Di Marco Petrelli
Roma. “Eravamo ragazzi che prendevano molto seriamente il compito che ci veniva dato, ma poi tra noi si scherzava e non vedevamo l’ora di andare in libera uscita. Adesso è tutto molto serio e manca la nostra goliardia. Manca il sorriso ironico dei ragazzi provenienti da tutta Italia che si scoprivano amici senza sapere il perché”. Ricorda, con una punta di nostalgia, Maurizio Bertelegni, presidente dell’ANVAM (Associazione nazionale Vigilanza Aeronautica Militare).
Nostalgia: si può essere nostalgici di un dovere? La memoria, in particolare quella di gioventù, un po’ di malinconia la crea sempre, ma le emozioni non sono l’unico fattore che spinge alcuni a proporre un ritorno alla leva.
“Sono entrato alla Scuola Centrale VAM il 19 agosto del 1977 – ricorda Bertelegni – dopo 2 mesi di corso sono stato destinato al 21° Centro Radar di Poggio Ballone (Grosseto ) dove ho prestato servizio fino all’ agostodel 1978. Mio padre era stato in Aeronautica Militare nel 1952 ed io , una volta superata la visita di idoneità, feci domanda di arruolamento in A.M”.
“Gli avieri VAM – ricorda il presidente dell’Associazione – venivano reclutati in tutta Italia seguendo gli stessi criteri di selezione degli alpini e dei paracadutisti. Chi era destinato ad operare costantemente armato e osservare servizi di guardia, anche a giorni alterni, doveva garantire efficienza fisica e mentale di livello elevato.
“Gli altri avieri, cosiddetti generici – aggiunge Bertelegni -, svolgevano solo compiti di servizi generali: mense, bar, spacci, pulizie, manutenzione e non erano destinati ad alcun servizio armato”.
Quanto ad addestramento ricevuto e funzioni, Maurizio ricorda che “alternavamo giorni di guardia h 24 a giorni di “allerta” (presenza in base per garantire la difesa dell’ installazione ). Ogni anno erano previste esercitazioni NATO, sottoposte alla valutazione di gruppi di valutatori delle forze dell’Alleanza atlantica. Era uguale ad alcuni reparti dell’Esercito italiano, tipo lagunari e paracadutisti. Reparti, comunque, destinati a operare sempre in condizioni di allerta e in servizi armati”.
Va da sé che la posizione ricoperta dall’aviere Bertelegni e dai suoi commilitoni è molto diversa da quella di tanti altri ragazzi che, al pari dei “generici”, espletano compiti più semplici, legati magari alla logistica.
Nei suoi ricordi, poi, ricorrono per ben due volte i parà che, come noto, sono uniti fra loro da profondo cameratismo che sopravvive alla ferma grazie anche all’associazionismo che tiene uniti gli i congedati sul territorio nazionale e sul Web.
Dunque, una nostalgia dettata dallo spirito di appartenenza e dalle emozioni, positive, suscitate dal contesto umano vissuto a 20 anni. Ma le emozioni sono un conto, le convinzioni un altro: di fronte alla necessità di avere Forze Armate con personale qualificato per arginare minacce sempre più complesse e articolate, il concetto di esercito di massa decade.
Se poi ci aggiungi che il Libro Bianco della Difesa prevede una riduzione del 25% dell’organico entro il 2024, un ritorno alla leva obbligatoria è pura utopia.