Guardia di Finanza: il Corpo dei Doganieri francesi “fratello maggiore” delle Fiamme Gialle d’Italia

Di Gerardo Severino

Roma. Come molti sapranno, la Guardia di Finanza, il più antico Corpo di polizia italiano, ha origini piemontesi, essendo stata istituita, col nome di “Legione delle Truppe Leggere”, a Torino nel lontano ottobre del 1774.

La “Legione delle Truppe Leggere” nasce a Torino nell’ottobre del 1774

Si trattava, come è stato spesso ricordato nei testi di storia dedicati a tale nobile Istituzione, di una specialità dell’allora Armata sarda, adibita a compiti prevalentemente militari di copertura del confine, ma anche alla tutela del cosiddetto “cordone doganale” che cingeva le frontiere del piccolo Stato preunitario, allora fortemente provato dall’esacerbarsi del fenomeno contrabbandiero.

Prima di tale fondazione, i confini erano vigilati militarmente dalle cosiddette “Milizie o Reggimenti Provinciali”, mentre per la parte doganale dai militi assoldati dai vari “Appaltatori delle Gabelle”, detti anche “Arrendatori”, allora incaricati, dietro laute commissioni, alla riscossione dei diritti doganali per conto del piccolo Regno, milizie caratterizzate, tuttavia, da un’elevata impreparazione e, soprattutto, da diffusa inaffidabilità.

Una vera e propria svolta si ebbe a seguito dell’invasione Napoleonica del Piemonte, allorquando, con la soppressione della gloriosa Legione, gli occupanti d’oltralpe trasferirono nel Nord Italia alcuni contingenti del Corpo dei cosiddetti “Préposés des Douane”, come è stato recentemente ricordato dallo scrivente e dallo storico Giancarlo Pavat con un libro dedicato al grande paleontologo francese, Jaques de Boucher de Perthes, che da giovane era stato ufficiale dei “Finanzieri Imperiali”, prestando servizio nel Centro e nel Nord Italia [1].

La copertina libro su Jacques Boucher de Perthes

Si tratta dello stesso Corpo detto anche dei “Chasseurs verts” (“Cacciatori verdi”, per via del colore della propria uniforme) al quale dedichiamo oggi il presente saggio, sia in omaggio al loro 230° anniversario di fondazione che in riconoscimento del fatto di essere stati i veri fratelli maggiori delle Fiamme Gialle d’Italia, come cercheremo di documentare a breve.

Le Fiamme Gialle di oggi impiegate in un’attività operative

L’origine del Corpo 

L’origine del Corpo francese dei Preposti Doganali s’inquadra storicamente nei primi anni post rivoluzionari, nell’ambito delle più ampie riforme istituzionali varate dalle Assemblee e dai Direttorii in chiave moderna e, soprattutto, democratica.

Fu, infatti, in quel contesto che fu concepita l’idea di trasformare anche il sistema della percezione doganale, disponendone il passaggio di gestione dagli appaltatori, di norma corrotti e speculatori, alla dogana di Stato, grazie alla quale si sarebbero combattute sia le ingiustizie che gli antichi privilegi, spesso sopravvissuti alla stessa Rivoluzione del 1789.

A quei tempi la riscossione dei dazi doganali, sia di confine che interni, era gestita, come si ricordava prima, da un complesso sistema di appalti, concessi a società private.

Queste società, confluite poi nella “Societé de la Ferme Generale”, avevano  tutto l’interesse nel trarre il massimo profitto dall’appalto ottenuto, tanto che per raggiungere il massimo degli utili si sarebbero macchiate di abusi e soprusi, che ovviamente nel renderle invise al popolo avevano innescato, sempre sul finire del Settecento, la recrudescenza del fenomeno contrabbandiero, che tanti nocumenti avrebbe causato sia alla Francia che agli Stati confinanti, considerata la violenza e la spregiudicatezza delle proprie azioni, così come ci ricordano le “imprese” del celebre Louis Mandrin, che il popolo stesso aveva ribattezzato “Il Generale del contrabbandieri”, il quale aveva operato decenni prima lungo le frontiere con la Svizzera e con quelle dell’alta Savoia.

Dalla Francia alla Penisola italiana (1791 – 1815).

Fu, dunque, il 1° maggio del 1791, quindi 230 anni orsono, che l’Assemblea Costituente francese decretò la soppressione definitiva del sistema degli appalti privati e, di conseguenza, di tutte quelle Milizie armate al loro soldo, istituendo nel contempo una Amministrazione Doganale dipendente direttamente dal Ministero delle Finanze di Parigi.

