Di Alexandre Berthier
Roma. Nei libri dove ho studiato il diritto e la procedura penale, oltre quarant’anni or sono, ho riletto, scritte di mio pugno, due massime latine che non richiedono nessuna interpretazione per essere comprese: “ne cives ad arma veniant” e “fiat iustizia, ne perat mundus”(1)! Quindi, innanzi tutto la giustizia: pronta, severa, inflessibile.
E’ stato, ed è tuttora, un falso problema istituire e disciplinare la prescrizione (2). Occorrebbe preoccuparsi, invece, solamente di istituire un processo ed un sistema sanzionatorio che assolvano la loro primaria funzione: dare giustizia subito, a chi ne ha diritto, e punire i rei in modo certo.
Il maniacale rispetto delle formalità, l’asserita, cronica e forse voluta scarsa capienza delle carceri, certa assurda giurisprudenza nazionale ed internazionale che invoca principi astrusi oltre che astratti, l’incomprensibile volontà ferrea di rieducare comunque molti condannati che non vogliono essere rieducati, l’accettazione di aberrazioni giuridiche come il ricorso ai collaboratori di giustizia, indegne di un Paese civile, l’elaborazione di ridicole misure alternative alle pene detentive, la direzione delle indagini affidata ai magistrati anziché alle Polizie (3), et similia, sono la spia certa di un modo truffaldino, e comunque poco onesto, di intendere la giustizia.
Talché il cosiddetto legislatore deve ricorrere poi ad istituti discutibili come la prescrizione, per evitare che i processi siano troppo lunghi, col solo risultato di far scomparire i processi stessi e mandare liberi da ogni conseguenza coloro che hanno violato la legge penale e civile!
E’ proprio di questi giorni l’aspro confronto sull’ipotesi di bloccare la prescrizione dopo il giudizio di primo grado; una previsione di riforma peraltro già contemplata nel programma inserito nel famoso contratto del Governo giallo-verde. La polemica sorta attorno questa novità che novità non è, al solito ha visto confrontarsi con la consueta rissa verbale le forze di Governo, le opposizioni, l’avvocatura e le associazioni dei magistrati. Un confronto aspro e del tutto semi serio che ovviamente non ha portato a nulla e si è concluso con un si vedrà.
Ciò che è dato sapere è che la riforma della prescrizione dovrebbe divenire operativa dal 2020 e che entro il 2019 dovrebbe essere varata la riforma del processo penale, con lo scopo di rendere più celere ed efficace la macchina della giustizia. Un obiettivo da lungo tempo asseritamente da tutti ricercato ma di fatto da tutti assolutamente non voluto.
Certo è che il processo penale in vigore dal 1989 – varato dopo una gestazione di quasi 25 anni, scopiazzando malamente sistemi processuali altrui, lontanissimi dalla nostra cultura – si è rivelato assurdamente complesso, smodatamente garantista, disastroso nei risultati, inadeguato e assolutamente inefficiente.
Alla fine dovremo ringraziare questo “Governo del cambiamento” se veramente in un anno potremmo disporre di un nuovo codice e di un nuovo processo penale, che comunque sia non potrà mai essere peggiore di quello che abbiamo ora.
Certo, Napoleone in soli quattro mesi riuscì a far predisporre a quattro insigni giuristi il famoso Code Napoléon (http://www.treccani.it/export/sites/default/scuola/lezioni/storia/L_EREDITA_NAPOLEONICA_lezione.pdf), ponendo così una pietra miliare nella codificazione moderna, cui si ispirano oggi le codificazioni di quasi tutti i Paesi del mondo.
Noi – faro e culla del diritto – forti di tutti gli errori commessi nella legislazione processuale dagli anni ‘70 ad oggi dovremmo finalmente saper trovare un modello di amministrazione della giustizia semplice, efficace, veloce, magari con un giudice di prima istanza che funzioni 24 ore su 24, come un pronto soccorso ospedaliero e con molte funzioni sanzionatorie devolute direttamente anche agli organi di Polizia.
