Festa della Liberazione: 1943-1945, due anni da dimenticare

Di Alessandro Gentili*

Roma. Non gloria, sed memoria! Si avvicina l’annuale ricorrenza del 25 aprile, ma schiacciati da un’ombra ossessiva, quella della micidiale pandemia da Covid-19, non sappiamo se anche stavolta avremo la voglia di innescare le insulse polemiche che da 75 anni caratterizzano questa festa, che festa non è mai stata e che in molti preferiremmo possa essere al fine cancellata.

Se abbiamo cancellato la festa della Vittoria istituita nel 1919, che si celebrava motivatamente ogni 4 novembre fino al 1976 (1), per ricordare l’anniversario dell’Armistizio di Villa Giusti del 1918 e la resa dell’Impero Austro-Ungarico (2), a maggior ragione dovremmo abolire anche questa.

L’armistizio di Villa Giusti

Sappiamo bene che ogni anno ricorre il 25 aprile, anniversario della liberazione d’Italia – chiamato comunemente Festa della Liberazione, anniversario della Resistenza o semplicemente 25 aprile – che si risolve, però, puntualmente in sgradevoli dispute e diatribe per rivalità e rancori mai sopiti, ma anche in disordini con ricorrenti, gravi incidenti e turbative dell’ordine pubblico, che contrappongono instancabilmente coloro che si ritengono i veri artefici esclusivi di essa liberazione.

Il sacrificio del vice brigadiere dei Carabinieri, Salvo D’Acquisto

Essa vorrebbe essere giustamente memoria di un evento fondante per la rinascita di una nuova Italia, un secondo Risorgimento, ma finisce sempre per essere ricerca di riconoscimenti di glorie e meriti – combattentistici e politici – che di glorioso non hanno assolutamente niente, senza nulla togliere a coloro che purtroppo – e spesso, tutto sommato, senza alcuna valida ragione – hanno versato il proprio sangue e immolato la propria vita, nella convinzione di battersi per una causa giusta.

Causa giusta che a distanza di 75 anni non viene ancora individuata né accettata da coloro, ormai pochissimi, che ebbero la sventura di vivere in prima persona quei tempi, in realtà distinte se non contrapposte, e soprattutto da coloro che invece non hanno vissuto quei tempi e senza alcun titolo hanno però la pretesa di rappresentare oggi quegli sventurati di ieri, ritrovatisi a combattere una guerra civile senza senso, indegna di un popolo e di un Paese che pretende di vantare una grande ed antica civiltà.

Un Paese che alla metà degli anni ’30 era uno Stato fascista i cui cittadini erano nella stragrande maggioranza convinti fascisti, tranne rarissime eccezioni, ben conosciute perché finirono agli onori delle cronache giudiziarie o di polizia talché finirono in carcere o al confino.

Fascisti che nell’estate del ’43 e soprattutto dopo l’8 settembre si riscoprirono visceralmente antifascisti, acquisendo nella nuova veste in alcuni casi grandi meriti, sino ad ascendere persino alla suprema magistratura della Repubblica.

Dunque, una festa della Liberazione, un anniversario della Resistenza, che vorrebbe essere la celebrazione della vittoriosa lotta militare e politica conseguita dall’azione congiunta delle Forze Armate alleate, delle Forze Armate regolari del Regno del Sud (3), cobelligeranti a fianco degli alleati, ed anche delle formazioni partigiane (4) contro i reparti occupanti dell’ex alleato germanico e quelli del Governo fascista della Repubblica Sociale Italiana (RSI).

La grotta luogo dell’eccidio alle Fosse Ardeatine

Ma a cercare di voler essere intellettualmente onesti dovremmo ammettere che sia la guerra di liberazione che la così detta resistenza non sono nulla di cui gloriarsi e men che meno qualcosa di onorevole.

I loro protagonisti furono persone che fecero quasi sempre di necessità virtù, che reagirono ad una situazione assurda verificatasi con la diffusione intempestiva della notizia di un armistizio che tradiva l’alleato germanico, provocando la rocambolesca fuga del Re dalla Capitale, lo sbando delle Forze Armate in Patria e nei vari teatri operativi, il sacrificio inutile di migliaia di soldati che vollero, o furono costretti, talora ad essere fedeli a ideali ormai tramontati o a giuramenti fatti a chi aveva invece tradito tutti i valori dell’onore!

Il Maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis, ucciso il 24 marzo 1944 Fosse Ardeatine a Roma

Le giustificazioni postume a siffatti comportamenti non hanno però convinto veramente nessuno, tanto che segnarono ineluttabilmente la sorte della monarchia e della dinastia che aveva unificato il Paese e contrappongono ancora oggi gli artefici della guerra di liberazione e della resistenza, anch’essa macchiatasi di episodi di ferocia efferata che nulla hanno da invidiare alle stragi perpetrate dalle truppe tedesche e dai repubblichini di Salò.

