Filippine e Stati Uniti: la legge anti-spionaggio e il voto che scuote Manila

Di Giuseppe Gagliano

MANILA. Le elezioni di medio termine di lunedì prossimo, nelle Filippine, non sono solo un banco di prova per il Governo di Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr. , ma anche un crocevia geopolitico che vede gli Stati Uniti e le Filippine intrecciare interessi strategici in un Indo-Pacifico sempre più teso.

Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr.

Al centro del dibattito, una legge anti-spionaggio ritenuta obsoleta, risalente al 1941, che i parlamentari filippini vogliono riformare per contrastare le crescenti minacce di interferenze straniere, con un occhio puntato su Pechino.

Intanto, la recente visita di senatori americani, accolti da funzionari della sicurezza di Manila, ha acceso i riflettori su un’alleanza che si rafforza, ma che non è esente da frizioni e sospetti.

Le elezioni di metà mandato, che vedranno circa 68 milioni di elettori scegliere 12 dei 24 seggi al Senato, 317 seggi alla Camera dei Rappresentanti e oltre 18 mila cariche locali, sono un termometro della popolarità di Marcos e un’anticipazione delle presidenziali del 2028.

Ma il voto assume un peso ancora maggiore alla luce delle accuse di ingerenza straniera, in particolare cinese, sollevate dal National Security Council e dal senatore Francis Tolentino.

Durante un’audizione al Senato, Tolentino ha denunciato l’attività di “troll farm” legate all’Ambasciata cinese a Manila, accusate di diffondere disinformazione per favorire candidati filo-Pechino e screditare chi critica la Cina nel Mar Cinese Meridionale.

Un’indagine ordinata da Marcos è in corso, ma i nomi dei presunti “candidati pro-Cina” restano nell’ombra, alimentando speculazioni su una possibile polarizzazione del panorama politico.

In questo contesto, la legge anti-spionaggio filippina, vecchia di oltre 80 anni, è sotto esame.

Attualmente, le sue disposizioni si applicano solo in tempo di guerra, con pene che non superano i 10 anni di carcere e multe irrisorie di 10.000 pesos (circa 230 dollari).

“Un deterrente ridicolo per chi minaccia la nostra sicurezza nazionale”, ha dichiarato Jonathan Malaya, portavoce del National Security Council, durante un forum sul Mar Cinese Meridionale. Le proposte di riforma, già depositate in Congresso, mirano a estendere l’applicabilità della legge in tempo di pace, con pene fino all’ergastolo e multe di un milione di pesos.

L’arresto, a gennaio, di un presunto spia cinese, Deng Yuanqing, e di due suoi complici filippini, accusati di raccogliere informazioni sensibili vicino a basi militari, ha dato nuova urgenza alla questione. A ciò si aggiungono i casi di due cittadini cinesi fermati a Palawan mentre filmavano navi della Guardia Costiera filippina, con foto di installazioni militari trovate sui loro dispositivi.

Unità della Guardia Costiera filippina

Gli Stati Uniti osservano da vicino.

La visita di una delegazione di senatori americani, poco prima delle elezioni, non è passata inosservata.

L’incontro con funzionari della sicurezza filippini, tra cui rappresentanti della Philippine National Police e del Dipartimento della Difesa, ha avuto come focus il rafforzamento della cooperazione bilaterale, soprattutto alla luce delle tensioni nel Mar Cinese Meridionale.

Agenti della Philippine National Police

L’alleanza Manila-Washington, cementata dal Mutual Defense Treaty e dagli accordi EDCA (Enhanced Defense Cooperation Agreement), si è intensificata sotto Marcos, con l’aggiunta di quattro nuove basi militari accessibili agli Stati Uniti, tre delle quali orientate verso Taiwan.

Ma non mancano i nodi da sciogliere. Washington spinge per una legge anti-spionaggio più severa, vista come un baluardo contro le operazioni cinesi, ma alcuni analisti filippini temono che una normativa troppo stringente possa essere usata per colpire dissenso interno o limitare le libertà civili.

Il clima elettorale, già surriscaldato dall’impeachment della vice presidentessa Sara Duterte, accusata di abuso di fondi e minacce contro Marcos, aggiunge complessità.

La faida tra i clan Marcos e Duterte, un tempo alleati sotto la bandiera dell’“UniTeam”, domina la campagna.

I candidati appoggiati da Marcos, secondo i sondaggi di Pulse Asia, guidano la corsa per i seggi senatoriali, ma due fedelissimi di Duterte restano tra i primi 12, garantendo alla vicepresidentessa un’influenza non trascurabile.

Intanto, episodi di violenza politica – dall’agguato a un candidato a Maguindanao del Sur all’uccisione di un funzionario della Commissione Elettorale a Datu Odin Sinsuat – ricordano che il voto si svolge in un contesto fragile, con 235.000 agenti di polizia mobilitati per garantire la sicurezza.

Sul piano internazionale, gli Stati Uniti vedono nelle elezioni un test per la tenuta della loro influenza nelle Filippine.

La Cina, accusata di amplificare la discordia politica attraverso operazioni di disinformazione, non resta a guardare. La National Intelligence Coordinating Agency ha segnalato che agenti cinesi, in coordinamento con proxy locali, starebbero manipolando il discorso pubblico per indebolire il Governo Marcos.

L’arresto di un cittadino cinese vicino agli uffici della Commissione Elettorale, con un dispositivo IMSI-catcher per intercettare comunicazioni, ha ulteriormente alzato la tensione.

In questo intrico di interessi, la riforma della legge anti-spionaggio diventa più di una questione tecnica: è un simbolo della sovranità filippina in un’epoca di competizione globale.

Per Marcos, è un’opportunità per consolidare la sua leadership e rassicurare Washington.

Per i filippini, è un bivio tra sicurezza e libertà, in un Paese dove la democrazia, pur vibrante, resta vulnerabile.

Mentre le urne si avvicinano, Manila si prepara a un voto che non deciderà solo il futuro del Congresso, ma anche la direzione di un’alleanza cruciale in un Asia sempre più contesa.

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