E’, infatti, agghiacciante constatare ogni giorno come anche le udienze penali innanzi i giudici di pace, che dovrebbero risolversi in poche battute, consentano ed agevolino persino invece plurimi rinvii che estendono incomprensibilmente all’infinito problematiche di minimo conto.
Dovremmo restituire finalmente la direzione e il coordinamento delle indagini alle Polizie e lasciare ai giudici solo il giudizio, dovremmo abbandonare l’inconcludente e fantasioso progetto di separazione delle carriere dei magistrati, destinando alle procure solo avvocati prescelti elettivamente nei circondari e nei distretti giudiziari, realizzando così la vera parità delle parti processuali.
Quindi, bando alle sciocchezze che ci vengono propinate ogni giorno dal primo che passa e cerchiamo di essere seri. Basta con sentenze con motivazioni di migliaia di pagine, inutili e che non interessano a nessuno. Basta con un’inutile azione penale obbligatoria che rende spesso la giustizia strumento di arbitrio di chi, non potendo o non volendo oggi fare fronte a tutte le istanze punitive, sceglie come più gli aggrada chi perseguire e chi non perseguire.
Basta con un’idea di giustizia totalmente astratta, fine a se stessa e, non infrequentemente, solo di chi la amministra, di fatto non in nome di quel povero e bistrattato popolo italiano che quasi mai si identifica in molte sentenze o nei molti mancati giudizi.
Insomma, chi sbaglia deve essere punito e la prescrizione non può essere di fatto lo strumento che serve solo a ridurre il numero dei processi, da un lato, e a sottrarre alla giusta pena ed al risarcimento dei danni, chi delinque.
Pure dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è stato dichiarato che in Italia esiste “un rischio sistemico di impunità”; per la verità si è trattato di una dichiarazione molto cortese e diplomatica.
Ovviamente, oltre a servire un nuovo processo penale, ed anche civile, occorrerebbe soprattutto che chi sarà incaricato di preparare la riforma non si ancori più alle prassi, alle tradizioni ed ai malcostumi sin qui seguiti, bensì ricerchi un sistema di giudizio assolutamente nuovo, semplice, se serve anche rudimentale e si auspichi che le funzioni giurisdizionali vengano esercitate in futuro da persone che siano solo semplici funzionari dello Stato, dei “civil servant”, con doveri e responsabilità ben definite.
1) Affinché i cittadini non vengano alle armi. Sia fatta giustizia perché non perisca il mondo.
2) La prescrizione è una causa di estinzione del reato. Così, trascorso un certo tempo senza che abbia avuto luogo il giudizio, lo Stato rinuncia a perseguire il responsabile che sarà dichiarato prosciolto “per prescrizione”. Nel tempo l’istituto della prescrizione ha subito diverse modifiche, sia per il computo del tempo che per i criteri adottati. La più conosciuta e recente riforma è quella nota come legge “ex Cirielli” (numero 251 del 2005) che riguardò anche l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
3) Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha ulteriormente aggravato i limiti purtroppo noti dell’esercizio delle funzioni di Polizia giudiziaria, ribadendo la illegittimità del tenere informati i vertici dei corpi di appartenenza sullo sviluppo delle indagini svolte.Sembrerebbe sfuggire alla Corte che dipendono esclusivamente dai Pubblici ministeri solo gli appartenenti alle sezioni di Polizia giudiziaria presso le Procure e le Procure generali. Le altre centinaia di migliaia di ufficiali ed agenti di Polizia Giudiziaria, dei Corpi di Polizia dello Stato, dipendono invece gerarchicamente dai loro superiori che hanno il diritto e soprattutto il dovere di conoscere l’operato dei dipendenti, per il quale sono responsabili. Ovvio, che chi dovesse fare uso indebito di tali informazioni dovrà essere perseguito, ma non per questo la linea gerarchica deve restare estranea alle attività svolte. Sarebbe una assurdità, un non senso.
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