La decisione politica, nel dopoguerra, di non perseguire i responsabili degli eccidi di tutte le fazioni interessate la dice lunga su come possono essere andate le cose.

Ma oggi, dopo oltre 70 anni, vi è ancora qualcuno che periodicamente recrimina sulle colpe di quello e di quell’altro, sulle “marocchinate” e continua ad evocare “armadi della vergogna”.

Ma ciò che non si è risolto in 75 anni è destinato a non risolversi mai più, soprattutto non dovrebbe essere continuamente ed inutilmente rimestato.

Il Generale dei Carabinieri, Filippo Caruso. Diresse la lotta per la resistenza a Roma

L’adagio “fiat iustitia, ne pereat mundus” andrebbe applicato solo ai fatti presenti, non nella ricerca futile ed incerta delle verità del passato, che sono scomparse con il tempo trascorso e che possono appartenere soltanto alla morte.

Solo la storia dovrebbe avvalersi delle ricerche sui fatti del passato, ma mai la giustizia.

Infatti, sappiamo, si suole dire, che la storia viene riscritta continuamente. Invece, in questo nostro singolare Paese – che ogni giorno di più nega la giustizia a chi la invoca, essendo il suo apparato giudiziario tristemente noto per conclamata inefficienza e soprattutto inefficacia – si continuano ad inseguire quasi esclusivamente fantasmi del passato, senza mai giungere ad alcun risultato.

E spesso, quando si arriva a sentenza, non è raro poi constatare che sempre più frequentemente ciò che esse affermano si colloca al di fuori dell’ordinamento.

Altro buon motivo per auspicare la cancellazione della festa del 25 aprile sta nel fatto che la generalità degli italiani di oggi non ha nessuna cognizione di cosa sia stata effettivamente la vicenda bellica e politica sviluppatasi dal 1943 al 1945, nessuno sa che la cobelligeranza delle forze armate regolari italiane con gli alleati fu male accetta dagli inglesi e dagli americani, e tutto sommato fu un di più del quale gli alleati potevano fare tranquillamente a meno.

Senza l’apporto dei reparti regolari delle Forze Armate non sbandatesi e delle formazioni partigiane, gli alleati avrebbero comunque tranquillamente distrutto la resistenza tedesca, ormai allo stremo, magari impiegando solo qualche mese in più.

Così, come quasi nessuno sa quale sia la vera differenza tra la guerra di liberazione e la resistenza e, oggi come oggi, risulta forse del tutto inutile cercare di spiegarlo alle nuove generazioni, che più che mai vivono una dimensione assolutamente nuova e del tutto comprensibilmente disinteressate nell’approfondire una storia di scelte scellerate, di tradimenti, di azioni palesemente vergognose e spesso inconfessabili.

Va però reso merito a quelle associazioni e istituzioni che custodiscono e cercano di alimentare la memoria di coloro che hanno sacrificato la vita per la libertà, ma occorre prendere atto che altri sono oggi i valori a base delle società del mondo occidentale, che hanno avuto l’abilità di allontanare dalla loro cultura la tremenda realtà delle guerre.

(*) Generale di Brigata dei Carabinieri (ris). Vice Presidente nazionale per l’Arma dei Carabinieri dell’ANCFARGL (Associazione Nazionale Combattenti delle Forze Armate Regolari nella Guerra di Liberazione)

(1) A partire dalla presidenza Ciampi ogni 4 novembre si celebra comunque la “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate”. I motivi che ne trasformarono la denominazione, e di fatto una lunga parentesi di soppressione, non fanno onore alla storia del nostro Paese.

(2) Armistizio firmato il giorno prima tra il Regno d’Italia e l’Impero Austro-Ungarico, che segnò la fine della Prima guerra Mondiale. Vittoria consacrata nelle innumerevoli lapidi di marmo che in tutta Italia eternano il famoso “Bollettino della Vittoria” del Generale Armando Diaz, poi creato “Duca della Vittoria”.

(3) Per chi fosse interessato, si consiglia la lettura di un’opera che si ritiene molto valida per approfondirne la conoscenza: Agostino degli Espinosa, Il Regno del Sud, BUR, Milano, 1945, pagg. 480.

(4) Anche esse spesso formate da reparti delle forze armate regolari o da militari comunque sbandati, ritrovatisi dopo l’8 settembre del ’43 in area del territorio nazionale sotto controllo tedesco o della RSI o in territori stranieri che, rifiutando la cobelligeranza con i nazisti e volendo evitare la deportazione, preferirono organizzare una propria lotta armata. A loro si unirono poi anche civili che volevano sottrarsi alla cattura, alla deportazione o all’arruolamento nei reparti repubblichini o tedeschi, dislocati nel territorio della RSI. Molti di costoro vantarono meriti che li fecero annoverare tra i padri costituenti e tra i più eminenti rappresentanti della politica nazionale contemporanea.

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