Francia: Bernard Squarcini, una carriera, una condanna e legami tra Servizi Segreti e interessi privati

Di Giuseppe Gagliano 

PARIGI. Bernard Squarcini è un ex funzionario dell’Intelligence francese noto per aver guidato i Servizi segreti interni (DCRI, poi DGSI) dal 2008 al 2012.

ernard Squarcini è un ex funzionario dell’Intelligence francese

 

In questi giorni, il suo nome è tornato alla ribalta per una condanna in primo grado a seguito di un clamoroso processo: Squarcini è stato giudicato colpevole di aver abusato della sua posizione e dei suoi contatti nell’apparato di sicurezza per fini privati.

Questo caso – culminato in una pena detentiva e in sanzioni pecuniarie – ha acceso i riflettori sui delicati rapporti tra potere pubblico e interessi privati in Francia, sollevando interrogativi sulle implicazioni legali e politiche di tali legami.

Di seguito si analizzano in dettaglio la carriera di Squarcini, le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto (con particolare attenzione alla recente condanna) e il contesto più ampio in cui si inserisce questa vicenda.

Carriera nei Servizi segreti interni

Originario della Corsica e nato nel 1955, Bernard Squarcini ha dedicato gran parte della sua vita professionale alla sicurezza interna francese.

Dopo una lunga carriera nelle Forze di Polizia e nei Servizi informativi, nel 2007 fu nominato direttore della DST (Direction de la Surveillance du Territoire), il Servizio segreto interno dell’epoca, sotto la Presidenza di Nicolas Sarkozy.

 

L’ex Presidente francese Nicolas Sarkozy.

 

L’anno seguente, con la riforma che accorpò DST e Renseignements Généraux, Squarcini divenne il capo della nuova DCRI (Direction Centrale du Renseignement Intérieur), incarico che mantenne dal 2008 fino al 2012.

In quei anni, Squarcini si costruì la reputazione di “Lo Squalo”, soprannome guadagnato per la sua spietatezza contro chiunque intralciasse i suoi obiettivi.

Considerato un fedelissimo di Sarkozy, era parte di una ristretta cerchia di uomini di fiducia dell’allora Presidente.

Durante la sua direzione, la DCRI affrontò sia minacce terroristiche interne sia dossier politici sensibili.

Una vicenda emblematica del suo mandato fu la cosiddetta “affaire des fadettes” (lo scandalo delle fatture telefoniche) del 2010:.

La DCRI, invocando ragioni di sicurezza nazionale, acquisì illegalmente i tabulati di un giornalista di Le Monde per identificare la fonte di fughe di notizie sul caso Bettencourt (uno scandalo politico-finanziario che coinvolgeva membri del Governo).

Questa operazione sollevò polemiche sul rispetto della libertà di stampa e sull’uso improprio degli apparati di sicurezza per proteggere interessi politici.

Anni dopo, nel 2014, Squarcini è stato riconosciuto colpevole in tale vicenda e condannato a pagare 8 mila euro di multa per raccolta illecita di dati personali, avendo ammesso di aver agito allo scopo di scovare una “talpa” nelle istituzioni e tutelare l’Esecutivo dell’epoca.

Già in questa fase, dunque, emergeva il profilo di un alto funzionario disposto a spingersi ai limiti (e oltre) del lecito per servire il potere costituito.

Nel maggio 2012, con l’alternanza politica all’Eliseo (l’elezione di François Hollande), Squarcini venne destituito dalla guida dell’Intelligence interna.

Si concludeva così la sua carriera al servizio dello Stato, ma di lì a poco avrebbe intrapreso un percorso controverso nel settore privato, mettendo a frutto – in maniera considerata discutibile – l’esperienza e la rete di contatti maturate nelle istituzioni.

Dal Servizio pubblico al Settore privato: l’Agenzia “Kyrnos” e i nuovi clienti

Dopo l’uscita dalla DCRI, Squarcini si reinventò come consulente privato nel campo della sicurezza e dell’intelligence economica.

Nel 2013 fondò una propria società, Kyrnos, attraverso la quale iniziò a offrire servizi di raccolta informazioni e advisory a grandi gruppi industriali.

In pratica, ciò che aveva fatto per anni nel pubblico – ossia raccogliere informazioni riservate – divenne ora un business al servizio di interessi privati.

Le inchieste giudiziarie hanno poi rivelato che Squarcini “ha continuato a fare nel privato… quello che sapeva fare meglio: raccogliere informazioni confidenziali per metterle a disposizione di chi si rivolgeva a lui”, sfruttando la sua estesa rete di conoscenze nella polizia e nei Servizi segreti.

Tra i clienti di punta di Kyrnos emersero nomi di primo piano.