La nuova Amministrazione fu improntata su di un sistema che potremmo definire misto, vale a dire civile, composta da funzionari e impiegati e da un apparato poliziesco incarnato nel prima citato Corpo dei “Préposés des Douane”, inquadrato organicamente nel cosidetto “Service actif des douanes”, strutturato con un ordinamento marcatamente militare attraverso l’organizzazione di una fitta rete di piccole unità operative definite “Brigades”, dislocate lungo i confini terrestri e marittimi, ovvero presso gli stessi  uffici doganali.

Brigadiere a cavallo

Si trattava, come è facile intuire, di una nuova concezione della politica doganale statale, la quale di lì in avanti si sarebbe basata sul principio “moin de commis et plus des gardes” (“meno impiegati e più guardie”), che solo un’organizzazione di tipo militare avrebbe potuto assicurare, con una certa efficienza.

L’ordinamento del Corpo, il quale ricevette inizialmente una forza organica di circa 13 mila uomini, consisteva, quindi, nella seguente impostazione.

Più Brigate dipendevano da un Tenente, mentre più Tenenze da un Capitano, detto anche “Commissario”.

Al di sopra di tali ufficiali vi erano, quindi, gli Ispettori e gli Ispettori divisionari, con gradi parificati a quelli di Capitano e Maggiore dell’Armata, e cui spettavano compiti di direzione e controllo del servizio, sia nei riguardi delle Brigate che degli stessi uffici di dogana.

Gli Ispettori, a loro volta, dipendevano dal Direttore principale della Dogana Dipartimentale, ruolo parificato al grado di Colonnello.

Fu già nella stessa legge istitutiva del 6 luglio 1791 che al Corpo furono demandati alcuni compiti speciali, oltre ovviamente a quello della vigilanza doganale.

I Preposti Doganali francesi avrebbero, infatti, concorso alla cattura degli evasi e dei disertori, assicurato lungo le frontiere il servizio di polizia sanitaria, di pubblica sicurezza, ma anche il concorso alle operazioni militari, come sarebbe accaduto sia durante le “Campagne d’Italia” che persino in quella di Russia.

Fu, invece, con decreto del 25 piovoso dell’anno VIII (14 febbraio 1800) che i Preposti furono dotati di una nuova uniforme, la stessa che avrebbe caratterizzato sia la loro storia che quella della nostra Guardia di Finanza, come approfondiremo meglio in seguito.

L’uniforme, che inizialmente avrebbe indossato il personale compreso dal grado di Preposto a quello di Capitano, fu interamente di color verde intenso, tanto da ribattezzare i Doganieri imperiali di Francia con l’appellativo di “Chasseurs verts”, per l’appunto “Cacciatori verdi”.

La storia di questo importante Corpo di Finanzieri che tanti meriti avrebbe avuto, sia in Francia che in Italia, è stata ampiamente documentata da uno dei più grandi storici della Guardia di Finanza,

il Generale Sante Laria, che ne tracciò compiutamente le vicende nel primo volume della sua nota pubblicazione dal titolo “Le Fiamme Gialle d’Italia. Nei fasti di guerra e nel patriottismo italiano”  (Milano, Luigi Alfieri Editore, 1930).

Ed è proprio dal Laria che apprendiamo sia dei primi momenti dell’arrivo dei Finanzieri imperiali in Italia, sia della loro opera durante il noto “blocco continentale”, in relazione al quale le coste italiane subirono gli attacchi dei contrabbandieri e corsari, spesso fomentati dall’Inghilterra.

Il “Blocco” fu una sorta di “guerra fredda” di natura commerciale che non pochi danni produsse alle economie di alcuni degli Stati preunitari facenti parte dell’orbita francese.

Ebbene, dopo la vittoriosa battaglia navale di Trafalgar (21 ottobre 1805) era iniziata la cosiddetta “guerra di corsa”, così come era aumentato vertiginosamente il fenomeno del contrabbando marittimo.

Un momento della battaglia di Trafalgar

Ciò era avvenuto attraverso la decisione di chiudere i suoi porti alle navi francesi, decretata l’11 novembre 1806 dal Parlamento di Londra.

La Francia reagì proprio con il “blocco continentale”, proclamato da Napoleone a Berlino il 21 novembre 1806 (poi confermato a Milano con decreto del 17 dicembre), nel tentativo – quasi sempre risultato vano – d’interdire all’Inghilterra il commercio con il continente, attraverso forme eccezionali di vigilanza e di repressione in maniera da rendere lotta utile a sé, micidiale al nemico [2].

