Festa nazionale del 25 aprile, ha ancora senso celebrarla? L’importante ruolo delle Forze Armate nella Guerra di Liberazione

Di Alessandro Gentili*

Milano. Il 25 aprile 1945 è la data che segna la proclamazione – da parte del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), con sede in Milano – dell’insurrezione generale contro i presidii nazisti e fascisti, cui imporre la resa incondizionata, rivolto a tutte le formazioni partigiane del Corpo Volontari della Libertà, operanti nelle città del Nord Italia ancora occupate dai tedeschi.

A Milano, nell’aprile 1945 si festeggia la liberazione

Contestualmente, il CLNAI assumendo il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo italiano” emanò dei decreti legislativi con i quali disponeva, tra l’altro, la condanna a morte per i gerarchi fascisti, compreso Benito Mussolini.

Mussolini con Claretta Petacci venne fucilato il 28 aprile e l’Italia venne definitivamente liberata dagli occupanti il 1° maggio.

I corpi di Mussolini e della Petacci

Le operazioni belliche ebbero formalmente fine il 3 maggio come stabilito con la resa di Caserta, firmata il 29 aprile 1945. Correntemente, ma non del tutto correttamente, la data del 25 aprile 1945 viene considerata come data della liberazione di Milano.

Ma oggi, a distanza di 74 anni, dopo aver assistito e registrato in tante occasioni infinite polemiche, è sicuramente legittimo chiedersi se ha ancora un senso insistere a celebrare ogni 25 aprile la Festa della Liberazione; una delle feste nazionali del nostro Paese, istituita con decreto legislativo luogotenenziale del Principe Umberto di Savoia del 22 aprile 1946, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri Alcide de Gasperi, poi riconfermata con legge del 27 maggio 1949.

Una solenne ricorrenza che – a differenza delle altre feste nazionali, spesso sospese per lunghi periodi o la cui ricorrenza è stata soventemente differita alla domenica successiva al giorno inizialmente previsto per legge – è sempre stata puntualmente celebrata in tutte le città italiane, in special modo in quelle decorate al valor militare per la Guerra di Liberazione, e con l’intervento solenne del capo dello Stato presso l’Altare della Patria, con una deposizione di una corona d’alloro innanzi al sacello del Milite Ignoto in ricordo di tutti i caduti. Si, a ben vedere quanto questa ricorrenza finisca per essere divisiva, per la sua sgradita capacità di rinnovare discordie, ravvivare rancori ed odii mai sopiti, viene spontaneo chiedersi se non sia il caso – dopo ben 74 anni dalla sua istituzione e dopo 70 anni dalla sua riconferma – di relegare ad un mero ricordo storico anche questa data.

Celebrazione che dice assai poco, o quasi nulla, alle giovani generazioni e fa litigare, per terze finalità, solo chi della 2^ Guerra mondiale, della Guerra di liberazione e della Resistenza non sa praticamente nulla.

I pochissimi che quelle guerre e quella resistenza hanno condotto, o comunque vissuto perché infanti o appena ragazzi, ormai sono così avanti con gli anni che non hanno più né la voglia né la forza di affermare torti e ragioni, ormai fortunatamente sbiaditi da un mondo che corre veloce e che non ha alcuna voglia o interesse a rinvangare questioni che ai più appaiono lunari.

A questo disinteresse contribuiscono una scuola veramente carente ed una mancanza di civismo vergognose, seppur comprensibili nel contesto confuso in cui l’Italia ed il mondo occidentale affogano con soddisfazione, senza nulla a pretendere.

La conoscenza di quanto è avvenuto nel mondo dal 1939 al 1945 oggi interessa veramente solo a pochi studiosi, che però non trovano vasti uditori sui quali riversare le loro verità, e a quei quattro gatti – non me ne vogliano gli interessati, tra i quali mi annovero, ma ho in conto il rapporto assolutamente sfavorevole tra loro e il resto degli italiani – delle associazioni combattentistiche e d’arma che, praticamente soli e senza risorse, disperatamente cercano di conservare e diffondere la memoria di un momento buio e abbastanza vergognoso della storia politica, militare, sociale ed economica dell’Italia.