In particolare, il più grande gruppo mondiale del lusso  e una multinazionale del tabacco risultano essere stati tra coloro che si avvalsero dei Servigi del “superpoliziotto” Squarcini.

Ufficialmente, era stato assunto come consulente con l’incarico di potenziare le attività di antipirateria e di anticontraffazione – questioni cruciali per un impero del lusso che deve difendere i propri marchi.

Dietro questa facciata legittima, però, Squarcini avrebbe svolto una serie di operazioni parallele, molte delle quali al limite (o oltre) della legalità, tutte finalizzate a proteggere gli interessi del suo facoltoso cliente.

Come vedremo, fu proprio questo stretto con quanto sopra scritto a mettere Squarcini nei guai con la giustizia.

Va osservato che il passaggio di alti funzionari dell’apparato statale al settore privato – fenomeno noto in Francia come pantouflage – non è di per sé insolito.

Tuttavia, il caso Squarcini ha evidenziato in maniera estrema i rischi di conflitto d’interessi insiti in tali transizioni, specie quando l’ex dirigente continua a “intascare favori” attingendo al patrimonio informativo e relazionale accumulato mentre era servitore dello Stato.

Già a partire dal 2013-2014, i comportamenti di Squarcini erano sotto l’attenzione degli inquirenti, sospettosi che l’ex capo della DCRI stesse sfruttando i suoi réseau (reti di contatto) istituzionali per offrire indebiti vantaggi ai suoi nuovi datori di lavoro.

Il rapporto con le aziende del lusso

Bernard Arnault è l’uomo più ricco di Francia (e tra i più ricchi al mondo) e nel corso degli anni non sono mancate speculazioni sui suoi rapporti con la politica e lo Stato. ù

L’assunzione di Squarcini come consulente di sicurezza delle aziende del Gruppo di Arnault rientra in una strategia volta a dotarsi di “armi” non convenzionali per tutelare gli interessi del Gruppo.

Secondo l’Agenzia Reuters, Squarcini venne formalmente ingaggiato nel 2013, subito dopo la sua uscita dall’Intelligence francese.

Da quel momento, divenne l’uomo-ombra di Arnault per le questioni più delicate, un ruolo che lo portò a occuparsi sia di problemi personali del patron, sia di minacce reputazionali per l’azienda.

Le vicende emerse in sede giudiziaria mostrano almeno due grandi filoni di intervento di Squarcini in favore di del Gruppo Arnault.

Già quando era ancora in carica come capo del controspionaggio interno, Squarcini mise le risorse del servizio a disposizione di Arnault per fronteggiare un tentativo di estorsione.

Nel 2008, infatti, Bernard Arnault ricevette email minatorie da parte di ignoti che minacciavano di rivelare informazioni compromettenti, a meno di ottenere denaro.

Invece di lasciare la questione alla sola giustizia ordinaria, Squarcini attivò alcuni agenti della DCRI per individuare i ricattatori.

Nello specifico, fu organizzata una sorveglianza (appostamenti presso un internet café di Aix-en-Provence) per risalire all’identità di chi inviava le email estorsive.

Squarcini ha difeso a posteriori questa operazione sostenendo che rientrava nella tutela degli “interessi economici francesi” – lasciando intendere che l’incolumità e la reputazione di un grande industriale come Arnault fossero affare di sicurezza nazionale.

Tuttavia, per la magistratura tale intervento costituì un uso indebito di risorse pubbliche a vantaggio di un privato, tanto che la vicenda è rientrata nel capo d’imputazione del processo concluso nel 2025.

In altre parole, il Tribunale ha stabilito che Squarcini piegò strumenti dello Stato (agenti e mezzi investigativi) per risolvere un problema personale di Arnault, configurando un abuso.

Una volta passato a libro paga,, Squarcini avrebbe orchestrato una vera e propria operazione di spionaggio privato ai danni di individui percepiti come ostili al Gruppo Arnault.

Il caso più emblematico – definito dagli inquirenti come “l’atto più eclatante” – riguarda la sorveglianza occulta del giornalista e attivista François Ruffin e del suo piccolo team della rivista satirica Fakir.

Ruffin, allora poco noto al grande pubblico, stava girando un documentario intitolato “Merci Patron!” (Grazie, capo!) che prendeva di mira proprio Bernard Arnault, raccontando in tono ironico le disavventure di ex operai licenziati dalle aziende fornitrici del Gruppo.

Inoltre, Ruffin e altri militanti di sinistra progettavano azioni dimostrative durante le assemblee degli azionisti del 2013, per mettere in imbarazzo il tycoon del lusso.

