Di Paola Ducci*
HELSINKI (nostro servizio particolare). Resta appostato per ore, immobile nella neve, mentre intorno il paesaggio bianco confonde la vista.
Neanche un minimo movimento, nemmeno l’aria che si condensa a ogni respiro.
L’uomo nella neve è una macchina da guerra perché quell’uomo è Simo Häyhä. Non è un cecchino mimetizzato in attesa del nemico ma è lui stesso parte dello scenario bianco e silenzioso. Svuota la mente, rallenta il respiro.
Mangerà un po’ di zucchero e un po’ di pane ma più tardi, non adesso. Perché adesso la Morte Bianca è in azione.
Settimo di otto figli di agricoltori luterani, Simo Häyhä nasce il 17 dicembre 1905 nella città di Rautjärvi, in Carelia, regione della Finlandia sud-orientale, allora parte della Russia e oggi al confine.
All’età di 17 anni entra a far parte della Guardia Civile nella milizia volontaria della Finlandia indipendente (Suojeluskunta) e nel 1925 diviene militare nell’Esercito della Finlandia indipendente.
Durante la guerra d’inverno (1939–1940) tra Finlandia e Unione Sovietica prende parte al conflitto operando come cecchino, inquadrato nella 6ª Compagnia del Reggimento di Fanteria 34.
Le sue imprese leggendarie gli valsero l’appellativo di “Morte bianca” (Белая cмерть, Belaya smert in russo, Valkoinen kuolema in finlandese) per l’altissimo numero di soldati nemici uccisi: 542 se si considerano quelli confermati, ma saliamo a più di 800 se si considerano anche quelli non confermati. Per virtù di questi numeri e dell’efficacia delle sue strategie di combattimento Häyhä è riconosciuto come il più letale cecchino della storia.
Piccolo di statura e vestito sempre di bianco per mimetizzarsi meglio nella neve, Simo Häyhä usava un fucile Mosin-Nagant russo modificato in Finlandia, chiamato “Spitz”, ma anche un Suomi KP-31 e portava sempre con sé pochissimo equipaggiamento: per muoversi velocemente gli bastavano, oltre al fucile e al mitra, solo una razione di cibo e i caricatori.
I combattimenti avvenivano in territori dove la temperatura era bassissima e per questo Häyhä sviluppò tecniche di cecchinaggio davvero particolari che gli permisero di mantenere il più alto livello possibile di efficienza fisica e capacità di tiro, entrambi difficili in quelle condizioni climatiche. Häyhä sparava sempre dal terreno, fatto assai raro per un cecchino perchè la tendenza dei tiratori scelti è quella di posizionarsi sempre in zone sopraelevate rispetto al passaggio del nemico.
Utilizzava la tattica russa d’attacco a ondate che assicurava bersagli molto ravvicinati e scoperti.
Inoltre Häyhä impiegava le tacche di mira fisse dell’arma, modalità insolita per i cecchini che di solito prediligono le ottiche telescopiche, poiché riteneva che un eventuale riflesso sulla lente dell’ottica avrebbe potuto rivelare la sua posizione.
Nonostante l’assenza di un mirino telescopico riusciva a centrare obiettivi anche da distanze superiori ai 400 metri.
Inoltre si muoveva sempre da solo durante le operazioni rimanendo acquattato nella neve e sopportando per ore temperature che andavano dai -20 ai -40 °C, contrariamente agli altri cecchini finlandesi che solitamente si posizionavano sugli alberi ed era solito compattare la neve di fronte alle canna del suo fucile per non farla sollevare nello sparo.
Inoltre, con l’approssimarsi del nemico, nell’imminenza dell’azione, metteva sempre della neve in bocca per evitare di produrre condensa con il respiro e rivelare così la sua posizione.
Il 6 marzo 1940 Häyhä fu colpito alla mandibola durante un combattimento ravvicinato.
Il proiettile lo ferì nella parte sinistra del viso, sfigurandolo e facendo di lui e della sua leggenda una maschera ancora più inquietante..
Quando gli fu chiesto nel 1998 se si pentiva dei tanti morti che aveva fatto aveva risposto: «Ho fatto quello che mi hanno chiesto, al meglio che ho potuto.
Non ci sarebbe una Finlandia se tutti non avessero fatto lo stesso». Simo Häyhä visse i suoi ultimi anni nel piccolo villaggio di Ruokolahti, nel sud-est della Finlandia, che curiosamente si trova nelle immediate vicinanze del confine russo, allevando cani e alci ed è morto il 1º aprile del 2002 all’età di 96 anni.
*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa
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