Durante il “blocco continentale” era permesso alle navi francesi di importare prodotti britannici, a condizione che avessero esportato prodotti nazionali. In realtà, poiché l’Inghilterra proibiva i commerci quanto la Francia, i capitani marittimi non potevano fare altro che prendere in Francia dei carichi, i quali, appena fuori dai porti, venivano buttati nelle acque della Manica.

A tal fine s’iniziarono a produrre merci di infima qualità, ma di evidente apparenza purché muniti di fatture e di certificati d’origine: merci che poi venivano buttate in mare affinché le navi potessero così entrare nei porti inglesi.

Questa politica innescò non poche rivalità fra gli stessi Stati Italiani, le quali sfociarono presto con l’incoraggiamento del contrabbando, come avvenne nello Stato Pontificio, il quale istituì, in prossimità della frontiera napoletana talune “Rivendite”, ove i tabacchi gestiti dal monopolio venivano venduti a prezzo ridotto, e quindi a tutto vantaggio dei contrabbandieri.

L’effetto principale e diretto di tale politica fu l’eccezionale recrudescenza del fenomeno contrabbandiero, grazie al quale gli inglesi riuscirono comunque a commerciare i loro prodotti, esportandoli quindi sotto bandiera neutrale.

Ma il contrabbando da solo non fu l’unica risposta. Ad esso si accompagnò una vera e propria attività piratesca, che ovviamente interessò le coste italiane, per quanto validamente difese dai “Chasseurs verts”. In quel frangente storico l’organico del Corpo dei “Préposés des Douane”  fu elevato a 40.000 uomini a piedi ed a cavallo, mentre altri 3.500 furono i Preposti dislocati nel Regno d’Italia [3].

Nella nostra Penisola e, più precisamente, nelle province direttamente annesse alla Francia era stata estesa l’amministrazione doganale francese, mentre nei due stati satelliti (Regno Italico e Regno delle Due Sicilie) l’organizzazione doganale concepì forme autonome, con l’istituzione della Guardia di Finanza del Regno Italico [4] e il Corpo delle Guardie dei Dazi Indiretti, operante da Napoli a Reggio Calabria [5].

In realtà il modello francese dei “Préposés des Douane” avrebbe lasciato ovunque una marcata impronta di serietà ed efficienza, tanto che anche dopo la Restaurazione degli Stati pre-napoleonici la struttura doganale fu lasciata pressoché immutata, mentre nel Regno di Sardegna il Corpo francese non solo sopravvisse, ma conservò persino il titolo e l’organizzazione.

Ed è sempre il Sante Laria che ci ricorda come gli “Chasseurs verts” furono inquadrati anche nella “Grande Armata”, partecipando così a molte imprese e a leggendarie battaglie in giro per l’Europa (Huningue, Montmedy, difesa di Amburgo, blocco di Danzica, a Flessinga, a Pamplona, a Gerona, sui Monti del Giura e delle Ardenne, nella campagna d’Italia, a Belfort, a Longwy, a Givet, in Savoia e persino sotto le mura di Parigi).

La storia del Corpo francese ci ricorda, infine, di quando il Bonaparte, nel congedarsi dall’Armata a Fontainebleau, volle tra i reparti schierati anche un battaglione dei “Finanzieri imperiali”, non avendo dimenticato le entusiastiche accoglienze che gli erano state tributate proprio dai Preposti al momento del suo sbarco a Cannes, dopo la fuga dall’isola d’Elba.

I valorosi Finanzieri imperiali durante il “decennio francese”.

I Preposti Doganali, sia di provenienza francese che arruolati direttamente in Italia – e lo furono in tanti – sarebbero stati protagonisti di non pochi fatti d’arme, ma anche di battaglie campali, spesso combattute al fianco della “Grande Armata”, come si ricordava prima, ovvero in non facili operazioni a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, attività da loro esercitate sempre ad integrazione delle funzioni principali di cordone di sicurezza anticontrabbando e guardiacoste.

Gradi e distintivi della Guardia Doganale

I Preposti Doganali presero, dunque, il posto sia delle soppresse Guardie Doganali armate dagli Arrendatori delle Gabelle, che degli stessi reparti militari.

In Piemonte, tanto per citare un esempio tangibile, la sede delle Dogane imperiali fu fissata a Voghera, la stessa città ove un tempo aveva avuto sede un Battaglione della disciolta “Legione Truppe Leggere”.