Per neutralizzare queste iniziative sgradite, il Gruppo – tramite Squarcini – avrebbe infiltrato un agente nella redazione di Fakir e monitorato da vicino le mosse di Ruffin.

L’operazione di sorveglianza clandestina sarebbe durata circa tre anni (2013-2016) e, secondo quanto emerso in giudizio, costò al Gruppo oltre 2 milioni di euro in pagamenti a consulenti e informatori.

Tutto ciò, naturalmente, avvenne al di fuori di qualsiasi quadro legale: di fatto Squarcini mise in piedi, per conto del Gruppo di Arnault, una micro-struttura d’Intelligence parallela che spiava cittadini francesi (giornalisti e attivisti) colpevoli soltanto di esercitare il diritto di critica e protesta.

Questa attività configura reati gravi come violazione della privacy, sorveglianza illegale e raccolta illecita di informazioni su individui privati, capi d’accusa anch’essi presenti nel processo.

Oltre a questi due filoni principali, dalle indagini sono emersi ulteriori favori che Squarcini avrebbe fatto ai suoi committenti privati.

Per esempio, risulta che abbia attinto alle sue fonti all’interno delle forze di sicurezza per ottenere dettagli coperti da segreto istruttorio su indagini sensibili riguardanti il Gruppo.

Inoltre, avrebbe fatto valere il proprio peso istituzionale per facilitare pratiche amministrative come il rilascio di passaporti e visti per personaggi vicini al Gruppo Arnault (o ad altri clienti influenti).

Questi episodi dipingono un quadro in cui l’ex capo dei servizi interni operava come problem solver personale del gotha economico francese, muovendosi in una zona grigia tra legale e illegale.

Dal canto suo, Bernard Arnault ha sempre negato di aver commissionato o anche solo saputo di tali attività illegali.

Convocato come testimone nel processo Squarcini, Arnault si è dichiarato “assolutamente all’oscuro” delle operazioni di spionaggio, attribuendone la responsabilità al suo ex braccio destro, Pierre Godé, vice presidente all’epoca dei fatti (deceduto nel 2018).

Arnault ha anzi accusato François Ruffin di strumentalizzare il caso a fini politici e mediatici, respingendo ogni addebito personale.

Resta il fatto che il Gruppo – in qualità di persona giuridica – è stata coinvolto nell’inchiesta: per evitare un processo penale a suo carico, nel 2021 ha sottoscritto una Convention Judiciaire d’Intérêt Public (patteggiamento previsto dal diritto francese) accettando di pagare 10 milioni di euro e chiudere così il procedimento a suo carico, senza ammettere colpa.

Questo accordo transattivo, omologa francese del cosiddetto Deferred Prosecution Agreement, ha di fatto messo al riparo il Gruppo (e i suoi dirigenti) da ulteriori rischi penali legati al caso, lasciando Squarcini e gli altri intermediari ad affrontare direttamente le conseguenze giudiziarie delle operazioni compiute.

L’inchiesta e il processo: dalle indagini preliminari alla sbarra

Le prime avvisaglie dell’inchiesta su Squarcini emersero a margine di altri scandali politico-finanziari.

Nel 2013, durante le indagini sul finanziamento libico della campagna presidenziale di Sarkozy del 2007 (il cosiddetto affaire Gheddafi) venne rinvenuto un rapporto interno potenzialmente esplosivo.

Quel rapporto, poi “riesumato” dagli inquirenti, evidenziava come Squarcini avesse utilizzato la sua influenza e i suoi contatti nella Polizia “a fini privati” – espressione chiave – sia per servire le aziende clienti sia per far pervenire informazioni segrete all’entourage di Sarkozy.

In particolare, si scoprì che Squarcini aveva passato a esponenti sarkozysti degli aggiornamenti riservati sull’inchiesta Cahuzac (dal nome dell’ex ministro del Bilancio Jérôme Cahuzac, travolto nel 2013 dallo scandalo di un conto segreto all’estero).

In pratica, l’ex capo dei servizi interni continuava ad agire da “informatore” per gli ex colleghi al potere, segno di una continuità opaca tra il vecchio network politico e la sua nuova attività privata.

Forte di questi indizi, la Police des Polices (IGPN, Ispettorato Generale della Polizia) avviò un’indagine dedicata.

Nel settembre 2016 scattò un’operazione clamorosa: Bernard Squarcini fu arrestato e posto in stato di fermo (garde à vue) insieme ad altre figure di spicco, tra cui l’ex capo della Polizia giudiziaria di Parigi, Christian Flaesch (anche lui vicino a Sarkozy).

Successivamente, Squarcini fu formalmente messo sotto inchiesta (mis en examen) da parte del giudice istruttore per una serie di ipotesi di reato: traffico di influenze, violazione del segreto istruttorio, compromissione del segreto di difesa e intralcio alla giustizia.

