Di Fabio Mattei
Sassari. Un’operazione che ha dato una chiara dimostrazione di quali e quante possano essere le competenze operative della Guardia di Finanza nella ricerca di ogni tipo d’illecito di natura finanziaria, anche se il tutto scaturisce da una denuncia per maltrattamento di animali.
È stata questa l’inusuale scintilla che ha innescato l’Operazione “Cerbero”, diretta dalla Procura della Repubblica di Tempio Pausania e portata a termine dai Finanzieri del Comando Provinciale di Sassari, grazie anche alla preziosa collaborazione dell’Ente Nazionale Protezione Animali – Servizio Guardie Zoofile della Provincia di Sassari.
Come accennato sopra, l’indagine era partita tempo addietro sulla scorta di quanto riferito da un cittadino, il quale aveva sporto denuncia dopo aver notato che il suo cagnolino, affidato per due mesi alla custodia del canile municipale di Olbia, manifestava condizioni cliniche e comportamentali preoccupanti tali da far ritenere che l’animale fosse stato pesantemente maltrattato.
A questo punto, sono così scattate nella citata struttura di ricovero – sovvenzionata da decine di Comuni della zona – alcune visite ispettive da parte del personale veterinario, ma anche videoriprese, consulenze tecniche, perquisizioni e analisi della documentazione contabile riguardante l’associazione (asseritamente di “volontariato”) incaricata di gestire il canile.
Ed è stato proprio sulla base di questi accertamenti che la GdF sassarese ha letteralmente scoperchiato un vaso di Pandora dal quale sono saltati fuori gravi e ripetuti maltrattamenti in danno dei poveri animali ospitati all’interno del canile cittadino, in alcuni casi persino uccisi da chi, invece, si sarebbe dovuto occupare della loro custodia.
Il reato di maltrattamento ed uccisione di animali non era però l’unica malefatta compiuta all’interno di quella struttura giacché, come ampiamente dimostrato dalle indagini delle Fiamme Gialle, esistevano anche altre circostanze di rilevanza penale come la truffa aggravata in danno di Enti pubblici, false attestazioni ed altre gravi violazioni messe in atto per intascare quanto più possibile dalle sovvenzioni pubbliche.
Grazie ad una penetrante attività di verifica fiscale, è infatti emersa la veste giuridica (fittizia) che gestiva il canile la quale – apparendo come associazione di volontariato – ha prima potuto partecipare al relativo bando pubblico per l’affidamento in custodia dei cani randagi, intascando poi i pertinenti contributi pubblici senza che gli stessi venissero però impiegati per un dignitoso ricovero degli animali, che venivano sostentati con il minimo necessario per non soccombere.
La finta veste di “volontariato” ha peraltro permesso ai responsabili dell’associazione di godere d’un regime contabile e fiscale agevolato, rispetto a quello previsto per le società e le cooperative di servizi, conseguendo così indebiti risparmi d’imposta, oltre che a far sistematicamente sparire le erogazioni pubbliche a loro destinate le quali venivano invece distratte per gli scopi assolutamente personali degli indagati.
Per dare un’impressione di quanto fosse remunerativa una tale attività di “volontariato”, basti considerare come i responsabili tentassero con ogni mezzo di ostacolare le richieste di adozioni dei cani a loro affidati, oltre che ad ommettere le comunicazioni dei decessi alle autorità sanitarie, tutto ciò con il chiaro scopo di mantenere sempre elevata la presenza dei randagi ufficialmente ricoverati ed ottenere così sussidi pubblici parallelamente proporzionati.
Lo sporco business perpetrato in danno di chi non poteva parlare è stato però finalmente scoperto.
Per questo l’Autorità Giudiziaria inquirente, accogliendo in pieno le risultanze probatorie fornite dagli investigatori della Guardia di Finanza, oltre alla chiusura del canile-lager ha disposto il sequestro preventivo – anche “per equivalente” – dei beni nella diretta disponibilità dell’associazione incaricata della gestione del canile comunale, nonché dei beni appartenenti ai due responsabili (il legale rappresentante nonché direttore sanitario ed il presidente) per un importo superiore al milione e 200 mila euro, ovvero l’indebito profitto ottenuto dalle loro malefatte.
Per lo stesso direttore sanitario è stato altresì disposta la misura dell’interdizione dalla professione di veterinario, unita a quella di contrarre con la Pubblica Amministrazione, per il periodo di un anno.
L’operazione “Cerbero”, oltre a tutelare gli animali più sfortunati così come le erogazioni pubbliche che gli Enti locali sostengono – non senza difficoltà – per il corretto funzionamento dei servizi cittadini, mira altresì a tutelare il buon nome e l’operato delle associazioni di volontariato che da sempre prestano il loro insostituibile servizio a beneficio della comunità civile, e che oggi più che mai rappresentano una splendida espressione della solidarietà italiana.
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