Russia: da che parte sta veramente la forza e la volontà di mostrare i denti

Di Vincenzo Santo*

Mosca. La Russia e il suo ammassarsi al confine dell’Ucraina preoccupa.

Vecchia storia. Chi si preoccupa di più come usuale sono i Baltici e la Polonia naturalmente, membri fatti entrare nell’Alleanza, e nell’UE, in un modo affrettato e poco ragionato.

Bisogna rasserenarli, magari con una bella riunione a Riga.

Io non so se sia nelle intenzioni di Putin pensare a riprendersi i tre del Baltico.

Ma sull’Ucraina qualche dubbio l’avrei, sempre che non ne sia costretto da “noi”.

E il Donbass è una carta che si può giocare. I tempi sono cambiati e il mondo confortevole, per così dire, del modello unipolare è finito nel breve volgere di un paio di decadi.

Sepatisti del Donbass

Si tende a strutturare una nuova realtà, un nuovo mondo, basato sulla distribuzione di potenza, che non postula necessariamente un equilibrio. Ma occorre essere convincenti e coesi.

Lo siamo ancora? Io non lo credo. Mosca, secondo un principio del “realismo classico”, tende a opporsi a ogni stato o coalizione che cerchi di assumere una posizione di dominio o che “invada”, tanto per semplificare e capirci, il proprio cortile di casa.

Solo un fatto storico, qualcuno penserà, ma non per questo merito di essere derubricato come cosa di poco conto. Putin ha più volte fatto riferimento alla “sua” storia.

Il Presidente russo, Vladimir Putin

Una motivazione forte che richiede dall’altra parte analoga forza tanto di volontà e convinzione quanto in termini di forza militare “reale e immediata”.

Io non credo tanto nella fisiologica tendenza a ricreare l’equilibrio e, quindi, che mai nulla accada se si parla di “grandi blocchi”. Non più.

E sarebbe ora di non farci pie illusioni in merito.

Il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg

E mentre Stoltenberg, tra una coccola e l’altra verso gli staterelli della NATO, fa finta di contare qualcosa, “avvertendo” Mosca contro eventuali colpi di testa russi in Ucraina, appoggiato dai soliti spaesati ministri degli esteri della NATO, da parte sua Putin rende chiaro che la Russia sarebbe costretta ad agire ove Washington schierasse missili sul suolo ucraino o laddove si tentasse da parte occidentale di ritornare alla carica favorendo chissà quale accordo di accesso per Kiev.

E in questo avrebbe l’appoggio di Minsk, ormai terra sua. Ha puntualizzato sulle sue linee rosse, date le esperienze del recente passato di un’altra più remissiva Russia.

L’Ucraina è la sua linea rossa. Ovviamente non è chiaro il motivo di queste “manovre” russe. Certo possiamo metterle in sistema con tutta una strategia volta a squilibrare ancora di più la già fumosa e supposta politica estera europea.

Strategia che ha vista la crisi dei migranti al confine polacco, per esempio.

Oppure un possibile quadro di sicurezza preventivo per l’appoggio militare a un colpo di stato che anche il presidente ucraino aveva ventilato.

Oppure, ancora, una minaccia nell’uso della forza quale azione volta a sveltire le procedure per chiudere la faccenda Stream 2 in modo favorevole a Mosca.

Oppure perché semplicemente cerca iu momento buono per prendersi il Donbass.

Ora, ammettendo che si arrivi ai ferri corti, tra noi e i russi, lo scenario che si aprirebbe sarebbe, secondo me, “convenzionale”.

Lasciamo pure da parte tutte le filosofie correnti, sul cyber, sulle formule ibride, sull’intelligenza artificiale o sui droni, che ci hanno ubriacato distogliendoci da una verità storica, pronta a vendicarsi sul campo, cioè che c’è sempre stato un “modo moderno” di condurre la “solita guerra”, ogni epoca ha avuto infatti il suo modo moderno così come in ogni epoca il quadro strategico è stato confuso, instabile e così via.

Quindi, convenzionale, almeno alle prime battute. Poi, chissà se la pazzia umana potrà mai andare oltre.

Ma quelle battute avrebbero tutti i connotati per essere definitive. È il fatto compiuto.

Gli Stati Uniti e i suoi subordinati della NATO possono mettersi uno stato di prontezza altissimo, ma non sono in grado di rispondere con tempestività: readiness è differente da responsiveness.

Militari russi in sfilata

I Russi giocano in casa e per linee interne, readiness e responsiveness sono dalla loro parte.

Una condizione che può permettere a Putin di “azzerare sul campo Kiev”, letteralmente.

Ecco, tornando al golpe, giusto il tempo per proteggere l’insediamento al governo di un proprio fedelissimo che poi agevoli uno status filorusso al Donbass e che, inoltre, cessi ogni recriminazione sulla Crimea.

Tutto questo senza che né gli USA né tantomeno “gli altri alleati” possano fare alcunché, almeno immediatamente.