Occorre essere onesti: il 25 aprile non c’è nulla da festeggiare. Fu, più o meno, solo la fine di un incubo, per alcuni iniziato già alla fine della 1^ Guerra mondiale – che lasciò solo povertà, disperazione, emigrazione di masse di disperati e disordini crescenti – e culminato nell’ottobre del 1922 con l’avvento del fascismo, che per moltissimi fu invece un autentico “toccasana”.

E’ storicamente innegabile che Mussolini, con il suo regime, sia stato considerato dall’esordio fino alla metà degli anni ’30, dalla stragrande maggioranza degli italiani, l’uomo della Provvidenza.

E, infatti, l’Italia fascista si rivitalizzò, sino ad essere considerata una potenza con cui “fare i conti”. Ma, purtroppo, contemporaneamente, si affacciò alla ribalta del mondo alla fine degli anni ’30 la politica di conquista tedesca.

E’ allora che i tedeschi, per nostra sfortuna, ma forse per una scelta che fu semplicemente obbligata, divennero l’ “alleato germanico”. Un alleato che, dobbiamo riconoscerlo, abbiamo seguito con facili entusiasmi nelle sue follie espansionistiche, cercando di imitarlo se non addirittura pensando talora persino di superarlo, che abbiamo pure imitato in scelte riprovevoli come l’adozione delle “leggi razziali e che poi, alla fine, abbiamo ignobilmente tradito.

Tradimento è la parola giusta, non lo è invece il “ravvedimento” che molti pensano d’avere messo in atto partecipando alla Resistenza, o Lotta Partigiana che dir si voglia.

Una partecipazione che è stata quasi sempre obbligata, per mancanza di alternative, condizionata anche geograficamente dal luogo in cui ci si venne a trovare dopo l’8 settembre del 1943, sorpresi dalla firma dell’armistizio di Cassibile.

In definitiva, gli Alleati – Francia, Gran Bretagna, USA e URSS – ci hanno voluto molto bene e ci hanno evitato le distruzioni, l’occupazione militare e la divisione politica del Paese, che invece sono state riservate alla Germania nazista, e che probabilmente meritavamo anche noi.

Se fossimo coscienti di questo, la smetteremmo ogni 25 aprile di scagliarci gli uni contro gli altri, evocando fantasmi ormai estranei alle vicende di un Paese socialmente ed economicamente assai malconcio e i cui rappresentati politici hanno ben poco da raccontare e da rivendicare, tanto sono modesti, confusi, abitualmente contraddittori e spesso insignificanti.

In tutto questo, appare assolutamente e insopportabilmente mistificatrice la posizione di chi presenta la Resistenza come una fondamentale ed imprescindibile azione di lotta, contro i nazisti e i fascisti della Repubblica di Salò, senza la quale non sarebbe stato possibile liberare l’Italia dall’occupante tedesco.

Una Lotta Partigiana – comunque quasi sempre organizzata e avviata da ufficiali e sottufficiali del Regio Esercito, trovatisi nelle aree occupate dai tedeschi e dai repubblichini di Salò, sfuggiti ai rastrellamenti ed alle deportazioni, che rifiutarono di servire nella RSI e che non vollero disertare – di cui non fecero parte solo civili, e tra loro gli antifascisti di sempre ma anche rappresentanti di tutti i partiti -bensì annoverò numerosissimi militari delle Forze Armate, con Carabinieri e Finanzieri che dettero un contributo fondamentale alla Resistenza, con grandi episodi di eroismo e alto tributo di sangue.

La Guerra di Liberazione vide in prima linea soprattutto militari

Invece, per contro, fu la partecipazione alla Guerra di Liberazione, a fianco degli Alleati, dei militari inquadrati nelle Forze Armate regolari italiane che ci guadagnò, nonostante le forti e comprensibili riserve nutrite inizialmente nei loro confronti, il favore degli alleati americani, inglesi e francesi che, al termine del conflitto, concessero all’Italia, Paese nemico e sconfitto, un trattamento risultato essere alla fine di inimmaginabile favore, senza considerare i benefici ottenuti poi con il Piano Marshall.

