Di Alessandro Margottini
PALERMO. Infiltrazioni mafiose in appalti pubblici che hanno comportato l’accusa dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione e illecita concorrenza aggravate dalla finalità di agevolare “cosa nostra”, scambio elettorale politico-mafioso e traffico illecito di rifiuti. Di questo debbono rispondere sette soggetti (dei quali 5 sottoposti a custodia cautelare in carcere e 2 agli arresti domiciliari), arrestati dai finanzieri del Nucleo Polizia Economico Finanziaria di Palermo e della Compagnia di Sciacca su disposizione del GIP del locale Tribunale.
Nell’operazione, coordinata dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, sono stati impegnati oltre 100 militari delle fiamme gialle in forza ai Comandi Provinciali di Palermo e Agrigento, attività che vedono altresì l’esecuzione di perquisizioni in diverse località molisane e siciliane presso abitazioni e sedi societarie nella disponibilità di 22 indagati.
Le indagini che hanno condotto agli odierni arresti, come anticipato sopra, avrebbero infatti permesso di ricostruire alcune dinamiche criminali legate al controllo economico del territorio da parte della famiglia mafiosa di Sciacca, al cui interno si sarebbe accesa una serrata competizione per acquisirne il comando dopo la scomparsa del capofamiglia Salvatore Di Gangi.
A quest’ultimo, secondo gli stessi inquirenti della DDA, sarebbe subentrato un noto “uomo d’onore” nonché diretta emanazione del ramo saccense di “Cosa nostra”, già condannato per associazione mafiosa e che si sarebbe velocemente affermato anche grazie alla sua riconosciuta capacità di fungere da “collettore” nel settore degli appalti.
Detta capacità d’infiltrazione e dunque di condizionamento del tessuto economico della zona, gli ha infatti consentito un controllo pressoché totale degli appalti grazie ai riusciti tentativi di inserimento realizzati con sub-appalti e forniture; un’egemonia criminosa che veniva altresì a rafforzarsi attraverso il condizionamento dei voti in occasione delle consultazioni elettorali.
Le stesse attività d’indagine, più nel dettaglio, hanno messo in luce le potenzialità dello stesso sodalizio mafioso d’insinuarsi nei settori delle costruzioni e del movimento terra, fondamentali nella realizzazione di opere pubbliche che hanno interessato il territorio che ricade sotto il controllo della citata articolazione criminale.
Un’infiltrazione caratterizzata dai metodi tipici di “Cosa nostra” come l’estorsione, la minaccia, la violenza e l’usura in danno degli imprenditori estranei alla cerchia fiduciaria del nuovo “reggente”.
Secondo gli stessi investigatori – tra il 2020 ed il 2023 – il condizionamento criminale in questione avrebbe interessato almeno quattro appalti che hanno riguardato importanti infrastrutture e aree pubbliche presenti nei comuni di Sciacca e Menfi, ciò anche grazie all’appoggio fornito da imprenditori collusi i quali, andando a sostituirsi alle società aggiudicatarie dei lavori, avrebbero sistematicamente eluso la normativa antimafia in materia di sub-appalti mediante la fattiva imposizione delle forniture di materie prime oltre che il noleggio dei mezzi.
Tra i destinatari delle sette ordinanze di custodia cautelare figura anche un pubblico ufficiale, in capo al quale l’Autorità Giudiziaria inquirente ipotizza ora i reati di corruzione e di falso per il suo diretto intervento volto a favorire la società coinvolta nelle indagini, che ha poi eseguito lavori in tre comuni dell’Agrigentino.
Al riguardo delle pressioni criminali esercitate sul piano politico è stato inoltre rilevato il tentativo d’influenzare le elezioni comunali di Sciacca avvenute nel 2022, in occasione delle quali il nuovo “reggente” della locale famiglia mafiosa avrebbe incontrato un candidato al fine di garantirgli il suo appoggio politico.
Un episodio che per il competente GIP ha dunque configurato il reato di scambio elettorale politico mafioso.
Rimane in ogni caso opportuno evidenziare come i provvedimenti giudiziari in cronaca siano stati emessi alla luce dell’attuale quadro probatorio, pertanto – in attesa di giudizio definitivo – per i medesimi indagati sussiste la presunzione d’innocenza.
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