Tali capi d’accusa riflettevano l’ampiezza delle presunte malefatte: dal mercanteggiare favori sfruttando il proprio ruolo, al divulgare informazioni coperte da segreto, fino all’interferire attivamente in indagini in corso. Vale la pena notare che tra gli altri indagati figurava anche un funzionario in servizio alla DGSI (l’Agenzia erede della DCRI) accusato di aver passato informazioni protette a Squarcini, nonché due dirigenti della sicurezza interna di LVMH sospettati di complicità e lo stesso Christian Flaesch, segno che l’“operazione Squarcini” coinvolgeva una rete più vasta di complicità tra ambienti pubblici e privati.

Il procedimento giudiziario è avanzato lentamente, data la complessità del caso e la mole di intercettazioni e documenti da analizzare.

Solo nel tardo 2024 si è arrivati al processo dinanzi al Tribunale correzionale di Parigi.

Oltre a Squarcini, sul banco degli imputati sedevano altre 9 persone, a conferma del carattere sistemico delle pratiche sotto accusa.

Tra questi coimputati vi erano un ex magistrato (Laurent Marcadier), un Prefetto (Pierre Lieutaud) e alcuni consulenti privati dell’area intelligence economica.

In totale, a Squarcini venivano contestati 11 capi d’imputazione, tra cui traffico di influenza (in forma passiva, ossia per aver accettato favori o incarichi in cambio del proprio intervento), compromissione del segreto di Stato, violazione del segreto professionale, appropriazione indebita di fondi pubblici e altri.

Durante il dibattimento, la pubblica accusa ha descritto l’ex “superpoliziotto” come un “alto funzionario emerito” che però ha tradito i suoi doveri piegandoli a interessi privati, sottolineando la gravità di comportamenti che minano la fiducia nelle istituzioni.

Il processo ha prodotto momenti di forte risonanza mediatica.

La condanna del 2025 e i reati contestati

Il verdetto è giunto ieri.

Il Tribunale di Parigi ha riconosciuto colpevole Bernard Squarcini per diversi reati chiave, sancendo una condanna significativa, sebbene inferiore alle richieste dell’accusa.

Nello specifico, a Squarcini sono stati inflitti 4 di reclusione, di cui due anni da scontare (in regime di detenzione domiciliare con braccialetto elettronico) e due anni con la condizionale.

Inoltre, è stata comminata una multa di 200 mila euro e un’interdizione di 5 anni dallo svolgere incarichi pubblici o attività affini alla sicurezza.

I legali di Squarcini hanno immediatamente annunciato ricorso in appello, contestando il verdetto e denunciando presunte parzialità nell’istruttoria.

Ciò significa che la vicenda giudiziaria non è ancora definitivamente chiusa.

Tuttavia, la sentenza di primo grado rappresenta già un forte segnale di censura nei confronti dell’ex capo dei Servizi.

Tra gli illeciti accertati dalla Corte rientrano in primo luogo il traffico di influenza e la violazione del segreto professionale.

Il giudizio ha stabilito che Squarcini ha sfruttato le sue reti di contatto e il suo ascendente negli apparati statali per ottenere informazioni riservate e favorire determinati personaggi, “tra cui Bernard Arnault”, in cambio di benefici o incarichi ben remunerati.

Questa condotta configurava appunto il reato di traffico di influenze, poiché l’imputato ha agito da intermediario corrotto tra l’entourage del Gruppo e pubblici ufficiali ancora in servizio (i quali gli fornivano dati confidenziali).

In parallelo, l’utilizzo di documenti coperti da segreto di difesa o istruttorio al di fuori del loro contesto legale ha portato alla condanna per compromissione del segreto e détournement (distrazione) di risorse pubbliche.

Il Tribunale ha ritenuto provato, ad esempio, che Squarcini mobilitò illegalmente agenti di Polizia e informazioni coperte da segreto per aiutare Arnault sia nel caso dei ricatti del 2008 sia in altre vicende.

Inoltre, la corte ha riconosciuto la complicità di Squarcini nella sorveglianza illecita di François Ruffin e dei membri di Fakir tra il 2013 e il 2016.

Pur non essendo un agente pubblico in quegli anni, Squarcini ha comunque violato le leggi sulla privacy e lo ha fatto su mandato di un soggetto privato, il che costituisce un fatto senza precedenti a questi livelli.

Va detto che non tutte le accuse originarie hanno retto fino in fondo: su alcuni dei 11 capi d’imputazione iniziali vi sono state assoluzioni o riqualificazioni giuridiche.

Ciò nonostante, i giudici hanno confermato gli elementi centrali del teorema accusatorio, infliggendo pene afflittive.