Quindi, se ci fosse qualcosa da festeggiare veramente il 25 aprile, sarebbe l’apporto offerto da quei militari che vollero, nonostante tutto, continuare l’immane sforzo e le inenarrabili privazioni, perdite e sofferenze subite combattendo dal 1940 al 1943 in assurde campagne di velleitarie conquiste rivelatesi ingiuste, temerarie e malamente organizzate e condotte.

Ad ogni buon fine si riportano di seguito, per l’essenziale, le fasi in cui si è sviluppata la Seconda Guerra mondiale.

Il 1° settembre del 1939 Hitler invade la Polonia, il 3 settembre successivo Inghilterra e Francia dichiarano guerra alla Germania. Il 30 settembre Stalin occupa la Finlandia.

Nel giugno del 1940 i tedeschi occupano Parigi ed il Nord della Francia mentre il Sud rimane sotto il controllo del Maresciallo Pétain.

Nell’estate del 1940 inizia la guerra aerea contro la Gran Bretagna, nel 1941 prende il via l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia e della Grecia mentre inizia lo scontro tra inglesi contro tedeschi e italiani in Africa settentrionale.

Intanto il Terzo Reich dà avvio allo sterminio degli ebrei. Il Giappone aggredisce la base USA di Pearl Harbour e l’America entra in guerra.

Si fronteggiano a questo punto le potenze dell’Asse – tedeschi, italiani e giapponesi – nonché gli Alleati – Francia, Inghilterra e USA – e si giunge così nel 1943 che vede la ritirata delle truppe italiane e tedesche dalla Russia e la loro disfatta in Africa.

L’11 giugno del 1943 gli Alleati iniziano la campagna d’Italia, sbarcando a Pantelleria e il 10 luglio 150 mila  americani e inglesi sbarcano in Sicilia.

Inizia la marcia delle truppe dell’URSS sulla Germania orientale, il Generale Eisenhower ordina lo sbarco in Normandia costringendo i nazisti ad abbandonare Francia, Belgio e Olanda.

Nel 1945 gli americani invadono la Germania occidentale e liberano velocemente la penisola italiana.

Nel maggio del 1945 Hitler si suicida e la Germania firma la resa senza condizioni e la guerra in Europa può definitivamente considerarsi conclusa.

Nell’agosto del’45 Truman ordina la distruzione di Hiroshima e Nagasaki e il 2 settembre 1945 la 2^ Guerra mondiale ha finalmente termine.

In questo complesso ed articolatissimo contesto, va ancora una volta evidenziato che, se qualche merito va attribuito all’Italia per la positiva conclusione della guerra, esso va riconosciuto sicuramente ai militari delle Forze Armate regolari italiane per la partecipazione nelle operazioni belliche dal ’43 al ’45 a fianco degli Alleati e in supporto delle formazioni irregolari del fronte clandestino.

E ciò, nonostante, i reparti del Regio Esercito e della Regia Marina fossero rimasti senza direttive, senza collegamenti, senza capi, stante la precarietà e imprevedibilità della situazione creatasi a seguito dell’Armistizio dell’8 settembre del 1943.

Va precisato infatti che solo il successivo 13 ottobre l’Italia dichiarò formalmente guerra alla Germania. Un impegno che vide coinvolti complessivamente ben 530 mila combattenti, 87 mila dei quali caduti, combattendo anche nelle formazioni partigiane.

Dunque, un contributo fondamentale nella Lotta Partigiana che rende numericamente secondario e marginale il ruolo-– che oggi si pretenderebbe invece asseritamente fondamentale – dei partigiani, provenienti dalla componente civile della Resistenza.

Senza dimenticare i 700 mila soldati che rifiutarono di collaborare con i nazifascisti, anche se allettati con promesse di vantaggi, e che vennero internati dai tedeschi nei campi di concentramento e di lavoro. In conclusione e per quanto precede si ritiene motivatamente che in Italia è giunto sicuramente il momento di cancellare sia la ricorrenza del 25 aprile che quella del 4 novembre, lasciando solo la festa della Repubblica del 2 giugno, perché sicuramente più significativa e più partecipata. Perché una festa, per essere qualificata festa nazionale, deve essere accettata da tutti e deve essere innanzi tutto una festa. . .

(*) Generale di Brigata Carabinieri (Ris) – Vice presidente nazionale per l’Arma dei Carabinieri dell’ANCFARGL

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