Ebbene, occorre dire che sul piano ordinativo le Brigate dei Preposti avevano di norma una forza di 4-5 uomini, al comando di un Brigadiere.

Ovviamente l’organico risultava accresciuto nelle maggiori città portuali, quali Genova, Savona, La Spezia, Livorno, Civitavecchia, e nelle zone confinarie con la Svizzera e nello stesso Regno Italico, ove il contrabbando era un fenomeno operante sin dall’antichità.

All’epoca del prima citato “blocco continentale” l’opera dei Finanzieri imperiali francesi in Italia non fu affatto trascurabile, soprattutto in occasione dei numerosi colpi di mano nemici.

Il Generale Laria ci ricorda a tal proposito che incursioni inglesi si ebbero ad Ogliastro, Palinuro, San Costantino, Ischia, Gaeta, Otranto ecc. ed in particolare lungo la costa ligure-tirrenica, che dal Varo al Tevere faceva parte dell’Impero francese.

Nel 1808 si ebbero incursioni a Levanto, a Cogoleto, ad Alassio ed a Laigueglia ed il primo attacco a Noli, difesa dai Finanzieri imperiali del Tenente Josset.

Altri episodi simili si verificarono a Loano (1811), Alassio (1811), Laigueglia (1812) e Vado (1812).

E, sempre nel 1812, si ripeté una seconda incursione nella rada di Noli, la quale fu ancora una volta difesa dai “Chasseurs verts”, come ci ricorda un bel quadro ad olio dipinto dal maestro Alessandro Degai, oggi conservato presso il Museo Storico della Guardia di Finanza, in Roma.

La difesa di Noli (1808)

Non solo, ma i Finanzieri Imperiali, considerata la loro struttura territoriale sarebbero stati chiamati a concorrere, sia con le Truppe di linea che con la Gendarmeria, anche nella tutela dell’ordine pubblico, così come accadde nel corso del 1805, in occasione di una rivolta antifrancese sorta a Castel San Giovanni e da lì estesasi per tutto l’Appennino sino ai confini del Piemonte e della Liguria.

Come documenta il Laria, gli insorti si erano concentrati presso Voghera, in quel momento sguarnita di truppe, onde impadronirsi dei grandi magazzini militari ivi esistenti.

Fu a quel punto che l’Ispettore dei Preposti Doganali Jean-Marie Joseph Dubois-Aymé, grande amico e mentore del Boucher de Perthes, che in quel frangente si trovava ad Alessandria per servizio, si offrì di affrontare in armi i rivoltosi.

L’Ispettore dei Preposti Doganali Jean-Marie Joseph Dubois-Aymé

Ottenuto l’assenso da parte del Prefetto, partì verso Voghera con una quarantina di “Chasseurs verts”, dando disposizione a tutte le Brigate dei Preposti Doganali del Dipartimento di concentrare metà dei propri uomini a Casteggio.

Nei pressi di Voghera il Dubois-Aymé raggiunse una colonna composta da 800 Gendarmi e 200 Preposti.

Con circa 240 Preposti disponibili l’ufficiale raggiunse Casteggio ove si ricongiunse con altre 160 Preposti ivi giunti dalle varie Brigate.

Con tale personale il Dubois-Aymé attaccò gli insorti, che marciavano su Voghera, forti di 6  mila unità.

La storia ci ricorda che dopo sette ore di accaniti combattimenti, i ribelli furono messi in fuga lasciando così sul terreno 400 morti ed un gran numero di feriti, oltre a 1.500 prigionieri.

Su proposta del Generale Massena ai Preposti più meritevoli furono concesse ricompense militari, mentre allo stesso Dubois-Aymé fu elargita la promozione ad Ispettore divisionale e, soprattutto, l’ambita Legion d’Onore.

L’ufficiale francese fu protagonista di altri fatti d’arme, sia in Italia che nel resto d’Europa.

Altri eroismi simili si verificarono nel 1813, allorquando la flotta inglese, al comando di Lord Bentinck operò uno sbarco a Viareggio, allo scopo di sondare le difese costiere.

Successivamente, reimbarcate le truppe, ripeté l’azione anche presso Livorno con l’intenzione di impadronirsi di quella città.

L’Ispettore Dubois-Aymé, il quale si trovava nella città al fine di rinforzarne le difese, al comando dei suoi bravi Preposti, circa 300, coadiuvato dall’Ispettore di Dogana Herkenroth, difese eroicamente il quartiere di San Marco, che costituiva il punto debole della città.

