Di Giuseppe Gagliano*
TOKYO. Nel cuore dell’Hokkaido, l’isola più settentrionale del Giappone, 300 soldati della Prima Brigata di artiglieria della Forza di autodifesa terrestre hanno lanciato, nei giorni scorsi, un missile Tipo 88 contro un bersaglio navale senza equipaggio, posto a 40 chilometri dalla costa.
Un’operazione tecnica, in apparenza. Ma in realtà un segnale politico chiaro, inequivocabile: il Giappone è pronto a combattere sul proprio territorio. E non ha più paura di mostrarlo.
Si tratta del primo test missilistico terra-nave condotto interamente all’interno dei confini nazionali.
Fino a oggi, le esercitazioni con armi a lungo raggio erano state relegate ai deserti australiani o alle basi statunitensi, dove le distanze e la discrezione erano più favorevoli.
Ma la realtà geopolitica ha costretto Tokyo a cambiare passo, e a tornare a guardare con lucidità il proprio perimetro difensivo.

L’ombra di Pechino (e Mosca)
L’obiettivo non è stato dichiarato.
Ma nessuno ha dubbi su chi sia il destinatario reale del messaggio. La Cina, definita nel 2022 dal Giappone come la “più grande sfida strategica”, intensifica ogni mese le sue manovre militari attorno alle isole giapponesi, spesso accompagnata da unità navali russe.
La minaccia non è più teorica: è operativa, quotidiana, tangibile.
Il portavoce del governo, Yoshimasa Hayashi, lo ha detto chiaramente: questi test servono a prepararsi a difendere “le isole e altre aree” in un “contesto di sicurezza estremamente difficile”.
La prudenza diplomatica ha imposto di evitare nomi. Ma la strategia di fondo è evidente: Tokyo vuole scrollarsi di dosso il ruolo di alleato passivo degli Stati Uniti e riappropriarsi di una propria postura attiva, autonoma, dissuasiva.
L’evoluzione dottrinale di Tokyo
Da quando ha rivisto la propria Costituzione pacifista nel 2022, il Giappone ha intrapreso una traiettoria di rafforzamento militare senza precedenti dal secondo dopoguerra.
Il test del Tipo 88 è solo un passo intermedio. I missili Tomahawk americani sono in arrivo, e i nuovi missili giapponesi Tipo 12 – con gittata da 1.000 km – promettono di trasformare l’arcipelago in una piattaforma avanzata per la proiezione di forza.
Il programma missilistico è strettamente legato a un cambio di filosofia strategica: dal contenimento passivo all’attacco preventivo in caso di minaccia imminente.
Non più semplice autodifesa, ma deterrenza attiva. Il progetto di costruzione di un poligono di tiro missilistico sull’isola disabitata di Minamitorishima – nel Pacifico occidentale – rientra in questo stesso schema: presidiare il vuoto prima che altri lo riempiano.
La stabilità attraverso la forza
Tokyo sa che non può più contare esclusivamente sull’ombrello americano, per quanto esso resti fondamentale.
L’aumento dei costi logistici (aggravato dal deprezzamento dello yen) e il ritorno della guerra convenzionale in Europa hanno accelerato la necessità di autonomia.
Il Giappone vuole essere credibile non solo come alleato, ma come potenza regionale in grado di difendere le proprie rotte, isole e confini.
Questa nuova postura non è priva di rischi.
Ma rappresenta un cambio di paradigma profondo: la fine dell’ambiguità pacifista e il ritorno, prudente ma deciso, alla geopolitica muscolare.
In una regione dominata dalle portaerei cinesi e dal silenzio complice di Mosca, il messaggio di Tokyo è chiaro: il tempo della prudenza strategica è finito.
*Presidente Centro Studi Cestudec
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