Guardia di Finanza: Firenze, operazione “Minerva”, le mani del clan dei Casalesi su attività imprenditoriali in Toscana. Eseguite 34 misure cautelari e sequestri di beni per 8,3 milioni di euro

Di Antonio Leone

Firenze. Trentaquattro misure cautelari e sequestri patrimoniali ai sensi della normativa antimafia per oltre 8.000.000 di euro; sono questi i tratti principali dell’operazione “Minerva” condotta dai finanzieri del Comando Provinciale di Firenze e da quelli del Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) i quali, coordinati dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), hanno stroncato i remunerativi business illeciti realizzati in territorio toscano da soggetti contigui al famigerato clan camorristico dei Casalesi.

Le attività in parola, che oltre alla provincia di Firenze hanno interessato anche quelle di Lucca, Pistoia, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Roma, Caserta e Isernia, hanno preso avvio da precedenti indagini che gli investigatori della GDF stavano compiendo su alcuni importanti investimenti operati nel settore immobiliare, nonché nei confronti di alcune società attive nel campo della produzione edilizia e che hanno successivamente consentito di scoprire l’esistenza di plurime e reiterate condotte delittuose quali associazione per delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, oltre all’intestazione fittizia di beni, l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni insistenti, peraltro con l’aggravante di aver favorito un pericoloso sodalizio di camorra.

La complessa operazione antimafia, come accennato sopra, si è sviluppata mediante la ricostruzione di movimenti bancari e finanziari contraddistinti da rilevanti importi, nonché su accurati accertamenti di natura patrimoniale inerenti a numerosi investimenti immobiliari e commerciali realizzati circa quattro anni fa nella provincia di Siena ad opera di due commercialisti campani, a loro volta affiancati da un architetto fiorentino di origini casertane e di concerto con altri soggetti ritenuti vicini agli ambienti della più pericolosa criminalità organizzata campana.

È stato proprio grazie ad investigazioni che nulla hanno lasciato al caso, che si è potuto accertare come alcuni individui collegati al clan dei Casalesi, avvalendosi del “filtro” costituito da molteplici società del settore immobiliare, hanno reimpiegato all’interno di meccanismi imprenditoriali leciti rilevanti disponibilità finanziarie di provenienza illecita.

Arresto della Guardia di Finanza

Seguendo il flusso monetario derivante dai pagamenti relativi all’esecuzione di lavori appaltati, i militari delle Fiamme Gialle hanno quindi svelato un ingegnoso sistema basato su false fatturazioni e messo in piedi dai responsabili con il fine di “coprire” i bonifici di rilevanti importi emessi dalle imprese di costruzione, quest’ultimi disposti a vantaggio di società “cartiere” (società fittizie esistenti solo sulla carta ma di fatto prive d’una reale struttura).

I conti correnti di queste imprese venivano poi materialmente svuotati attraverso un ben organizzato gruppo di “prelevatori bancomat”, nello specifico costituito da persone in condizioni di indigenza – alcune delle quali beneficiarie del “reddito di cittadinanza” – le quali venivano remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2 – 3% delle somme prelevate agli sportelli ATM.

Quello scoperto degli investigatori è dunque un sistema fraudolento senz’altro caratterizzato da accuratezza, articolato su diverse società-fantasma riconducibili ai principali indagati ma formalmente gestite da semplici “prestanome”, che hanno svolto lavori edili sul territorio nazionale operando, per la maggior parte dei casi, in regime di subappalto.

In tale contesto criminoso, l’esecuzione dei lavori e le successive operazioni di fatturazione da parte dei committenti innescavano una serie di fatture per operazioni inesistenti (tecnicamente definite “FOI”), emesse in favore di società di comodo e con le quali potevano cosi falsamente attestare la partecipazione ai lavori stessi.

Altre “FOI” sono poi state emesse in favore di altre società-fantasma i cui amministratori, ovvero i “prestanome” di cui sopra, si occupavano del prelievo in contanti delle somme di denaro disposte a titolo di pagamento per prestazioni che, nella realtà, non erano però mai state fornite.

Decurtate delle spese di commissione corrisposte ai citati “prelevatori bancomat”, le somme di denaro così ottenute finivano per essere riciclate in investimenti immobiliari operati in varie province italiane.

A completamento di tale frode a tutto tondo, non sono altresì mancate richieste di contributi a fondo perduto che lo Stato ha previsto a sostegno delle imprese in difficoltà a causa dell’epidemia da COVID-19, il che dimostra come anche le associazioni criminali meglio organizzate non disdegnino ogni forma di possibile guadagno purché ottenuto ai danni della collettività.

Oltre alle responsabilità penali contestate in capo agli indagati, altri addebiti sono stati altresì mossi nei confronti di 23 persone giuridiche per fatti dipendenti da reato, circostanza questa prevista dal D.Lgs 231/2001 che disciplina le responsabilità delle società amministrative e degli Enti.

L’operazione “Minerva” vede ora 4 soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere, 6 agli arresti domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgere attività d’impresa, per i quali i GIP del Tribunale di Firenze ha contestualmente disposto il sequestro di beni e disponibilità – anche per equivalente – fino alla concorrenza della somma di circa 8 milioni e 300mila euro.

 

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