Di Dario Gravina
Bologna. Appropriazione indebita e riciclaggio sono questi i capi d’imputazione che la Procura della Repubblica di Bologna contesta nei confronti di un noto imprenditore modenese – patron della squadra calcistica “Hellas Verona” – la cui posizione di fronte agli inquirenti balza clamorosamente fuori al termine dell’operazione “Scala Greca”, condotta dai finanzieri del capoluogo emiliano ed avviata nel 2020.
L’indagine ha preso le mosse da alcuni accertamenti che i finanzieri del locale Nucleo di Polizia Economico Finanziaria avevano compiuto nei confronti di due società bolognesi, che in epoca recente rientravano nella catena di controllo della società calcistica gialloblù ma che erano state raggiunte da sentenze di fallimento poi revocate – ad inizio 2021 – a seguito di un ricorso.
Gli approfondimenti contabili operati con grande minuziosità dagli investigatori della GDF bolognese, hanno tuttavia consentito di ricostruire integralmente i flussi finanziari e le altre operazioni societarie nel tempo intervenute che hanno attirato le attenzioni degli inquirenti, in special modo per l’esistenza di una partecipazione detenuta all’interno della “Hellas Verona Football Club S.p.A.” dalle suddette società, ma che negli anni era stata oggetto di vorticose operazioni infragruppo e rivalutazioni (nelle quali risultavano coinvolte anche società estere) che ne avevano poi, maniera strumentale quanto ingiustificata, determinato un aumento di valore.
Nel prosieguo di tale attività investigativa è stata altresì accertata una sofisticata operazione di autoriciclaggio per un importo ammontante a 6.500.000 euro, che secondo l’accusa avrebbe illecitamente distratto dalle casse della società calcistica scaligera sfruttando il suo doppio ruolo di amministratore nonché di socio unico.
Per gli inquirenti tutto quel denaro serviva per portare a compimento un complesso piano di ristrutturazione di una delle due società bolognesi in crisi, che ne avrebbe così dovuto evitare il fallimento; circostanza questa che avrebbe probabilmente comportato ad uno spossessamento della citata società di calcio militante in serie A e che, a quanto emerge dalle indagini, rappresenta l’unico ed autentico asset produttivo dell’intera catena societaria in questione.
Il quadro probatorio messo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria fa così trasparire una vera e propria operazione di “maquillage contabile” che l’imprenditore in questione aveva curato con l’obbiettivo di celare l’illecita origine delle somme di cui si era appropriato e che, in diversi documenti bancari e contabili, aveva indicato provenienti da una distribuzione di dividendi societari, mentre nella realtà si trattava d’una diversa disponibilità finanziaria accantonata in bilancio sotto forma di “riserva di versamenti soci in conto futuro aumento di capitale” e che, per inciso, non è distribuibile.
La descritta attività ha altresì visto l’esecuzione di un sequestro preventivo, che il GIP del Tribunale felsineo ha disposto al riguardo di disponibilità riconducibili al medesimo indagato per un valore di 6,5 milioni di euro, ovvero del corrispettivo delle somme che sono state oggetto delle indagini.
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