Degli altri coimputati, alcuni sono stati condannati a loro volta (ad esempio l’ex magistrato Marcadier, secondo la stampa francese, è stato sanzionato per aver passato informazioni a Squarcini), mentre altri potrebbero aver beneficiato di assoluzioni parziali – dettagli che emergeranno più chiaramente con le motivazioni complete della sentenza.

Il nome eccellente assente dal novero degli imputati è stato, come già sottolineato, quello di Bernard Arnault.

Questo aspetto non è passato inosservato nei commenti a margine: l’avvocato di Ruffin ha espresso soddisfazione per la decisione ma ha “deplorato l’assenza di Monsieur Arnault tra i prevenuti”, lasciando intendere che in un caso del genere il committente ultimo delle operazioni discutibili avrebbe dovuto rispondere in prima persona.

Dal punto di vista strettamente giudiziario, tuttavia, la posizione di Arnault era stata “sterilizzata” dall’accordo del 2021 tra il Gruppo e la Procura.

Resta dunque Squarcini a pagare il prezzo più alto di tutta la vicenda, insieme ad alcuni esecutori materiali.

La condanna di Squarcini rappresenta un precedente storico: mai prima d’ora un ex capo dell’Intelligence interna francese era finito in tribunale per fatti di corruzione legati al settore privato, né tantomeno condannato a una pena detentiva.

Si tratta, come lo stesso Ruffin ha commentato, di un vero e proprio “richiamo all’ordine” nei confronti di prassi fin troppo disinvolte tra élite della sicurezza e grandi gruppi di potere.

Implicazioni legali e politiche del caso

Le ripercussioni di questa sentenza vanno oltre la persona di Squarcini, toccando temi di principio nel rapporto tra Stato, legge ed economia.

Legalmente, il verdetto ribadisce che nemmeno i più alti gradi della sicurezza nazionale sono al di sopra della legge: utilizzare incarichi pubblici o relazioni istituzionali per fini privati costituisce reato, e può portare a condanne esemplari anche molti anni dopo i fatti.

La giustizia francese ha voluto lanciare un messaggio chiaro di tolérance zéro verso la corruzione e il traffico di influenze nei circuiti del potere.

Ciò potrà fungere da deterrente per altri funzionari tentati dal sfruttare il proprio ruolo a beneficio di amici potenti o datori di lavoro post-carriera.

Si rafforza, insomma, il principio che l’imparzialità e la correttezza dei servitori dello Stato vanno preservate anche dopo la fine del servizio attivo: portarsi dietro segreti d’ufficio e metterli sul mercato è un tradimento perseguito penalmente.

La sentenza Squarcini ha inoltre riacceso il dibattito sugli strumenti giudiziari come le “convenzioni d’interesse pubblico” (CJIP).

Il Gruppo ha pagato 10 milioni di euro ed evitato il processo.

Alcuni commentatori sottolineano che ciò evidenzia un doppio binario: le persone fisiche affrontano il carcere, mentre le grandi società possono, pagando, girare pagina senza ammendere pubblicamente le proprie responsabilità.

Dal punto di vista politico, figure come François Ruffin (ora deputato de La France Insoumise) hanno cavalcato questa narrazione per denunciare un sistema indulgente con i “poteri forti”.

Ruffin ha portato il caso all’attenzione del Parlamento per chiedere maggiore trasparenza nei rapporti tra aziende strategiche e apparati statali (concetto sostenuto anche nella sua arringa dall’avvocato di Ruffin, che ha parlato di “collusione” sistemica).

In termini più ampi, lo scandalo Squarcini mette a nudo una fragilità del sistema di pesi e contrappesi in Francia.

Da un lato, infatti, esiste una lunga tradizione di cooperazione tra lo Stato e le grandi imprese nazionali per perseguire l’intérêt général (si pensi all’intelligence économique promossa dallo stesso Stato per proteggere le aziende francesi dalla concorrenza sleale o dallo spionaggio industriale estero).

Dall’altro lato, il confine tra interesse nazionale e interesse privato può facilmente sfumare, soprattutto quando i protagonisti appartengono a cerchie ristrette dove tutti si conoscono.

Il caso in questione mostra come la ragion di Stato possa essere invocata impropriamente per coprire affari privati: Squarcini giustificò le sue azioni parlando di “sûreté de l’État” (sicurezza dello Stato), ma la Procura ha evidenziato che in realtà si trattava di evitare imbarazzi a un ministro o a un imprenditore.

Questo tipo di giustificazione abusiva è estremamente pericoloso perché mina la credibilità delle istituzioni: se ogni intervento illegale venisse scusato in nome di un presunto superiore interesse della Nazione, lo Stato di diritto ne uscirebbe eroso.

