nazionali, unendosi ai partigiani locali. Particolarmente significativo fu il caso delle Divisioni “Taurinense” e “Venezia”, che si fusero nella Divisione “Garibaldi”, mantenendo in gran parte intatta la propria organizzazione gerarchica e ordinativa e combattendo a fianco dei partigiani jugoslavi fino alla fine della guerra
5 Ricordiamo l’”eccidio di Porzus” perpetrato da partigiani italiani gappisti comunisti ai danni dei partigiani della Brigata “Osoppo” (comprendente militari, cattolici e socialisti) e la dura contrapposizione in Friuli Venezia Giulia tra le formazioni partigiane che combattevano per difendere l’italianità della regione e quelle che ne volevano l’annessione alla Jugoslavia di Tito.
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