La geografia ha la sua importanza, ed è il paradigma della responsiveness, e non sono di certo i 3 o 4 battlegroups della NATO che sono nei Baltici e forse in Polonia a impensierire i russi.

Certo, abbiamo degli aerei meravigliosi ma si confronterebbero con un avversario non tanto inferiore nella terza dimensione.

Quella russa non è l’aeronautica libica, né tantomeno quella irachena o quella jugoslava. E poi questi confronti si decidono con i piedi per terra, boots on the ground!

E l’Armata Rossa non è la Guardia Repubblicana irachena. Inoltre, lasciando da parte i Baltici, chi in Europa sarebbe disposto a morire per Kiev?

E dove verrebbero rischierati tutti questi velivoli? In Italia? Quindi accetteremmo di fare delle nostre basi potenziali obiettivi? Niente di male, basta solo rendersene conto.

E quante centinaia di migliaia soldati, USA e no, dovrebbero essere rischierati a ridosso dei confini ucraini assieme al necessario materiale e ai tanti equipaggiamenti?

E ancora, dove e quando? In Romania o in Ungheria o in Slovacchia? Non credo proprio. Forse solo in Polonia, che però dovrebbe guardarsi dalla Bielorussia.

Non prendiamoci in giro. Tanto l’Europa quanto la Nato dimostrano i piedi di argilla, occorre essere realistici.

Quella volpe di Putin sa il fatto suo e conosce i suoi “avversari”. I tempi sono cambiati, dicevo.

Ma siamo ormai tornati indietro nel tempo, le linee rosse sono ben rimarcate e i tempi dei facili, e inopportuni, allargamenti sono solo un ricordo, non si può ragionevolmente andare oltre.

Allargamenti azzardati, e che paradossalmente fanno oggi il gioco di Putin, perché lui sa che ci hanno indeboliti in determinazione, convinzione, coesione e nella condivisione dei valori.

Quindi, se non abbiamo “i denti”, lasciamo perdere Kiev e, in secondo ordine, la Georgia. Non ci appartengono. Non ancora.

Militari ucraini

Già, i denti. Scenario, dicevo, convenzionale. Ampi spazi dove manovrare, difese mobili, fuoco e movimento, variazioni rapide nella gravitazione delle forze, sfruttamento del terreno, ampio impiego di corazzati, meccanizzati e artiglieria e genio da campagna, comunicazioni e intelligence tattica allo stremo, tanto “close air support”, superiorità aerea da acquisire e dominio nelle acque del Mar Nero e via dicendo. Roba “vecchia”, insomma!

Tutte cose che noi occidentali, in 20 anni, e per molti di noi anche di più e molti di più, temo abbiamo scordato, forse non tanto nelle dottrine quanto soprattutto nella pratica, impigrendoci invece in tatticismi da peace keeping, nella ricostruzione, nei ruoli per la stabilizzazione, quelli per l’assistenza, l’addestramento e il mentoring e così via, cullandoci nella dolce e tranquillizzante storiella di dover evolvere nella sola “counter insurgency”, nella controguerriglia di fatto, se proprio c’era da menare le mani.

Mentre tutta la ricchezza in termini di esperienza e conoscenza dell’approntamento delle forze per fronteggiare un avversario attrezzato, come potrebbe essere oggi quello russo, e domani forse anche quello cinese, l’abbiamo lasciata colpevolmente al passato.

Forse, giocandola di tanto in tanto nel colorare bellissime e spesso ridicole frecce rosse o blu su una carta topografica in qualche esercitazione occasionale o di scuola di guerra.

Loro, i russi intendo, no. Loro hanno mantenuto e ripreso questa capacità che noi con presunzione abbiamo giudicato “antica”, scordandoci della necessità dell’addestramento di ogni giorno, nonché di quello complesso e interarma che richiede ampi spazi e tempi sostenuti di attuazione e di richiamo continuo, illudendoci di poterlo compensare con qualche singola esperienza, pur preziosa, in Qatar o in qualche tratto di deserto giordano.

Tutta roba che costa, s’intende, ma i denti vanno curati, altrimenti cadono e le protesi non sono la stessa cosa.

E nel frattempo, abbiamo anche bandito le mine antiuomo, fondamentali per le strutture difensive sul campo di battaglia.

Ora, senza voler da parte mia prendere in considerazione la reale volontà di sacrificarsi, è sempre rischioso fare la voce grossa se poi non si è certi di possedere le reali capacità per competere in una probabile e possibile “vecchia modalità”, un bluff facile da andare a vedere.

Quindi, occorre cambiare registro, a partire dalla definizione del budget e dalla spesa per la Difesa, nonché alla definizione seria del benedetto “quadro strategico”, che ormai viene rielaborato in ogni dove con un involuto, stantio e stucchevole “cut and paste” e rendere ciò che si acquista congruo con le ipotesi e le priorità.

E, si rigetti, una volta per tutte, la maledetta ideologia di poter far tutto da bordo di VTLM.

Per minacciare di mordere occorre mostrare i denti ma anche convincere che siano in grado di far male.

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)

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