Politicamente, l’affaire Squarcini ha creato imbarazzo trasversale.

Ha indirettamente riaperto pagine oscure dell’era Sarkozy (della cui “sarkozia” Squarcini e Flaesch erano definiti pasdaran e simboli di un potere in declino) mostrando quanto in profondità fossero radicate certe pratiche.

Ma ha anche toccato l’era attuale, visto che il Gruppo di Arnault – pilastro dell’economia francese – gode di rapporti quantomeno cordiali con qualunque Governo in carica.

L’Eliseo e Palazzo Matignon hanno mantenuto un basso profilo pubblico sulla vicenda; tuttavia, c’è consapevolezza che scandali del genere alimentano la sfiducia popolare verso le élite e il sentimento che esista una giustizia a doppio standard (dura con alcuni, accomodante con altri).

Il Palazzo dell’Eliseo, sede del presidente della Repubblica francese

 

In un periodo in cui in Francia il dibattito sulle disuguaglianze e sul ruolo degli ultraricchi è acceso, vicende come quella di Squarcini forniscono argomenti ai populisti e ai critici dell’establishment.

Legami tra potere pubblico e interessi privati: contesto ed episodi simili

Il rapporto incestuoso tra figure delle istituzioni e grandi interessi privati non è una novità nella storia francese, ma il caso Squarcini rappresenta un episodio particolarmente illuminante di tale fenomeno.

In Francia esiste una consolidata pratica per cui alti dirigenti dello Stato passano al settore privato (specialmente grandi imprese o banca/finanza) dopo la fine della loro carriera pubblica – il già citato pantouflage.

Spesso questo avviene alla luce del sole e con benefici reciproci: l’azienda si assicura competenze e relazioni ai massimi livelli, mentre l’ex funzionario ottiene remunerazioni ben superiori a quelle percepite nel pubblico impiego.

Tuttavia, quando queste relazioni sconfinano nell’illecito, si creano scandali destinati a lasciare il segno.

Un precedente eclatante in ambito di sicurezza riguarda ad esempio il “caso EDF-Greenpeace” del 2011.

È emerso allora che Électricité de France (EDF), colosso energetico a partecipazione statale, aveva assunto ex agenti dei Servizi segreti per spiare e hackerare i computer di Greenpeace, al fine di anticipare le mosse dell’organizzazione ambientalista che osteggiava i programmi nucleari francesi.

La vicenda sfociò in un processo: EDF fu multata per 1,5 milioni di euro e alcuni responsabili (tra cui un ex membro della DGSE coinvolto nell’hacking) furono condannati penalmente.

Questo episodio presenta paralleli con l’affaire Squarcini: in entrambi i casi, risorse parastatali o ex statali sono state usate per condurre operazioni di intelligence contro civili (giornalisti, attivisti) su mandato di soggetti economici potenti.

La differenza è che nel caso EDF si trattava di proteggere un’azienda da azioni dimostrative di ONG ambientaliste, mentre Squarcini ha protetto un singolo magnate da contestazioni e scandali mediatici.

Ciò che li accomuna è l’ombra di un “Stato parallelo” in cui chi detiene ricchezza o influenza può ottenere servizi di sorveglianza occulta e informazioni riservate facendo leva su conoscenze ai vertici.

Un altro caso celebre risale agli anni ’80, le intercettazioni dell’Eliseo sotto la Presidenza di François Mitterrand.

L’ex Presidente francese Francois Mitterand

 

In quel frangente, un’unità segreta dipendente direttamente dall’Eliseo mise sotto controllo i telefoni di giornalisti, attivisti e perfino celebrità, in assenza di qualsiasi base legale, ufficialmente per motivi di “sicurezza dello Stato” ma in realtà spesso per tutelare la vita privata del Presidente o prevenire scandali politici.

Quando lo scandalo venne a galla negli anni ’90, rivelò quanto facilmente strumenti di Stato fossero stati deviati per interesse privato (in quel caso, l’interesse personale del capo di Stato) – un precedente che riecheggia nelle azioni di Squarcini, sebbene il contesto fosse diverso. Anche in quel caso, comunque, ci furono procedimenti giudiziari e condanne, a riprova che il sistema democratico possiede gli anticorpi (mediatici e giudiziari) per far emergere e sanzionare gli abusi, sebbene spesso con anni di ritardo.

Da menzionare è pure l’Affaire Benalla del 2018, sebbene di natura un po’ diversa: Alexandre Benalla, un addetto alla sicurezza del Presidente Macron, fu sorpreso a esercitare funzioni di Polizia (arrivando a malmenare manifestanti durante una protesta) senza averne l’autorità, e si scoprì godere di privilegi e coperture anomale all’Eliseo.