Gli attacchi inglesi, per terra e per mare, si protrassero per sei giorni, finché la vigorosa resistenza dei Preposti e degli altri soldati li convinse a desistere. Per gli altri episodi di valore compiuti dai Preposti sino all’epilogo del 1815 rimandiamo i lettori al più volte citato libro del Sante Laria, invitandoli nel contempo a visitare lo stesso Museo Storico della Guardia di Finanza (www.museostoricogdf@gdf.it).

L’eredità dei “Préposés des Douane” (1816 – 1862).

A seguito della definitiva caduta di Napoleone Bonaparte il noto “Congresso di Vienna” restaurò al proprio posto i vecchi sovrani spodestati dal “Piccolo Córso”.

Nelle Penisola italiana le entità statali preesistenti alla dominazione francese ripristinarono così i vecchi ordinamenti, ivi comprese le strutture amministrative e burocratiche, principalmente quelle doganali.

Al di là di quei processi restauratori che portarono all’epurazione della precedente classe dirigente, quella che si era compromessa durante il “decennio francese”, in gran parte degli Stati italiani non si poté fare a meno di accogliere e mantenere in vita alcune delle più importanti riforme varate proprio dai francesi.

Tra le monarchie italiane che accettarono il principio di “salvare il salvabile” vi fu certamente il Regno di Sardegna, anche se era stato lo Stato che più di tutti aveva dovuto subire l’onta di essere a più riprese invaso ed occupato, sin dal lontano 1793.

La Corte di Torino ritenne utile per il Regno anche l’influenza che aveva avuto l’Amministrazione doganale francese sul buon andamento della “cosa pubblica”, tutto sommato testimonianza ulteriore di quanto fossero stati positivi gli aspetti di modernizzazione sorti a seguito della Rivoluzione Francese.

L’esempio costruttivo dimostrato dal sistema delle dogane francesi determino il definitivo trapasso dalle dogane gestite da appaltatori privati a quelle direttamente gestite dalla Pubblica Amministrazione, quindi dalla “Azienda delle Gabelle[6].

E fu proprio in tale ambito che il Re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, pur ricostituendo qualche tempo dopo (il 9 settembre del 1817) la “Legione Reale Piemontese”,  alla quale affidò le funzioni della Fanteria Leggiera per il tempo di guerra, ovvero della vigilanza del “cordone doganale” in tempo di pace, decise di mantenere in vita il dispositivo dei Preposti Doganali francesi, tanto che con Regio editto del 4 giugno del 1816 diede vita al Corpo dei “Preposti delle Regie Gabelle”, addetti al cosidetto “Servizio Attivo delle Dogane”, articolato in reparti a terra e unità navali per la vigilanza in mare e nei laghi di frontiera, peraltro utilizzando la stessa uniforme portata con onore dai “Chasseurs verts[7].

Il Corpo dei “Preposti delle Regie Gabelle” (genericamente definito anche dei  “Preposti Doganali”), rimasto in vita dopo i fatti del 1821, allorquando la “Legione Reale Leggera” fu soppressa [8], operò negli Stati Sardi, compresa l’isola di Sardegna (a partire dal 1827), sino al maggio del 1862, allorquando dovette cedere il posto al neonato “Corpo delle Guardie Doganali” del Regno d’Italia.

Questi sorse attraverso l’immissione in servizio di non pochi militi provenienti anche dagli altri Corpi di Finanza preunitari, nel frattempo soppressi.

In verità fu quello dei Preposti delle Gabelle l’unico Corpo ad essere preso a modello per l’istituzione della novella Milizia Doganale nazionale, tanto che ne fu adottata sia l’uniforme, quella tradizionale di panno verdone, ereditata dalla tradizione dei “Chasseurs verts”, sia l’organizzazione operativa, che vedeva ancora nelle Brigate, sia quelle a terra che a mare, i reparti territoriali più consistenti attraverso i quali porre in essere la vigilanza doganale e la tutela degli altri interessi dello Stato.

La tradizione francese che scorreva e scorre tuttora nel sangue delle Fiamme Gialle d’Italia non fu abbandonata nemmeno nel 1881, allorquando il Corpo doganale fu ribattezzato con l’attuale titolo di “Guardia di Finanza”.

I Finanzieri di oggi

Non solo, ma quando nel 1892, ad un secolo esatto dalla fondazione del Corpo in Francia, la Direzione Generale delle Gabelle del Ministero delle Finanze decise di esaudire un antico desiderio, manifestato negli anni dagli stessi Finanzieri italiani, quello cioè di avere un proprio fregio distintivo, in luogo dello stemma reale.

