Immigrazione: a Lampedusa bruciati i vecchi barconi utilizzati dai migranti. Soluzione militare contro gli scafisti

Di Marco Pugliese

Lampedusa (Agrigento). Sono con ogni probabilità di natura dolosa i due incendi che, nella notte, a Lampedusa (Agrigento) hanno devastato le aree in cui sono stoccati i vecchi barconi utilizzati dai migranti per arrivare sull’Isola.

Un vasto incendio ha interessato, la notte scorsa, Lampedusa. A fuoco i barchini dei migranti

Per domare gli incendi, appiccati alla vigilia dell’arrivo del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, è servito il lavoro di diverse squadre di Vigili del Fuoco e di Carabinieri.

La situazione, alla fine, è rientrata verso le 4 di notte. Qualche giorno addietro era toccato al monumento presente sull’ isola, la “Porta d’ Europa”, finita imballata con sacchetti della spazzatura e nastro da pacco.

La Procura d’ Agrigento indaga.

Lampedusa esasperata dai “barchini”

Da Tunisia e Libia partono navi con al traino “barchini” (di norma 10-15 perone e 4 o 2 marinai esperti) che vengono poi rilasciati in prossimità delle coste italiane, soprattutto quelle di Lampedusa.

Le persone “al timone” sono collegate alle organizzazioni criminali che operano nella fascia del Sahara, dove gestiscono i flussi migratori provenienti dall’ Africa Orientale ed Occidentale (il Niger rappresenta una vera e propria “hub”).

Il ghetto dei migranti ad Agadez (Niger)

La strategia “dei barchini” risulta economica e sicura (difficile l’intercettazione) tanto che questa tattica sta soppiantando anche i salvataggi ad opera delle ONG (in netto calo anche a causa del Covid-19).

Nel 2010 in Italia sono arrivati con questo sistema 3.500 migranti su un totale di 4 mila.

Persone spesso obbligate ad imbarcarsi, dopo il pagamento e soprattutto dopo una detenzione inumana nei campi libici, stazione finale di una vera e propria “Via della Morte” che taglia in due l’Africa subsahariana e sfocia nel sud della Libia.

Le persone costrette alla “carovana” scappano per lo più dall’Africa Occidentale o da uno dei più grandi campi profughi del Continente, situato in Kenya.

In mezzo a questi “passaggi” s’infiltrano organizzazioni di qualsiasi tipo che traggono profitto dagli spostamenti.

Più interazioni e passi, più denaro entra nelle casse delle organizzazioni che molto spesso pongono dazi anche alle compagnie occidentali, soprattutto quelle di trasporto, attive in Africa centrale.

Esempio di passaggio da nave madre a barchino : https://www.youtube.com/watch?v=lqgiQG51EKU

Reparti speciali unica soluzione per interrompere il traffico?

Ad oggi, senza una massiccia presenza militare in Tunisia e Libia, appare impossibile per l’ Italia bloccare “i basisti”.

Andrebbero organizzate operazioni in territorio straniero (magari in sinergia con forze d’intelligence tunisine e libiche) in zone ad altissimo rischio e dalla logistica complessa (servirebbe costante copertura aerea e truppe “combat” pronte ad intervenire).

L’intervento di mezzi della Guardia Costiera per salvare un barcone di migranti

La soluzione più semplice sembra l’utilizzo dei reparti speciali per neutralizzare la nave madre. L’operazione potrebbe essere gestista dai reparti d’elite della Marina Militare italiana.

Gli step

Fase ricognizione “attiva”: Tramite droni (od unità leggere della Marina Militare, versione “combat” e non difesa) recupero posizione nave madre in posizione avanzata (spesso già in acque italiane).

Fase accerchiamento ad “alta velocità”: Operazione d’accerchiamento con mezzi navali della Marina, creazione di un “cordone di sicurezza” e blocco in porzione d’acqua dell’ unità ostile.

Fase intervento operatori: Intervento d’assalto con elicotteri ed unità navali leggere, neutralizzazione equipaggio ed arresto. Liberazione ed identificazione dei passeggeri (sbarco solo ad identificazione avvenuta). Confisca del mezzo navale ed interrogatori per reperire dati ed informazioni sui “basisti” e la “rete d’appoggio” da neutralizzare in cooperazione con le forze del Paese originario (Tunisia o Libia nella quasi totalità dei casi)

Dai dati recuperati operazioni di questo tipo taglierebbero il traffico d’esseri umani nella porzione di Mar Mediterraneo a sud delle acque territoriali italiane.

Perché interventi di questo tipo abbiano un senso servirebbe però una volontà di tipo politico, in questo momento storico, con l’ Italia in ginocchio causa Covid-19, zone strategiche come Lampedusa vanno tutelate e riportate in una dimensione normale, atta a far rifiorire il turismo e ripartenza.

L’Italia ne ha facoltà, ma forse mancano la volontà e l’ interesse per una corretta gestione degli interessi nazionali.

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