Pur non coinvolgendo interessi economici esterni, il caso Benalla ha alimentato il discorso sui circoli ristretti di potere e sulla confusione di ruoli tra pubblico e privato (Benalla era una guardia del corpo che agiva come se fosse un alto funzionario di Polizia).

La somiglianza con Squarcini sta nel senso di impunità e onnipotenza percepito da chi opera vicino ai vertici dello Stato, tale da indurlo a violare le regole confidando in protezione dall’alto. Entrambi i casi hanno scosso l’opinione pubblica, mostrando volti opachi della gestione del potere in Francia.

Inoltre, il nome di Squarcini compare in vari capitoli giudiziari legati all’era Sarkozy, a suggerire che il suo operato privato fosse parte di un quadro più ampio di “rete di potere”.

Come notato da analisti e giornalisti, l’arresto nel 2016 di Squarcini e di altri fedelissimi di Sarkozy (come Flaesch) segnò simbolicamente il tramonto di un sistema – soprannominato la Sarkozie – fatto di “contatti, amici, influenze e réseau” creato da Sarkozy sin da quando era ministro dell’Interno e consolidato durante la sua Presidenza.

n questo sistema, figure come Squarcini fungevano da nodi cruciali tra il livello politico, le forze di sicurezza e attori economici amici.

Il loro declino giudiziario indica non solo la punizione di singole condotte, ma anche lo smantellamento progressivo di quei circuiti informali di potere.

Ciò non implica che fenomeni analoghi non possano riprodursi sotto altre forme o con altri protagonisti, ma segnala un momento di discontinuità storica: la vecchia guardia viene rimpiazzata (non senza resistenze e colpi di coda) e contestualmente vengono riesaminati criticamente i legami torbidi tra pubblico e privato che essa incarnava.

In sintesi, il contesto francese ci consegna altri esempi in cui l’interferenza tra pubblico e privato ha generato scandali: dall’uso di fondi neri delle aziende petrolifere per finanziare politici (lo scandalo Elf negli anni ’90), agli arbitrati dubbi tra governo e grandi imprenditori (caso Tapie/Lagarde), fino alle vicende già citate.

Ogni volta, la lezione sembra essere che quando i confini si confondono, la fiducia nelle istituzioni ne risente gravemente. Il caso Squarcini si iscrive dunque in questa traiettoria, aggiornandola ai giorni nostri e coinvolgendo per la prima volta il delicato settore dell’intelligence.

Conseguenze per il settore sicurezza e Intelligence

L’impatto della vicenda Squarcini sul mondo della sicurezza e dell’Intelligence francesi non può essere sottovalutato.

Innanzitutto, essa costituisce un duro colpo reputazionale.

I Servizi segreti interni (DGSI) – già tradizionalmente poco trasparenti per ragioni di segretezza operativa – si trovano a dover gestire le conseguenze di avere avuto un capo coinvolto in attività criminali.

Anche se i fatti contestati sono avvenuti in parte dopo il suo addio all’Agenzia, l’opinione pubblica potrebbe interrogarsi su quali controlli e contrappesi interni esistano per prevenire derive simili.

La DGSI odierna dovrà probabilmente rafforzare i propri codici etici e i meccanismi di vigilanza sugli ex dipendenti che intraprendono carriere nel privato.

Ad esempio, potrebbe essere invocata l’introduzione (o il più severo rispetto) di periodi di “cooling-off” durante i quali un ex dirigente non può assumere incarichi in aziende su cui aveva potere decisionale o informativo durante il servizio. Misure del genere sono già previste per altre categorie (es. ex ministri o alti magistrati), ma la vicenda in questione suggerisce di estenderle con maggiore rigore agli 007 che passano al privato.

In secondo luogo, la condanna di Squarcini può spingere a un riesame delle pratiche di collaborazione tra intelligence e settore economico.

In Francia esiste una forte integrazione tra sicurezza nazionale ed economia (basti pensare all’Ufficio Intelligence Economica creato presso l’Eliseo nei primi anni 2000).

È prassi che i servizi condividano informazioni con aziende strategiche per proteggerle da minacce (cyber attacchi, spionaggio industriale straniero, terrorismo, ecc.).

Il confine con la “sicurezza privata” però deve restare netto: il caso Squarcini mostra il rischio di deriva quando singoli attori utilizzano mezzi pubblici per scopi di business o personali.

Probabilmente il Ministero dell’Interno e quello della Difesa (da cui dipendono i Servizi segreti) vorranno ribadire linee guida chiare: ad esempio, definire quali tipi di assistenza possono essere fornite legalmente alle imprese (p.es. allerta su minacce terroristiche) e quali invece sconfinano nell’indebito (per esempio identificare un giornalista scomodo per conto di un’azienda, come avvenuto con Ruffin, è fuori discussione).