Fu allora adottato un nuovo emblema, la cornetta da Cacciatori con fiamma ardente, proprio in omaggio ai Doganieri di Francia dal quale le stesse Fiamme Gialle si sentivano a quel punto originate, i quali da qualche tempo (dal 1875) portavano tale fregio sui propri kepy.

Se è vero come è vero che la tradizione militare dell’odierna Guardia di Finanza rispecchia ideologicamente le origini piemontesi, rifacendosi, infatti, alle glorie militari delle “Truppe Leggere” Sabaude, bisogna pure ammettere che il retaggio professionale, che comprende sia l’ordinamento che alcune abitudini operative (soprattutto a livello di organizzazione interna dei reparti, di verbalizzazione degli atti, ma anche nelle stesse metodologie investigative), non può che ricollegarsi all’epopea dei Préposés des Douane” sorti in Francia 230 anni orsono.

Ebbene, i Finanzieri italiani indossarono l’amata uniforme di panno verdone sino allo scoppio della “Grande Guerra”, allorquando dovettero adottare in massa il grigioverde.

Un’immagine dei Finanzieri impegnati in un combattimento nella I Guerra Mondiale

Ma il desiderio di perpetuare la propria storia anche sul piano uniformologico fu talmente forte, tanto che nel 1922 gli stessi Finanzieri avrebbero adottato il bavero verde, sul quale sovrapporre le amate Fiamme Gialle.

Nel 1940, con l’abolizione dei baveri colorati per esigenze di guerra, il Comando Generale del Corpo decise di utilizzare il verdone quale sotto panno per le stesse Fiamme Gialle, salda tradizione rimasta immutata sino ad oggi.

L’eredità dei gloriosi “Préposés des Douane”, giunti in Piemonte agli inizi dell’Ottocento è stata, infine, rinvigorita a partire dal 2005, allorquando il Corpo ha adottato definitivamente il verdone quale colore per le giubbe delle uniformi storiche, le stesse che ancora oggi indossano gli allievi e gli istruttori dell’Accademia di Bergamo e della Scuola Ispettori di L’Aquila, ma anche i componenti della gloriosa Banda Musicale della Guardia di Finanza.

Nell’augurare, quindi, ai Doganieri francesi una lunga vita, concludiamo il presente contributo ringraziando la Francia per essere stato il primo Paese a dar vita ad un Corpo di Doganieri concepito in chiave veramente moderna ed efficiente.

NOTE

[1] Gerardo Severino – Giancarlo Pavat, Jaques Boucher De Perthes. Da ufficiale dei Finanzieri Imperiali a padre della Preistoria (Rethel, 1768 – Abbeville, 1868), Edizioni Amazon, 2021.

[2]Le principali disposizioni del decreto furono le seguenti: 1) Le isole Britanniche sono poste in istato di blocco; 2) È vietato con esse ogni commercio e corrispondenza epistolare; 3) Nei paesi occupati dalla Francia o dai suoi alleati, ogni Inglese è dichiarato prigioniero di guerra; 4) Qualsiasi proprietà inglese sarà di buona preda; 5) É vietato qualsiasi traffico di merce inglese; 6) È escluso dai porti ogni vascello che abbia toccato sia l’Inghilterra o le colonie inglesi.

[3] Esattamente in Piemonte (1802), Liguria (1805), Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla (1805), Toscana (1808) e, infine, nel Lazio e nell’Umbria (1809).

[4] Il Regno Italico, sorse nel 1805 e fu governato in nome di Napoleone dal Viceré Eugenio. Comprendeva Lombardia, Veneto, Romagna, Marche e parte dell’Emilia.

[5] Il Regno di Napoli, affidato inizialmente a Giuseppe Bonaparte e in seguito a Gioacchino a Murat, comprendeva Campania, Abruzzi, Puglia e Calabrie.

[6]  La “Azienda delle Gabelle”, in seguito al riordino amministrativo intrapreso da Cavour e varato con la legge sarda del 23 marzo 1853 n. 1483, assunse la denominazione di “Direzione Generale delle Gabelle”.

[7] In Sardegna i Preposti avrebbero dato vita anche a reparti a Cavallo, sopravvissuti sino al 1861.

[8] Cfr. Gerardo Severino, Vittorio Ferrero: l’eroe di San Salvario, in www.giornidistoria.net, 15 luglio 2021).

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