Guardia di Finanza: a Ravenna scoperti illeciti nelle forniture di DPI alle strutture sanitarie dell’Emilia Romagna. Sequestrati beni per 11 milioni di euro ritenuti profitto di contrabbando e truffa aggravati

Di Marco Lainati

Ravenna. Sono inquietanti gli esiti di una nuova indagine portata a termine dai finanzieri del Comando Provinciale di Ravenna i quali, sotto il coordinamento della Procura Europea – European Public Prosecutor’s Office (EPPO), hanno accertato come ingenti quantitativi di mascherine FFP2, importate dalla Cina durante la prima e più critica fase della pandemia da COVID-19 avvenuta a marzo 2020, siano state introdotte in Italia evadendo IVA e dazi doganali, commercializzate con prezzi aumentati a dismisura anche alle strutture sanitarie che ne avevano immediato bisogno, e peraltro neppure a norma atteso che si tratta di dispositivi di protezione individuale (DPI) con percentuali di filtraggio da agenti patogeni inferiori ad oltre dieci volte rispetto a quanto previsto dalle norme di riferimento.

Il sequestro delle mascherine da parte della GDF

È questa, in estrema sintesi, la summa di un ampio quanto ricco giro illecito che gli investigatori della GDF ravennate hanno scoperto in Emilia-Romagna, che segue ad alcuni mesi di distanza altri provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria culminati oggi con il sequestro di beni per oltre 11 milioni di euro e che gli inquirenti individuano quale profitto dei reati di contrabbando e truffa aggravata ai danni delle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna, al quale si unisce anche un ultimo sequestro da 3,5 milioni di mascherine.

Al momento sono due le persone che risultano indagate e che figurano come amministratori delle società coinvolte nella vicenda.

L’ingente sequestro in questione, eseguito dai militari delle fiamme gialle su ordine emesso dal GIP del Tribunale di Bologna, è infatti relativo ad una serie di importanti operazioni commerciali finalizzate all’importazione di DPI dalla Cina (periodo aprile/agosto 2020) su cui nello stesso anno erano state avviate indagini originate da un controllo effettuato nei confronti di una società avente sede a Faenza (Ravenna) la quale, oltre alle citate mascherine facciali, aveva curato l’importazione di altri DPI come tute e occhiali protettivi, visiere e calzari; il tutto per importi da decine di milioni di euro sfruttando la speciale procedura di “svincolo diretto” con la quale, proprio per questi particolari prodotti nel frattempo divenuti di urgentissima necessità, è prevista l’esenzione dai dazi doganali nonché dall’imposta sul valore aggiunto, a patto che tali DPI fossero però immediatamente consegnati (e senza alcun ricarico commerciale) alle strutture sanitarie pubbliche impegnate a fronteggiare la pandemia.

Secondo quanto appurato dai finanzieri, le descritte prescrizioni venivano però ed essere disattese ed aggirate dai responsabili attraverso la produzione di documenti falsificati, nonché con la consegna ritardata delle merci le quali, anziché essere immediatamente consegnate alle strutture della sanità pubblica che ne abbisognavano, transitavano prima da un’altra azienda (controllante dell’altra e riconducibile allo stesso legale rappresentante oggi indagato per contrabbando aggravato) dove subivano un sensibile rialzo sul prezzo.

Sulla vicenda giova ricordare con la Guardia di Finanza, già nella prima fase dell’indagine, avesse sottoposto a sequestro 2,5 milioni di DPI aventi un valore di mercato stimabile in 5.200.000 euro, accertando in un secondo tempo come almeno 1,4 milioni di mascherine FFP2 prive di idonea certificazione fossero state vendute all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, sulla quale ruotavano gli acquisti di tali dispositivi per l’intera struttura sanitaria dell’Emilia-Romagna.

Sulla base di tali elementi acquisti nel corso dell’indagine, sono così emerse le citate ipotesi di reato che ora la competente Autorità Giudiziaria contesta in capo all’amministratore delle società finite nell’inchiesta, nonché ad un membro del consiglio di amministrazione.

Da rilevare, altresì, come le perizie tecniche compiute susseguentemente ai citati sequestri abbiano dimostrato come le mascherine in questione disattendessero completamente i parametri di penetrazione del materiale filtrante previsti dalla norma di riferimento, arrivando addirittura ad una possibile penetrazione di agenti patogeni del 73% mentre la percentuale prevista non deve superare la soglia del 6%.

Sugli oltre 11 milioni di beni sequestrati, gli investigatori calcolano che circa 4,2 milioni siano da considerarsi profitti conseguiti dal reato di contrabbando derivante dai dazi doganali e dall’IVA evasi, mentre più 7 milioni sarebbero il provento ottenuto dagli episodi di truffa aggravata che sono pari al prezzo riscosso per le mascherine non filtranti (peraltro scortate da certificazioni di conformità “CE” false) commercializzate a più riprese dai responsabili.

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