È lecito attendersi che, almeno nel breve periodo, i dirigenti attuali della DGSI e della DGSE adotteranno un atteggiamento più prudente e distaccato verso le richieste informali provenienti dai vertici industriali.

Un altro effetto potrebbe riguardare il personale stesso dei Servizi: il caso mette in guardia anche gli agenti operativi dal prestarsi a compiti non autorizzati.

Nel dossier Squarcini c’è traccia di poliziotti che passarono informazioni o parteciparono a missioni non ufficiali su richiesta dell’ex direttore.

Questi funzionari infedeli sono stati identificati e perseguiti, e ciò lancerà un monito interno.

La “loyalty” (fedeltà) richiesta agli 007 non è verso l’ex capo o verso amicizie personali, ma verso le istituzioni democratiche e le leggi:

il processo Squarcini lo ha affermato in modo inequivocabile.

Si può ipotizzare che vi saranno circolari interne e formazioni deontologiche volte a ribadire tali principi, per evitare che il senso di corpo degenera in omertà o coperture reciproche di atti illeciti.

Infine, dal punto di vista sistemico, il caso potrebbe dare impulso a un rafforzamento degli organi di controllo esterni sui Servizi segreti.

La Francia dispone dal 2015 di una Delegazione parlamentare all’Intelligence, deputata a vigilare – per quanto possibile – sulle attività dei Servizi.

Vicende come questa potrebbero motivare il Parlamento a chiedere conto al Governo di come si intenda prevenire il ripetersi di abusi.

Anche se la gran parte dei fatti di cui parliamo riguarda un ex agente, le Camere potrebbero voler capire se ci sono vulnerabilità normative da colmare.

Ad esempio: bisogna ampliare il divieto per gli ex 007 di utilizzare informazioni classificate dopo la cessazione dell’incarico?

Servono sanzioni più dure per chi, ancora in servizio, le dovesse passare a terzi non autorizzati?

Tali questioni rientrano in un discorso più generale di modernizzazione della governance dell’Intelligence in Francia, per conciliare efficacia operativa e stato di diritto.

Conclusioni

Il caso Bernard Squarcini costituisce un esempio emblematico delle insidie che si annidano all’incrocio tra pubblico e privato, soprattutto in settori delicati come l’Intelligence e la Sicurezza nazionale.

La carriera di Squarcini, da potente “shérif” dell’era Sarkozy a consulente per oligarchi, e infine imputato in Tribunale, è la parabola di un sistema di potere che ha spinto troppo oltre i propri privilegi.

La condanna del 2025 segna un punto fermo: l’uso personale o corporativo degli strumenti statali di coercizione e sorveglianza è inaccettabile e penalmente perseguibile.

Questo verdetto fornisce una forma di riscatto tardivo per le vittime di quelle operazioni (giornalisti spiati, cittadini schedati) e rinforza l’idea che in democrazia i conti, prima o poi, arrivano anche per chi è stato ai vertici.

Le implicazioni legali e politiche sono destinate a farsi sentire a lungo.

Da un lato, Squarcini dovrà rispondere delle proprie azioni e la sua vicenda fungerà da deterrente per altri funzionari tentati dalla “doppia carriera”.

Dall’altro, la politica e le istituzioni francesi sono chiamate a riflettere sui propri anticorpi: il Paese che ha inventato la parola “collusione” non può permettersi di abbassare la guardia su tali comportamenti, pena l’erosione della fiducia pubblica. Parallelamente, casi simili ricordano che anche i giganti economici devono sottostare alla legge e che avvalersi di barbouzes (barbutti, come in gergo si chiamano gli agenti deviati) può comportare conseguenze serie sul piano giudiziario e reputazionale.

In definitiva, la vicenda Squarcini-Arnault offre uno sguardo in profondità sui meccanismi di interazione tra potere statale e grandi interessi privati in Francia.

Mette in luce le zone d’ombra, ne mostra i protagonisti e le connivenze, ma mostra anche la capacità delle istituzioni di auto-correggersi attraverso l’azione della magistratura e della stampa libera.

Le lezioni apprese da questo caso potrebbero portare a una più chiara delimitazione dei confini tra pubblico e privato nel settore dell’intelligence e a un rinnovato impegno per assicurare che i servitori dello Stato restino, in ogni fase, al servizio esclusivo dello Stato – e non di singoli individui, partiti o gruppi economici.

Solo così scandali del genere potranno essere evitati in futuro, preservando l’integrità delle istituzioni repubblicane.

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