Guardia di Finanza: operazione “Cavallo di Troia”. Catturato un latitante collegato alla ‘ndrina vibonese dei Bonavota

Di Massimo Giardinieri

Reggio Calabria. Era ricercato da diverso tempo, ma quando le sue tracce sembravano sempre più diradarsi è stato rintracciato in piena notte all’interno di un casolare sito nelle campagne di Caulonia (Reggio Calabria), dove i finanzieri del Nucleo Polizia Economico Finanziaria (PEF) reggina, con il supporto di quelli del Gruppo di Locri e della Sezione Aerea di Lamezia Terme, sono finalmente riusciti a finalizzare le ricerche avviate dai colleghi del Comando Provinciale di Torino mettendo così fine alla sua latitanza.

L’Operazione contro le cosche di ‘Ndrangheta della GDF

Sono questi gli essenziali elementi descrittivi riguardanti la cattura di un soggetto di origini calabresi, con interessi economici e imprenditoriali stabilmente radicati in provincia di Torino, il quale è gravemente indiziato di concorso in associazione per delinquere di stampo mafioso nonché di altri reati di natura economica e tributaria.

Il soggetto in questione si era ormai reso irreperibile da mesi, ovvero da quando i finanzieri torinesi – nel corso dell’Operazione denominata “Cavallo di Troia” – avevano eseguito otto misure cautelari e personali nei confronti di altrettanti soggetti indagati, a vario titolo, per reati fiscali e fallimentari (per di più aggravati dall’agevolazione mafiosa in quanto ritenuti contigui ad organizzazioni di ‘ndrangheta),  con contestuali provvedimenti di sequestro per 2,5 milioni di euro.

In particolare, secondo il quadro accusatorio delineato dagli inquirenti e fatte salve le successive valutazioni di merito, sarebbero emersi ruoli di tre società operanti nel settore edilizio ma ritenute al servizio di esponenti della ‘ndrina Bonavota, da anni stabilitasi nel territorio di Carmagnola (Torino) ma comunque rimasta collegata all’omonima cosca tra le più attive e pericolose della provincia di Vibo Valentia.

Gli indagati, tra cui il latitante arrestato nottetempo, risulterebbero infatti aver gestito le suddette imprese – anche tramite l’impiego degli immancabili prestanome – grazie all’appoggio loro fornito dalla suddetta cosca che gli ha continuato a garantire importanti commesse per la realizzazione di opere edilizie, come anche un’adeguata “protezione” in caso di difficoltà.

Secondo quanto emerso dalle complesse indagini condotte dalla GDF torinese, gli stessi indagati, abbattendo fittiziamente i debiti tributari e previdenziali, avrebbero in tal modo attuato una sorta di vero e proprio “doping fiscale” ritrovandosi così illecitamente avvantaggiati sul piano dei costi rispetto alle aziende concorrenti del medesimo settore imprenditoriale.

L’operazione in parola avrebbe inoltre fatto emergere l’esistenza un autentico “sistema” costituito da continue quanto sistematiche condotte distrattive, caratterizzate dal depauperamento dei patrimoni aziendali che, oltre a lasciare le imprese completamente spogliate di ogni risorsa, rendeva altresì impossibile il pagamento degli stipendi e dei contributi dovuti ai dipendenti, peraltro andando a destinare alle consorterie criminali delle zone d’origine una consistente parte dei profitti derivanti proprio da tali reati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore